Elezioni politiche e regionali 2018: ecco come voterò
di ALDO GIANNULI
Non per dare consigli a nessuno (non mi sembra di averne titolo) ma per chiarezza, faccio il mio coming out elettorale partendo da un ragionamento.
Come ho detto più volte, il principale problema del momento è l’indecente offerta politica che è troppo al di sotto di quel che ci vorrebbe, quindi voto più che per adesione, pensando agli effetti del mio voto in questa specie di partita a carambola che sono diventate le consultazioni elettorali.
Partiamo da quello che assolutamente non si piò votare: centro destra e centro sinistra che sono solo avversari da battere e basta. E, per essere più precisi, l’avversario peggiore e quello di “sinistra” proprio per la truffa di un partito di destra che si presenta come sinistra e, in questo modo, riesce a fare quello che la destra aperta non riesce a fare: art. 18, jobs act, buona scuola eccetera sono cose che Berlusconi avrebbe voluto fare ma non riuscì a fare per la reazione di sindacati ed opposizione. Renzi ci è riuscito e, per poco, non è riuscito a stravolgere anche la Costituzione non fosse stato per la rivolta popolare del 4 dicembre 2016. La destra berlusconiana, anche se solo tatticamente e non certo per adesione ai valori costituzionali, ha votato No con noi, mentre il Pd era l’eversore che voleva stravolgere la Costituzione e il nemico costituzionale è un nemico strategico assoluto, dopo non c’è possibilità di intesa: non glielo perdoneremo mai.
Questo, però non è chiaro a quella parte del Pd che votò No e che poi si è scissa (e neanche tutti) dal Pd dando vita a Leu. Diamo atto della battaglia referendaria (seppure dopo troppe indecisioni e mercanteggiamenti) e del fatto che non hanno accettato di entrare in coalizione don il Pd, ma con un costante margine di ambiguità, per cui in Lazio entra nella coalizione di Zingaretti e non esclude alleanze future. Certo Zingaretti non è stato un cattivo amministratore, ma questo non ha molta importanza.
Il problema è il giudizio sul partito e qui si capisce che a Leu quello che non va bene non è il Pd ma Renzi, per cui, con un Pd senza Renzi si potrebbe ragionare. E invece no: il Pd era una cosa sbagliata anche prima del fiorentino, un intruglio venefico fra neoliberismo e centralismo staliniano per il quale il gruppo dirigente fa opportunisticamente quel che vuole senza mai rendere conto a nessuno. D’altra parte, il Pd appartiene a quella socialdemocrazia blairiana che si arrese al neo liberismo e che oggi sta pagando il conto riducendosi a percentuali non rilevanti. La sua stagione è finita e questo vale anche per il Pd. Ma i nostri amici di Leu non sembrano capaci di imparare dall’esperienza ed insistono.
Poi c’è stata l’imbarazzante vicenda della caccia al “capo” prima inseguendo quel nulla politico che è Pisapia, per poi planare incredibilmente su Pietro Grasso, un nome che non ha bisogno di commenti. Poi siamo passati all’ancora più imbarazzante vicenda delle candidature in cui Leu si è dimostrata un ufficio di collocamento per parlamentari in cerca di rielezione, senza nessuna consultazione della base, con candidati paracadutati in collegi in cui non c’entravano nulla, (tutto sommato l’unico al posto giusto è D’Alema). Per definire il programma c’è una bellissima espressione siciliana: Nuddu miscato e nenti. Insomma, iniziativa politica zero, idee zero, democrazia interna zero: invotabili. Mi spiace per i miei amici Felice Besostri, Anna Falcone, Marco Dal Toso che sono ottime persone che vi segnalo, che meriterebbero ben altra lista per metterci la faccia. Farò eccezione per Onorio Rosati che voterò alla Regione, perché la Regione non è il parlamento nazionale.
E veniamo al M5s che merita un discorso un po’ articolato. Intendiamoci: qualsiasi partito (e il M5s lo è, visto che siede in Parlamento) ha una sua fase costituente e poi ha un processo di istituzionalizzazione che lo “ossifica”. Questo doveva per forza capitare al M5s che, però aveva varie opzioni davanti sia per la collocazione politica che per il modello organizzativo. Sul primo punto, stabilito che la solita solfa “né di destra né di sinistra” è un vecchio trucco (per primi lo usarono i fasci di combattimento di Mussolini esattamente 99 anni fa) per cui lo spazio politico è quello ed è retto da coordinate che mutano nel tempo, ma non per questo smettono di esistere, il M5s, dopo il ricorso furbesco del “né né” per pescare voti da una parte e dall’altra, poteva scegliere destra o sinistra. Ed ha scelto la destra neo liberista, come dimostrano diversi punti del programma (come il reddito di cittadinanza che è una proposta tutta interna al neo liberismo) e la scelta di Lorenzo Fioramonti come consigliere economico di Di Maio e suo mentore a Wall Street. Ottimo economista, per carità, nemico n 1 del Pil, ma pur sempre di spiccata ispirazione neo liberista. Per non dire dell’annosa vicenda dei migranti.
