L’articolo di oggi è stato pubblicato su Bergamo Economia nel numero di settembre 2017.
In ogni numero il periodico ospita un’analisi della situazione economica proposta dal gruppo economico di Rete MMT. Per maggiori info su Bergamo Economia clicca qui.
(La Redazione)
Una lente d’ingrandimento sulla rotta del tessuto economico italiano
Gli ultimi dati sulle condizioni del tessuto economico italiano farebbero ben sperare. La produzione industriale segna un +4,4% rispetto a luglio 2016 ed è in crescita lenta ma costante, i fallimenti delle imprese si sono ridotti di un terzo rispetto al picco di inizio 2015 e stanno diminuendo in modo regolare. Inoltre, i prezzi sono stabili e, grazie allo stimolo saudita sul prezzo del greggio, la deflazione ha lasciato il posto ad una lieve inflazione (vedremo se la BCE vorrà reclamare un merito che di fatto non ha).
Come conseguenza, il PIL sta lentamente tornando a crescere (+1,2% su giugno 2016) e il tasso di disoccupazione è sceso al 11,3% (il picco fu del 13% a fine 2014).
Questo scenario di complessiva ripresa nasconde, tuttavia, alcuni dettagli fondamentali, utili a comprendere la direzione verso cui la crisi europea sta portando la nostra economia.
Sono almeno due i fattori degni di nota:
- La bassissima crescita dei salari (0,4% A/A a luglio), in caduta libera dal 2008, quando era superiore al 4%, che non accenna nemmeno la minima ripresa (il trend è tuttora in discesa);
- L’esplosione dell’export, con la bilancia commerciale ai massimi storici (6 mila miliardi di euro di esportazioni nette) che si è addirittura stabilizzata su questo livello mai visto prima.
Da un lato la nostra forza lavoro perde potere contrattuale e viene scoraggiata, dall’altro le nostre imprese vantano una crescita di fatturato all’estero. Una sintesi? Produciamo, ma non consumiamo. Lavoriamo, ma sono altri a godere del frutto del nostro lavoro.
La cosa peggiore è che questa situazione sta adagiandosi su un nuovo “equilibrio”. La nostra economia, in risposta all’aumento delle tasse ed alla riduzione della spesa pubblica (austerità – Governo Monti), ha dovuto ridurre le proprie pretese in termini di consumo. Laddove non c’è acqua, l’erba non cresce. Laddove non c’è ricchezza finanziaria, non c’è consumo. Tuttavia, permane la necessità di procurarsi la moneta con cui siamo costretti a pagare le tasse, e dunque il sistema cerca di approvvigionarsene da dove può: dall’estero e dalle fasce più deboli della società, innanzitutto.
Questa tendenza a verticalizzare i rapporti di forza è chiaramente deleteria. Anche se a livello aggregato si registra un aumento della produzione, i rapporti interni divengono sempre più tesi, le grandi imprese hanno sempre più controllo sulle medie, le medie sulle piccole, fino agli ultimi anelli della catena, che sono i primi a cedere. L’economia diventa una sorta di Monopoly: un Monopoly in cui il banco toglie un po’ di moneta ad ogni giro, e così costringe tutti a spartirsi una torta sempre più piccola, lasciando sul campo sempre più bocche asciutte… E povertà, che è ai massimi storici, come l’export.
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