Perché le concessioni non sono un affare per lo Stato
di LETTERA 43 (Samuele Cafasso)
Con il 5G lo Stato ha staccato un assegno da oltre 6 mld. Ma non sempre va così. Tutti gli affari persi a favore dei privati: autostrade, tivù, ma anche stabilimenti balneari e acque minerali.
Che bello (per lo Stato) se fosse sempre come per il 5G: nelle casse pubbliche entreranno la bellezza di 6,55 miliardi versati dalle compagnie telefoniche per aggiudicarsi le frequenze. Una cifra monstre ottenuta grazie a una asta pubblica combattuta a colpi di rilanci e che ha finito per costare molto cara alle compagnie telefoniche, tanto che adesso i sindacati temono ripercussioni sull’occupazione. Nelle casse pubbliche, invece, è arrivato più del doppio di quanto messo a bilancio nella manovra del 2018. Ma lo Stato non è sempre stato altrettanto oculato quando si trattava di mettere a reddito i propri beni pubblici: dalletivù alle autostrade, per passare alle concessioni per gli ambulanti, quellebalneari, perfino le acque minerali. I soldi persi per strada sono molti. In alcuni casi per tutelare posizioni di rendita, in altri casi per incapacità, spesso per connivenze politiche.
BERLUSCONI E I BEAUTY CONTEST
Una delle storie più intricate riguarda, ovviamente, Silvio Berlusconi e le televisioni. Il vizio originale, come ricorda l’economista Carlo Scarpa, fu l’entrata nel mercato in una «situazione di totale illegalità, per mancanza diregole ma anche per la non applicazione di quelle che c’erano». La vicenda è nota: Berlusconi che trasmette in chiaro sfidando il monopolio pubblico, il prefetto che oscura le trasmissioni, il governo Craxi che interviene in fretta e furia per riportare Mike Bongiorno nelle case degli italiani. Siamo alla fine degli Anni 80, primi 90. Ma mica è stata l’unica occasione: nel 2011, si tratta di assegnare le frequenze per il digitale terrestre. Gara pubblica, quindi? Macché. Il governo Berlusconi preferisce il “beauty contest”, un modo carino per dire che non si paga. Ci penserà poi il governo Monti, tra molti mal di pancia, a cambiare rotta e a imporre il bando: fino al 2012, Mediaset pagava 55 milioni di euro l’anno, l’1% del fatturato. E qui si arriva ai giorni nostri perché il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha annunciato di voler mettere nel mirino i pacchetti multiplex, forse in occasione della ridistribuzione delle frequenze per far spazio a Telecom. Vedremo se le intenzioni saranno rispettate, oppure se anche questa partita rientra nell’accordo che ha portato Marcello Foa alla presidenza della Rai.
Sulle autostrade, molto si è detto e scritto. Certamente fa impallidire il fatto che, nel 1999, per aggiudicarsi il pacchetto di controllo di Autostrade, la cordata guidata dai Benetton abbia sborsato poco più di 5 miliardi di lire(altri 8 furono ottenuti dall’Ipo delle restante azioni) per poi incassare, dal 2001 al 2017, la bellezza di 43,7 miliardi di euro di ricavi da pedaggi che valgono, al netto di oneri, costi e investimenti, 13 miliardi di margine. «Ma almeno in quel caso», spiega Scarpa a Lettera43.it, «ci fu il pagamento allo Stato per rilevare una concessione che prima era pubblica: ci sono altri casi in cui le autostrade sono state semplicemente assegnate a chi le aveva costruite, non mi risultano gare». Qui, però, più di mancate entrate per lo Stato dovremmo parlare di salasso ai danni degli automobilisti. Per quanto riguarda potenziali connivenze politiche, è un dato di fatto che i Benetton, ma anche i Gavio, abbiano finanziato gran parte dell’arco parlamentare, in maniera bipartisan.
Ci sono però altri casi, meno noti, che meritano attenzione. Carlo Stagnarodell’Istituto Bruno Leoni ricorda, per esempio, le concessioni demaniali degli stabilimenti balneari, «dove le gare proprio non sono state fatte e le aggiudicazioni dirette risalgono a decine di anni fa». Il tira e molla con l’Unione europea su questo campo è, come noto, infinito. «I canoni sono irrisori», sottolinea Stagnaro, «basti pensare che lo Stato incassa ogni anno circa 100 milioni, poche migliaia di euro per ogni stabilimento». Ma l’Italia è sotto procedura di infrazione europea per mancato rispetto delle regole sulla concorrenza anche per le concessioni idroelettriche, perlopiù in mano a Enel, ex municipalizzate (A2A, Iren e altre) ed Edison. Ma il caso più clamoroso, svelato l’anno scorso da un’indagine del Mef stesso, è quello che riguarda le acque minerali. Secondo i dati del ministero dell’Economia, per ogni euro di canone di concessione le società che imbottigliano l’acqua (di tutti, fino a prova contraria) ne ricavano 191,35. I dati sono riferiti al 2015: il fatturato dell’imbottigliamento vale in Italia 2,7 miliardi. Ma nelle casse dello Stato entrano appena 18,4 milioni. Fare affari con lo Stato, a quanto pare, per alcuni imprenditori è facile come bere un bicchier d’acqua.
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