di Limes (Giorgio Cruscito)
BOLLETTINO IMPERIALE L’incontro informale tra Xi e Modi non ha intaccato la rivalità strategica che lega il Dragone e l’Elefante, dalla catena himalayana all’Oceano Indiano.
Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio settimanale di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. Grazie al sostegno di TELT. Puoi seguirci su Facebook e Twitter.
L’incontro informale tra Xi Jinping e Narendra Modi ha placato le tensioni tra Cina e India solo a livello epidermico. Probabilmente era proprio quello che entrambi i leader volevano.
Xi e Modi si sono limitati a concordare il miglioramento della comunicazione militare. In questo modo auspicano di evitare nuove schermaglie di confine dopo il faccia a faccia di un anno fa tra truppe di Pechino e Delhi nell’area del Doklam, contesa tra Repubblica Popolare e Bhutan.
Xi sta cercando di abbassare il livello della tensione con i paesi alla periferia della Cina (India e Giappone in primis), per evitare che la fitta agenda estera di giugno sia stravolta e che la sua immagine di potenza responsabile nel mondo globalizzato sia messa in discussione.
Il dossier coreano, i negoziati commerciali con gli Usa e il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) a Qingdao sono in cima alla lista.
Il primo ministro indiano invece ha mostrato ai suoi connazionali di essere in grado di gestire le relazioni con Pechino, per non fornire spunti di critica all’opposizione indiana in attesa delle elezioni regionali previste per il 2019.
I media dei due paesi hanno evidenziato l’atmosfera serena dell’incontro e la voglia di costruire la fiducia reciproca, mossa
in primis dal legame tra le economie delle due potenze. Eppure gli
84,4 miliardi di interscambio, gli 8 miliardi di investimenti cinesi e il sentirsi ancora “paesi emergenti” non bastano a spiegare la complessità delle relazioni sino-indiane.
Piuttosto, la rivalità strategica tra i due paesi più popolosi al mondo è legata ai timori di Delhi per il “risorgimento” militare ed economico della Repubblica Popolare.
Carta di Laura Canali – 2009
Le conteste sino-indiane
Senza sorprese, Modi non ha manifestato ufficialmente il suo supporto alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). Già durante il summit dei ministri degli Esteri della Sco della scorsa settimana, quello indiano è stato l’unico dei presenti a non dichiarare ufficialmente il suo consenso all’iniziativa cinese.
L’India è tra i paesi più preoccupati per le conseguenze strategiche della Bri. Forse più di Usa, Giappone e Australia. I quattro paesi hanno rilanciato il dialogo quadrilaterale di sicurezza (quad) per contenere la Repubblica Popolare sul piano militare ed economico e pensano anche a un piano infrastrutturale alternativo alla Bri.
Lungo le sue rotte Pechino sta infatti consolidando i rapporti con diversi Stati che orbitano nella sfera d’influenza dell’India.
La collaborazione strategica tra Cina e Pakistan (rivale nucleare dell’India) è il fulcro della sindrome d’accerchiamento di Delhi. Pechino e Islamabad stanno sviluppando un corridoio economico per collegare il Xinjiang al porto di Gwadar, vicino al quale si vocifera potrebbe essere eretta un giorno la seconda “base di supporto strategico” dell’Esercito Popolare di Liberazione (Epl). A circa 70 chilometri dallo scalo marittimo pakistano, si trova quello iraniano di Chabahar, dove Delhi sta investendo.
Carta di Laura Canali – 2017
Pechino vuole coinvolgere nel progetto anche l’Afghanistan. L’obiettivo cinese è riavvicinare Kabul e Islamabad per arginare il jihadismo in Asia centrale e soprattutto impedire che questo si diffonda nel Xinjiang, dove la Repubblica Popolare già sta “erigendo una muraglia di ferro” contro il terrorismo.
Se, come riportato dal Times of India dopo Wuhan, Cina e India sviluppassero un progetto economico congiunto in Afghanistan, potrebbero determinare il disappunto di Islamabad e complicare i progetti di cooperazione sino-pakistani.
