Reddito di cittadinanza o di rieducare al lavoro povero?
di SENSO COMUNE
“Chi otterrà il sostegno dovrà poi partecipare obbligatoriamente a corsi di formazione e per otto ore settimanali dovrà impegnarsi in lavori socialmente utili nei Comuni di residenza. Una volta trovato, anche su scala nazionale, un lavoro confacente alle caratteristiche del cittadino non si potrà rifiutare la proposta, pena la perdita immediata del sussidio”
Dopo gli attacchi ripetuti ai sindacati e al costo del lavoro (traduzione: i salari troppo alti), Luigi Di Maio ci da la sua versione del progetto di reddito di cittadinanza. A noi non piace per niente, state un po’ a sentire. Di Maio spiega candidamente che il beneficiario del reddito di cittadinanza (per così dire!) sarà costretto, pena la perdita del sussidio, ad accettare offerte di lavoro SU SCALA NAZIONALE. Pena il ritorno immediato nella povertà, egli sarà così costretto a spostarsi senza alcuna considerazione delle proprie esigenze di vita e dei propri affetti familiari.
Non solo, ma finché riceve il sussidio, il beneficiario dovrà tanto svolgere lavori socialmente utili (che potrebbero benissimo essere eseguiti da persone pagate allo scopo!), quanto frequentare corsi di formazione. La disoccupazione è vista come una colpa del povero, troppo pigro e non sufficientemente formato, che va dunque congruamente svegliato e rieducato, prima di essere spedito nel primo impiego disponibile, in qualsiasi punto d’Italia si trovi (e al primo salario disponibile – taci e ringrazia che ti abbiamo trovato un lavoro!).
Noi di Senso Comune sappiamo che non è così.
Non ci beviamo questa storiella, che serve solo a convincere le persone ad abituarsi senza lamentarsi a standard di vita e di lavoro più bassi. Sappiamo che la disoccupazione è il risultato di un livello insufficiente di investimenti – situazione alla quale lo Stato può e deve porre rimedio.
Non pare anche a voi che Di Maio, accettando questa storiella, sia sempre più vicino a Confindustria e sempre più lontano dalla gente?
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