L’Argentina ha bisogno di 30 miliardi per non sprofondare. E il Fmi è pronto a darglieli per rifarsi una verginità in Sud America
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Franco Velcich)
- People receive meal from a soup kitchen outside Argentina’s Central Bank in downtown Buenos Aires on May 15, 2018. – Argentina’s currency faced a major test Tuesday as holders of peso-denominated securities readied for a potential $25 billion payout, squeezing government efforts to halt capital flight ahead of talks with the IMF. (Photo by EITAN ABRAMOVICH / AFP) (Photo credit should read EITAN ABRAMOVICH/AFP/Getty Images)
Venerdì scorso, non appena a Buenos Aires si è diffusa la notizia che il governo argentino andrà a negoziare un prestito straordinario con il Fondo monetario internazionale migliaia di persone si sono radunate spontaneamente in piazza a protestare. Per tanti argentini quella sigla, Fmi, o come si dice in inglese Imf (International monetary fund), è una spina capace di riacutizzare i dolori di vecchie ferite.
Il presidente Mauricio Macri sta perdendo rapidamente popolarità, ma non ha molte scelte: l’economia argentina rischia di implodere a causa della drammatica svalutazione del peso e dell’impennata dell’inflazione. Servono 30 miliardi di dollari per costruire un argine contro la speculazione e mettere in sicurezza l’economia e solo il Fondo può fornirli a condizioni accettabili.
- Il Presidente dell’Argentina Mauricio Macri. Agustin Marcarian/Getty Images
Nelle scorse settimane il rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti e il conseguente rafforzamento del dollaro hanno avuto un effetto micidiale sulla valuta argentina che dall’inizio del 2018 ha perso il 36% del suo valore. Nel tentativo di arginare la fuga di capitali la banca centrale ha buttato sul mercato la settimana scorsa 5 miliardi di dollari di riserve valutarie e ha alzato i tassi al livello record del 40% (in nessun Paese al mondo ci sono tassi così alti). L’inflazione è schizzata al 25%.
Sono passati 17 anni dalla grande crisi del 2001 che vide Buenos Aires messa a ferro e fuoco, con assalti popolari ai supermercati, morti e feriti per le strade, e il Fondo monetario è ancora ritenuto da molti il principale responsabile di quello sconquasso, con le sue ricette di politiche di drastico attacco all’inflazione che fecero impennare la disoccupazione e crollare il potere d’acquisto delle famiglie.
Nel 2001 l’Argentina mandò in default 132 miliardi di debito estero. Più tardi il Fmi ammise che avere insistito perché Buenos Aires tenesse stabile il cambio peso/dollaro fu un errore che contribuì ad aggravare la crisi.
- WASHINGTON, DC – Il direttore generale del Fondo Monetario internazionale Christine Lagarde incontra il ministro del Tesoro argentino Nicolas Dujovne il 10 maggio 2018 nella sede del Fondo a Washington, DC. (Photo di Stephen Jaffe/IMF via Getty Images)
Per il Fondo monetario, quindi, potrebbe essere questa l’occasione per rifarsi una verginità in Sud America, dove ha un temibile concorrente: il governo di Pechino.
Fra il 2005 e il 2010 la Cina ha prestato 75 miliardi di dollariai Paesi del Sud America, più che la Banca Mondiale e l’Inter-American Development Bank messe insieme. Affamata di materie prime, la Cina è il secondo partner commerciale dell’Argentina (compra tutta la soia prodotta nel Paese e una buona parte del mais) ed è il primo partner di Brasile e Cile.
Negli anni successivi al default, quando per il governo argentino era impossibile affacciarsi sul mercato internazionale del debito, Pechino non ha lesinato i suoi capitali verso il Paese delle pampas. Nel 2010 la China Development Bank prorogò una linea di credito da 10 miliardi di dollari, anche se a caro prezzo (interesse pari a Libor più 600 punti base). Nel 2014 arrivarono altri 7,5 miliardi, di cui 4,7 miliardi utilizzati per la costruzione da parte di un consorzio sino-argentino di due maxi-dighe per la produzione di energia elettrica e 2,1 miliardi per potenziare le ferrovie che portano il grano ai porti di esportazione.
Mauricio Macri si è insediato alla Casa Rosada dopo avere vinto le elezioni del 2015 su un programma liberista filo-mercati, in netta contrapposizione con la linea populista socialisteggiante della precedente presidente, Cristina Fernandez Kirchner. Fra i suoi primi successi c’è stata la pace con i creditori internazionali che ha riaperto all’Argentina il mercato del debito. Ma questo non gli ha impedito di firmare un anno fa a Pechino un accordo di collaborazione strategica con la Cina, per un totale di 30 miliardi di dollari di investimenti cinesi in Argentina praticamente in tutti i settori dell’economia: energia, agricoltura, trasporti, miniere. In quell’occasione Macrì definì Pechino “un partner strategico”.
I negoziati con il Fondo monetario inizieranno venerdì 18 maggio e il direttore, la francese Christine Lagarde, ha detto che l’obiettivo “è un accordo per concedere rapidamente una linea di credito che ridia fiducia all’economia”. Trenta miliardi di dollari è la cifra che gira negli ambienti di Washington. Con una telefonata Macri ha ottenuto il sostegno del presidente Usa, Donald Trump. La trattativa sarà sulle contropartite politiche che l’Fmi chiederà al governo di Buenos Aires in tema di riforme per frenare l’inflazione e ridurre il deficit pubblico, oggi vicino al 5% del Pil.
Dopo avere varato nelle scorse settimane aumenti delle tariffe di luce, acqua e gas, dopo una contestatissima riforma delle pensioni approvata a dicembre sfidando lo sciopero generale dei sindacati, il governo dovrà studiare un piano di riduzione della spesa pubblica che rischia di creare forti proteste. Macrì si preoccupa del suo futuro politico, visto che a fine 2019 i 44 milioni di argentini torneranno a votare. E i cinesi per il momento stanno a guardare.
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