Messe a fuoco progressive
di PIERLUIGI FAGAN
(in riferimento all’articolo tratto da Voci dall’estero, leggi QUI: http://vocidallestero.it/2018/06/01/handelsblatt-italiani-fannulloni-e-tedeschi-infami-come-leuro-semina-la-discordia/)
Come anticipato qualche post fa, l’intera faccenda turbinosa in cui siamo stati sballottati in questi giorni, ha avuto ed ha il merito di portare molte persone ad occuparsi di cose complicate a cui non avevano prestato attenzione visto che siamo tutti alle prese con le già ampie complicazioni della vita quotidiana. Questo è un fatto di estrema importanza poiché il primo punto del problema del mondo complesso non è solo nella sua intrinseca complessità ma proprio nella distanza tra opinioni pubbliche e fatti, distanza in cui si collocano i decisori politici e non solo, i quali senza un controllo dal basso o senza che dal basso si seguano le vicende su cui poi debbono esser prese le decisioni, potrebbero agire senza avere dietro un popolo.
Il tema è sempre quello Europa – Euro. Handsblatt Global, fa un editoriale riflessivo su cui ci può esser utile far delle considerazioni. Il periodico tedesco, constatata l’impennata di luoghi comuni nazionalistici per i quali noi saremmo il Paese di Pulcinella e la Germania, quello di Hitler. Ma come? Tutta la retorica unionista diceva che il processo aveva fine nell’unirci e ci ritroviamo a far volare gli stracci? Aspetta un attimo, dice l’editoriale, ricordiamoci che tutta la faccenda nacque dalle macerie del ’45, il fine era quello di risolvere la secolare belligeranza tra fazioni sub continentali, se l’euro invece di unirci ci divide, be’ prendiamone atto e subordiniamolo (in qualche modo su cui non mi addentro) al fine superiore.
Abbiamo scoperto un doppio fallimento culturale in questo progetto. Il primo è quello segnalato dai tedeschi di Handsblatt, il secondo che poi spiega anche il primo, è l’aver ridotto una faccenda dall’immensa complessità, unire in qualche modo popoli eterogenei che si sono scannati per secoli, ad un’area economica che ha poi chiamato una moneta comune fatta come poi sappiamo. Una sorta di materialismo storico monetario, un mostro del pensiero. Lo stesso fatto che una faccenda economico-monetaria così complessa sia legata ad un trattato scritto e firmato ventisei anni fa, denota una certa follia.
Immaginate di aver scritto ventisei anni fa un contratto con voi stessi in cui vi impegnavate a fare a), b), c) e di attenervi ogni santo giorno, a fronte delle sollecitazioni di un mondo in rapidissima evoluzione, a quel dettato, scriteriato no? Questo è l’impianto adattivo che può pensare un ingegnere, ma le società umane hanno la complessità della biologia e della sociologia non della fisica newtoniana, dovrebbero procedere per tentativi ed errori, revisioni e nuovi tentativi per approssimazioni successive. Ebbene, questo è il fallimento che si sta rendendo evidente, ed è un fallimento culturale.
Più volte ho lamentato l’assurda mancanza di una riflessione nell’intellettualità europea, sul mega-progetto “Uniamoci!”. Per molto meno si abbattono intere foreste per trarne la carta su cui più menti scrivono, analizzano, propongono, criticano. L’unica parte del tema che è stata sufficientemente esplorata è quella neanche economica ma più strettamente monetaria. Gli opinion leader di questo discorso, che si voglia promuovere l’euro o criticarlo aspramente, sono gli economisti. E gli storici dove sono? I sociologi? Gli storici delle idee? I geopolitici? I giuristi? I filosofi? I demografi? Gli artisti? I geografi? Gli scienziati? Gli studiosi di politica? Come si può pensare di affrontare un problema di tale complessità riducendolo ad una faccenda monetaria neanche fossimo lo Zollverein?
Se ne è accorto il lucido Savona che nella letterina su Scenari economici che doveva rassicurare ottenendo invero -volutamente- l’effetto contrario, spiegando la sua filosofia d’Europa, metteva al primo punto (!) un inaspettato “Creare una scuola europea di ogni ordine e grado per pervenire a una cultura comune che consenta l’affermarsi di consenso alla nascita di un’unione politica …”. Lo ha detto un “economista” ma non se ne è accorto nessuno perché lì abbiamo un punto cieco.
Con ciò non volevo né promuovere una nuova Unione Europea, né l’idea di una scuola comune, volevo solo sottolineare l’ovvio ovvero che o il fine di questo progetto è politico o non ha senso e ritengo il fine politico di unire i 27 o 19 Paesi europei semplicemente impossibile, non perché c’è la Merkel o i populisti, ritengo sia impossibile in sé, come far volare gli asini, quadrare il cerchio o avere la moglie piena e la botte ubriaca (che è appunto anche più impossibile della formulazione canonica sinonimo di impossibilità di per sé).
Altrove ho analizzato in passato con lo spazio che merita questa impossibilità. Allora, da dove dovremmo ripartire?
Non si possono unire di botto molti eterogenei, vanno prima uniti tra loro i più simili e l’analisi di similarità non può esser fatta partendo dall’economia (per quanto anche alcuni economisti lo hanno notato, leggasi Mundell e il problema delle aree valutarie ottimali tanto caro a Bagnai) perché il fine di una unione politica è di natura più complessa e generale. Più tardi lo capiremo, peggio sarà per noi ed il nostro destino futuro.
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