L’UE e quel furto d’identità, non chiamatela Europa!
di OLTRE LA LINEA (Simone De Rosa)
Qual è la prima cosa che pensiamo quando sentiamo la parola Europa? Che sensazioni, quali emozioni ci provoca questo nome?
Economia, tagli, austerità, vincoli, direttive, sanzioni. Sono tutti vocaboli che abbiamo rapidamente imparato ad associarle e che ci hanno costretti, volenti o nolenti, a provare una sensazione negativa, di oppressione, di rabbia, quasi di disgusto nel pronunciare questo splendido nome.
Eppure Europa è molto altro, molto di più di un semplice sistema politico o economico. È tre millenni di storia, di arte, di cultura, di musica, di civiltà.
L’illustre storico Federico Chabod nel suo “Storia dell’idea di Europa” ha descritto come, in noi e prima di noi nei nostri avi, si sia formata la coscienza di appartenere al Vecchio Continente, di essere affratellati ad altri popoli a noi vicini in un percorso di storia e di tradizioni comuni, seppur nella diversità. L’elemento chiave della presa di coscienza è, per lo storico, la differenziazione: è nel porre in essere un contrasto con gli altri che l’Europa diventa conscia di sé stessa. Nel pensiero greco, la contrapposizione è quella tra “libertà” politica ellenica (ed europea) opposta al “dispotismo” asiatico. Libertà che vede gli europei cittadini dominati da leggi e non sudditi sottoposti all’arbitrio del sovrano, come gli asiatici. Roma a sua volta distinse tra romani e barbari; la cristianità medievale tra cristiani e pagani, e poi, all’interno degli stessi cristiani tra occidentali e orientali. La distinzione religiosa prevarrà anche nell’umanesimo e durerà fino al 1700, quando il criterio distintivo sarà quello politico: costituzionalismo da un lato (un’Europa fatta di repubbliche o monarchie non assolute), dispotismo dall’altro; infine si parlerà di europei per i vari Stati del continente con principi comuni.
Da questo breve excursus appare evidente dunque che il criterio fondante della stessa identità europea sia la sua specificità, la sua differenziazione rispetto al resto del mondo. Ed è qui che si arriva ai giorni nostri. Come può allora, un ente come l’Unione Europea, che fa della distruzione delle differenze tra i popoli il suo mantra farsi portavoce della coscienza europea? Come può il (falso) multiculturalismo che distrugge le identità essere un valore europeo?
Il fatto è che questa Unione rappresenta in tutto e per tutto la negazione dei principi che hanno reso l’Europa grande.
Pensiamo a Roma, al suo mos maiorum, ai suoi valori. Tra questi ne troviamo alcuni imprescindibili: dignitas, pietas (che non è pietà ma rispetto, devozione verso gli dei, la Patria, famiglia e persino gli schiavi), humanitas, pax. Che dignità garantisce ai suoi cittadini l’Unione Europea, quando i malati greci sono costretti a pagarsi da soli i medicinali che gli ospedali non possono più garantire? Quale rispetto e devozione insegna un sistema che disgrega l’idea di sacro, quella di Patria e di nucleo familiare? E che rispetto porta verso gli schiavi (che oggi potremmo convertire nei lavoratori sottopagati) a cui non fornisce protezione o regole e che si butta nel più selvaggio liberismo? Che umanità possiede un’Europa che impone le leggi di austerità, che taglia fondi per servizi già alla fame? Che pace garantisce ai suoi stessi cittadini (vittime sempre più del terrorismo islamico) un’Unione che supporta le guerre fratricide in Ucraina, che, con gli USA, depone presidenti in Medioriente, senza averne alcuna legittimità e favorendo l’avanzata degli integralisti?
Ma Roma forse è troppo lontana eppure l’humanitas è valore comune al cristianesimo, come la pace e la devozione. Non sono valori arcaici scomparsi, ma valori mantenutisi con l’Europa cristiana. Che senso ha allora parlare di “radici cristiane dell’Europa” se poi non si seguono nemmeno quei precetti? Se all’uomo viene preferito l’oro, se al tempio vengono preferiti i mercanti, cosa c’è di cristiano in tutto ciò? E nulla rimane nemmeno dei principi cardine dello stesso mondo liberale, quei principi della rivoluzione francese che sono anch’essi, da questa Europa, giornalmente vilipesi.
Libertà, uguaglianza, fraternità. Che libertà c’è per un uomo ridotto alla fame? Che libertà c’è per gli stessi Stati che perdono la propria sovranità e per i popoli che non sono liberi di determinare autonomamente il loro futuro? Che uguaglianza sussiste se un tedesco percepisce 2500 euro al mese mentre un greco vive sotto i ponti? Che fraternità tra i popoli se l’ente che si arroga la pretesa di rappresentarli non fa altro che metterli gli uni contro gli altri, il nord contro il sud, se parla di PIGS quando descrive i suoi stessi cittadini? Ebbene, la domanda da porci dunque è: che cos’ha l’Unione Europea di europeo? Come può essere collegata alla parola “Europa” un’istituzione che nulla rispecchia dei valori del Vecchio Continente?
Tra i gravi peccati di questo mostro quindi, ve n’è uno che forse è il più grave di tutti, più grave delle sofferenze che ha causato, delle guerre e della dittatura economica di cui è espressione, ed è il furto d’identità di un termine che ha rappresentato la storia più bella e più gloriosa che il mondo abbia mai visto. Perché Europa oggi non è più il luogo delle tradizioni, dei valori e della storia che ci accomuna, ma il nome preteso da un’istituzione che di questo stesso, meraviglioso, luogo ne ha fatto il postribolo della finanza. Ma il tempo è galantuomo e la storia, buon giudice, restituirà il termine Europa al suo legittimo proprietario, di questo possiamo starne certi.
Fonte: http://www.oltrelalinea.news/2017/03/25/lue-e-quel-furto-didentita-non-chiamatela-europa/
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