Il salario massimo e il carnevale dell’oligarchia
di SENSO COMUNE (Michele Orini)
Dopo solo tre giorni di lavoro, tra un Gin & Tonic ed una partita di golf, all’imbrunire di Giovedì 4 Gennaio gli amministratori delegati delle più importante aziende inglesi si erano già intascati quanto un lavoratore medio in un anno. In Inghilterra lo chiamano Fat-cat Thursday, il giovedì dei ricconi. Per capirci, stiamo parlando di gente che percepisce più di mille euro all’ora. Un’ora, sessanta veloci minuti, magari passati a leggere e-mail, che valgono quanto un mese, trenta giorni, trenta notti, di fatiche altrui. In Italia non c’è nessuna ragione per cui le cose debbano andare diversamente, se non peggio.
Il punto di queste poche righe non è quello di suscitare indignazione verso compensi sconsiderati. I cammini dell’indignazione sono molteplici, c’è chi ci arriva subito e col botto e chi ha bisogno di un percorso più lento che ne alimenti le ragioni, ma in fin dei conti è lì che dopo aver appreso questi dati tutte le persone decenti la cui umanità non sia corrotta da strane perversioni arrivano. All’indignazione. La questione è che fare una volta arrivati li. Il buon senso vuole che ci sia una giusta misura in tutte le cose. Che se si smarrisce, va ristabilita. Prima che sia troppo tardi. E qualcosa contro questo rincoglionimento globale bisogna farla in fretta. Perché di questo si tratta: permettere che qualcuno guadagni in un paio di giorni quello che un lavoratore medio guadagna in un anno di lavoro (quando e se il lavoro c’è) e poi ripetere fino all’ipnosi che non ci sono soldi per servizi pubblici, investimenti e previdenza, è follia. O perversione. O entrambe.
Qualcosa si può fare, ovviamente. E come sempre è solo una questione di volontà politica. Il minimo sindacale sarebbe fissare un salario massimo, imponendo un’aliquota del 100% sugli stipendi al di sopra di una soglia considerata socialmente tossica. Niente più che una questione di igiene, un accorgimento per impedire pericolose indigestioni.
In Francia se ne discute da anni, con la France Insumise di Melenchon che propone un tetto massimo pari a 20 volte il salario mediano (che coinvolgerebbe circa 150 mila persone con stipendi superiori ai 400 mila euro). Il Labour di Corbyn lo sta valutando. In Spagna sia Podemos che Izquierda Unida l’hanno incluso da anni nei loro programmi. Storicamente è qualcosa che è già stato sperimentato, anche se per brevi periodi. Per esempio negli Stati Uniti degli anni ’40 Roosevelt impose per un certo periodo un’aliquota del 93% sui salari più alti.
Che in Italia quasi non se ne parli è una vergogna. Che in 5 anni di governo, il Partito Democratico non ne abbia mai neppure discusso la dice lunga sulla sua vocazione di servire diligentemente i ricchi ed i potenti (quando Renzi parla di economia non riesco a non pensare a quella filastrocca di Amodei che fa “Chi è più ricco e più potente sa che cresce il suo potere/quando a chi non ha un bel niente le sue balle sembran vere [e] fa convegni e fa promesse perché le opinioni altrui/siano sempre quelle stesse che fanno arricchire lui”).
Ovviamente imporre un salario massimo attraverso una tassazione progressiva farebbe rientrare nelle casse dello Stato soldi che potrebbero essere reinvestiti per migliorare i servizi pubblici. Ma la questione in realtà è di più ben ampio respiro, e fissare un salario massimo avrebbe conseguenze forse anche più importanti di quelle economiche sotto tanti punti di vista. Eccone alcuni:
– Imporre un limite al profitto significa spezzare la sottomissione incontrastata al Dio denaro ed alla bestialità dell’individualismo selvaggio. Significa inoltre contrastare l’assurda idea che i soldi e solo i soldi (e solo quando sono tanti) siano il motore del nostro agire quotidiano nel mondo.
– Essendo una misura che coinvolgerebbe pochi privilegiati, equivarrebbe ad affermare la centralità del bene collettivo ed il principio democratico secondo il quale è la maggioranza e non un manipolo di ricconi a detenere ed esercitare l’autorità. A ben vedere, infatti, un chiaro sintomo della pessima qualità della democrazia attuale è l’accettazione del fatto che ricchezza sia sinonimo di potenza ed autorità, mentre in una democrazia sana il potere non è nelle mani di chi “ha di più” (denari) ma di chi “è di più” (in numero). Ci si rassegna a pensare che sia normale che la legge serva a difendere ed accrescere i privilegi di pochi, invece che gli interessi dei molti. Una bestialità.
– Servirebbe ad indebolire quell’assurda idea secondo la quale in un mercato lasciato a se stesso sia (solo) il merito a determinare il salario, per cui a salari sconfinati devono necessariamente corrispondere talenti sconfinati. Questa è una narrazione falsa e strumentale, insidiosa e molto dannosa.
– Contenere gli stipendi tra un minimo ed un massimo, riducendo le disuguaglianze, farebbe bene alla salute di tutti: Le disuguaglianze nuocciono alla salute e corrodono il tessuto sociale.
Quindi muoviamoci affinché il salario massimo diventi nient’altro di quello che è: una questione di senso comune.
Fonte:http://www.senso-comune.it/michele-orini/salario-massimo-carnevale-delloligarchia/
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