Dal punto di vista organizzativo il M5s poteva scegliere fra diversi modelli: dal partito di apparato funzionariale a quello dei notabili parlamentari, dal modello basato sulla partecipazione democratica organizzata e con gruppi dirigenti collegiali al modello “mucchio selvaggio” che fu di Lotta Continua, dal modello federativo a quello centralizzato e così via, ha scelto il peggiore: quello dell’uomo solo al comando tanto simile a quello renziano, con un colpo di mano statutario sbalorditivo, con un regolamento subito applicato senza neppure essere mai stato votato da nessuno. E il risultato (ferma restando la pasticcioneria dell’ultima ora tipica del M5s, è questa selezione di candidati su cui non spenderemo neppure mezza parola. Insomma stiamo prendendo una strada che proprio non mi piace. Però, però, la partita non è affatto chiusa e non è detto che questa svolta sia definitiva.
La base del movimento non è stata consultata ed ha taciuto sulla svolta perché c’erano le elezioni, ma il 5 marzo magari avrà qualcosa da dire. Poi dobbiamo vedere come vanno le elezioni, come vanno i ricorsi dell’avvocato Borrè, cosa penseranno persone come Grillo, Di Battista eccetera all’indomani del voto, bisognerà vedere che fanno i neo eletti (e Dio non voglia che vengano fuori una decina di “responsabili”). Insomma stiamo a vedere perché, comunque vada, il M5s è pur sempre un serbatoio di forze antisistema per nulla trascurabile e non è detto che la fine della essere un inesorabile declino… stiamo a vedere.
Per finire c’è la lista di Potere al Popolo che ha diversi difetti (primo fra tutti quello di ospitare l’anima ferreriana di Rifondazione) è una cosa messa insieme all’ultimo momento, e ad alto rischio. Però non c’è dubbio che una sua affermazione scombinerebbe molti giochi. Tanto per cominciare, questo significherebbe che nonostante le trappole inventate dalla classe politica (la valanga di firme da raccogliere in pochissimo tempo e circoscrizione per circoscrizione, la legge incomprensibile per cui persino quelli di Fi hanno rischiato, le varie clausole di sbarramento a scatole cinesi eccetera) la domanda di una nuova rappresentanza politica si fa avanti e non è frenata.
Non sta scritto da nessuna parte che il Parlamento debba essere monopolio dei tre poli maggiori e di Leu? Allarghiamo il club e vediamo soprattutto quanti voti raccoglieranno le liste fuori coalizione. Queste elezioni sono solo il secondo tempo, dopo il primo tempo del referendum del crollo dell’infelicissima seconda repubblica, ma ci sarà sicuramente un terzo tempo fra un anno alle europee, poi forse un quarto alle regionali, sempre che prima non ci siano elezioni anticipate… Dunque, votiamo anche tenendo bene a mente questo calendario. Ad esempio, se Potere al Popolo prendesse ora il 3% poi fra un anno parteciperebbe alle elezioni senza dover raccogliere le forme e sarebbe un bel punteruolo nel basso schiena di Leu e M5s, il che considerate le porcherie che hanno combinato questa volta, non è mica tanto male. Avessi visto, tante volte, che inizino a capire che non possono dare da bere alla gente proprio tutto! C’è un limite da non superare. Forse inizieranno a correggere la rotta.
Ho visto dei sondaggi che danno Potere al Popolo al 2,4%, certo c’è la valanga degli indecisi che poi, quando rientra, non premia i piccoli partiti, che il gruppo di soldi ne ha proprio pochini, ma, considerando che esso ha registrato una crescita costante dall’inizio, quando nei sondaggi non compariva proprio, considerando che lo spazio da riempire c’è l’impresa non sembra proprio impossibile. Diciamo che deve rastrellare 120-130.000 voti per farcela, poi dipende anche quanti voteranno. E’ una scommessa, e a me le scommesse piacciono.
Tutto ciò premesso, mi regolerò a questo modo:
-alla Camera voto a Potere al Popolo. Scommettendo che faccia il 3%;
-al Senato M5s, per dare ancora un segnale di disponibilità, sempre che addrizzino il timone;
-alla Regione Onorio Rosati, candidato presidente per Liberi e Uguali;
e speriamo bene.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/elezioni-politiche-e-regionali-2018-ecco-come-votero/
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