Per Cina e India, le diatribe lungo la catena himalayana sono sempre dietro l’angolo, in particolare lungo i 4 mila chilometri della Line of actual control (Lac). Questa linea di demarcazione (non un vero confine) separa i due paesi dal 1962, quando (dopo un conflitto a fuoco durato trenta giorni) il territorio dell’Aksai Chin e la regione Arunachal Pradesh, o Tibet meridionale, furono assegnati rispettivamente a Pechino e Delhi.
In più occasioni, la Cina ha ribadito la sua avversione al sostegno e al rifugio fornito dall’India al Dalai Lama. Questi fuggì dal Tibet dopo che Mao nel 1950 ne prese il controllo e ne fece un cuscinetto strategico a protezione del nucleo geopolitico della neonata Repubblica Popolare.
Pechino sta consolidando i rapporti con il Nepal, il cui nuovo governo vorrebbe riavviare un progetto idroelettrico da 2,5 miliardi di dollari bloccato da quello precedente. Dieci giorni fa, Pechino
ha invitato Delhi a partecipare ai progetti infrastrutturali volti a unire il paese himalayano e la Repubblica Popolare.
La disputa sino-indiana nell’area del Doklam non può dirsi risolta. Le temperature più miti potrebbero spingere Pechino a inviare nuovamente le proprie unità nel territorio conteso con il Bhutan per riprendere la costruzione della strada, interrotta con l’arrivo di quelle indiane.
A Est, la Cina appoggia il processo di pace in Myanmar tra Naypidaw e i gruppi etnici armati, per sviluppare nel paese progetti infrastrutturali e servirsene per accedere all’Oceano Indiano bypassando lo Stretto di Malacca
La competizione tra il Dragone e l’Elefante si estende fino all’Oceano Indiano.
Lo Sri Lanka ha concesso alla Cina l’utilizzo del porto di Hambantota per 99 anni, ma per ora è esclusa la costruzione nel paese di una base militare cinese.
Pechino è in buoni rapporti anche con le Maldive. A marzo, navi dell’Epl hanno solcato l’Oceano Indiano con la probabile intenzione di scoraggiare un intervento indiano per raccogliere le richieste d’aiuto dell’opposizione maldiviana e interferire nello stato d’emergenza proclamato dal presidente Abdulla Yameen. Qui,
secondo l’ex capo di Stato Mohamed Nasheed, la Cina controlla già 16-17 isole.
L’India teme che Pechino voglia usarle per creare una base militare. Ciò spiega in parte perché Delhi voglia costruire un suo avamposto nelle Seychelles.
L’agenda cinese di giugno
Il prossimo mese, la Repubblica Popolare si concentrerà sulla Corea del Nord. Agli incontri tra Kim Jong-un e rispettivamente Moon Jae-in e Donald Trump
seguirà quasi certamente il viaggio di Xi a P’yongyang. Si tratterebbe del secondo incontro tra il leader dell’Impero del Centro e quello del paese eremita nel giro di pochi mesi.
Inoltre, a giugno potrebbero entrare in vigore i dazi Usa alle importazioni cinesi, possibile miccia della
guerra commerciale tra le prime due potenze al mondo. Raccogliere il consenso di attori terzi che non gradiscono le misure protezionistiche di Trump potrebbe giovare alla posizione cinese, ma i prorompenti investimenti cinesi
sono oggi visti con sospetto in Occidente e in Oriente.
Al vertice Sco di giugno, Pechino cercherà di consolidare i rapporti con i paesi centroasiatici, abbinando sviluppo delle nuove vie della seta e lotta al jihadismo. A settembre, l’organizzazione a guida cinese nata per combattere “i tre mali” (estremismo, separatismo e terrorismo) condurrà in Russia un’esercitazione militare, cui per la prima volta
parteciperanno insieme India e Pakistan.
Un risultato diplomatico che Pechino potrebbe fare suo.
Iscriviti al nostro canale Telegram
Commenti recenti