Con le sanzioni all’Iran Trump aiuta i petrolieri Usa (e crea qualche problema all’Italia)
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Francesca Bottino)
Al di là delle ragioni politiche per cui sono state introdotte, le nuove sanzioni volute dal Presidente Usa Donald Trump nei confronti dell’Iran stanno già avendo, e ancor di più avranno nel prossimo futuro, effetti concreti sul mercato internazionale del petrolio, favorendo indirettamente gli esportatori statunitensi e influenzando anche gli acquisti dell’Italia, che del greggio iraniano è il primo importatore europeo e il quinto nel mondo.
Le sanzioni secondarie di Washington
Il problema, per i Paesi europei, non riguarda tanto il ripristino dell’embargo americano su Teheran, annunciato dalla Casa Bianca lo scorso 8 maggio, a meno di 3 anni di distanza dal cosiddetto accordo dei 5+1 firmato a luglio 2015 da Cina, Francia, Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia, che aveva posto fine al precedente regime sanzionatorio contro il Paese degli ayatollah. Le misure emanate da Trump riguardano infatti direttamente imprese e interessi iraniani, ma ad esse si accompagnano una serie di sanzioni secondarie: in sostanza, ai soggetti che intratterranno rapporti di natura economica e commerciale con l’Iran, potrà essere vietato di fare business negli Usa, o con aziende americane. Una minaccia che ovviamente spaventa moltissime grandi corporation che in questi due anni hanno stretto legami con Teheran ma che ovviamente non vogliono rinunciare alle loro attività negli Stati Uniti, e tantomeno possono prescindere dal credito in dollari erogato dalle banche americane per finanziare i loro progetti in giro per il mondo.
Nelle scorse settimane la oil major francese Total ha annunciato che, se non riuscirà ad ottenere una specifica eccezione (waiver) alle sanzioni dell’amministrazione Trump, sarà costretta ad abbandonare il suo progetto South Pars 11 (SP11), che prevedeva lo sviluppo – in partnership con la cinese Petrochina – di un nuovo giacimento di gas destinato a soddisfare la domanda interna dell’Iran.
L’Eni – secondo quanto riportato dall’agenzia internazionale Reuters – ha rivelato in questi giorni di non avere esposizioni materiali in Iran, e pertanto di non essere oggetto delle nuove sanzioni americane (le sanzioni secondarie diventeranno effettive a partire del 4 novembre 2018, secondo quanto affermato dal Dipartimento del Tesoro Usa). Tutti i pagamenti in sospeso per precedenti progetti – ha spiegato la corporation di San Donato Milanese – sono stati recuperati, e l’unico rapporto in corso con il Paese è un contratto di fornitura di petrolio di 2 milioni di barili al mese, che giungerà a termine entro fine anno.
Italia primo importatore europeo
Nonostante le rassicurazioni del ‘cane a sei zampe’, e la dichiarata volontà dell’Europa di preservare la validità dell’accordo dei 5+1, è però difficile pensare che le nuove sanzioni non avranno un impatto diretto sul Vecchio Continente, e sull’Italia in particolare.
Il Belpaese, infatti, si è imposto fin dall’estate 2015, quando la cancellazione delle sanzioni occidentali aveva consentito all’Iran di tornare ad operare come esportatore (e membro dell’OPEC) sul mercato mondiale del greggio, come uno dei principali mercati di sbocco del petrolio iraniano. L’Italia si attesta al primo posto tra i membri dell’UE per import petrolifero da Teheran, e al 5° posto nel mondo dietro soltanto a Paesi asiatici con tassi di crescita economica molto più alti dei nostri – Cina, India, Corea del Sud e Turchia – e davanti alla Grecia. Secondo i dati raccolti dalla società specializzata Platts, a fine 2017 sui 700.000 barili di greggio al giorno importati mediamente in Europa, ben 227.000 barili erano diretti in Italia, soprattutto verso le raffinerie di Saras in Sardegna e di ISAB-Lukoil in Sicilia.
E d’altra parte l’Iran è diventato il secondo fornitore di petrolio per l’Italia, superato soltanto dall’Azerbaijan.
Secondo le statistiche formulate dall’Unione Petrolifera, l’associazione italiana che raggruppa le principali aziende del settore, nel 2017 l’Italia ha importato in totale oltre 66 milioni di tonnellate di petrolio greggio, di cui 12,3 milioni (il 18,7% del totale) dall’Azerbaijan, 9,3 milioni dall’Iran (il 14,1%) e 8,5 milioni (il 12,9%) dall’Iraq. Il Paese degli ayatollah è quindi il nostro secondo fornitore, con un volume di greggio che lo scorso anno è aumentato del 284,6% rispetto al 2016, a differenza dell’Azerbaijan, cresciuto ‘solo’ del 40%, e dell’Iraq, la cui quota è diminuita del 28,5%.
I benefici per gli esportatori Usa
E’ chiaro quindi che, se davvero l’export complessivo di petrolio dell’Iran dovesse diminuire a causa delle nuove sanzioni americane – come ipotizzato da diversi analisti – l’Italia sarà direttamente toccata da questa dinamica e dovrà modificare il suo attuale mix di fonti di approvvigionamento.
D’altra parte, un’eventuale riduzione della quota del mercato internazionale detenuta dall’Iran potrebbe avere effetti benefici proprio sui produttori di petrolio americani, che negli ultimi tempi hanno iniziato a sfruttare massicciamente le riserve di shale oil scoperte di recente e dal 2016 sono nuovamente autorizzati a vendere greggio sui mercati internazionali grazie alla cancellazione del divieto che durava da 40 anni.
Già durante l’ultimo anno il volume di export petrolifero americano è sensibilmente cresciuto, passando da 834.000 barili di greggio al giorno nel marzo 2017 fino a 1,67 milioni di barili al giorno nel marzo 2018, ma secondo diversi osservatori il trend è destinato a consolidarsi ulteriormente: a fine aprile l’export aveva già raggiunto – scrive l’agenzia Bloomberg – i 2,33 milioni di barili al giorno (il valore più alto degli ultimi 25 anni) ed entro il 2023, in base a quanto dichiarato recentemente ai media americani da Fatih Birol, Direttore dell’International Energy Agency (IEA), le esportazioni di greggio degli Stati Uniti potrebbe raggiungere quota 5 milioni di barili al giorno, ponendo il Paese ai vertici settore: il primo produttore mondiale, l’Arabia Saudita, esporta mediamente 7,5 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre il secondo, la Russia, supera di poco i 5 milioni di barili al giorno.
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