USA potrebbero lasciare il Trattato INF con la Russia per contrastare la Cina nel Pacifico
di SICUREZZA INTERNAZIONALE
L’amministrazione Trump si sta preparando per comunicare alla Russia che potrebbe lasciare il Trattato INF, noto anche con il nome in inglese “Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty”, per permettere al Paese di contrastare la graduale crescita di armamenti cinesi nel Pacifico.
Il Trattato INF era stato firmato l’8 dicembre 1987 dall’allora presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, e dal leader dell’ex Unione Sovietica, Michail Gorbačëv. L’accordo pose fine alla vicenda degli euromissili, quei razzi nucleari a raggio intermedio installati da Stati Uniti e URSS sul territorio europeo durante la Guerra Fredda. L’accordo bandiva tutti i missili via terra con raggio che andava da 500 a 5.500 chilometri, compresi quelli a testata nucleare, ma non vietava i razzi via aria o via mare. In tutto, vennero distrutti 2.692 missili: 846 da parte di Washington e 1.846 da parte di Mosca.
Più di una volta, negli ultimi 4 anni, Washington ha accusato Mosca dia ver violato il trattato, in quanto il Cremlino aveva schierato armi nucleari tattiche proibite per intimidire le nazioni europee e gli ex Stati sovietici che si erano allineati con l’Occidente. Nel 2014, l’ex presidente statunitense, Barack Obama, accusò formalmente la Russia di non rispettare il patto, ma il leader scelse di non lasciare il trattato, sia a causa alle opposizioni di alcuni Stati europei, specialmente della Germania, sia perché era preoccupato della possibilità di ripresa della corsa agli armamenti.
Il Trattato INF ha tuttavia impedito agli Stati Uniti di spiegare nuove armi per rispondere ai tentativi della Cina di rafforzare la sua posizione già dominante nel Pacifico occidentale e di limitare le forze navali statunitensi. Dato che Pechino non è tra i firmatari dell’accordo, il suo governo non ha limiti per quanto riguarda lo sviluppo di missili nucleari a medio raggio. Da parte sua, il Pentagono sta già sviluppando una serie di armi nucleari che possano contrastare quelle impiegate dalla Cina. Tuttavia, queste operazioni potrebbero richiedere anni e, pertanto, Washington si sta preparando per modificare gli armamenti esistenti, inclusi i missili Tomahawk, che probabilmente spiegherà in Asia, più precisamente in Giappone o a Guam, dove gli Stati Uniti possiedono una grande base militare e dovrebbero affrontare una ridotta opposizione politica.
La Casa Bianca ha dichiarato che non è ancora stata presa alcuna decisione ufficiale per lasciare il trattato, ma nelle prossime settimane il presidente statunitense, Donald Trump, potrebbe autorizzare il provvedimento. Il segretario della Difesa, Jim Mattis, nelle ultime settimane ha pubblicamente parlato dell’argomento, definendo “indifendibili” le violazioni russe e segnalando che l’amministrazione Trump stava rivedendo le sue opzioni a riguardo. Inoltre, in un documento strategico nucleare pubblicato all’inizio del 2018, la Casa Bianca aveva elencato nel dettaglio le infrazioni di Mosca, concludendo che “la decisione di violare il Trattato INF e altri obblighi indicano chiaramente che la Russia ha respinto ripetutamente i tentativi statunitensi di ridurre l’importanza, il ruolo e il numero di armi nucleari”.
Secondo il New York Times, se gli Stati Uniti dovessero lasciare l’INF, ciò potrebbe peggiorare la situazione “da Guerra Fredda” in vigore attualmente tra Washington, Mosca e Pechino. Di recente, infatti, la Russia ha fatto volare alcuni bombardieri sull’Europa e ha condotto una serie di esercitazioni militari nei pressi dei confini con alcuni ex Stati sovietici. Da parte loro, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO hanno spostato le loro forze in quei Paesi che si trovano sotto minaccia, come ad esempio l’Ucraina. Allo stesso tempo, Pechino e Washington stanno portando avanti una guerra commerciale e si contendono le scogliere del Mar Cinese Meridionale, che la Cina ha trasformato in basi militari.
Sicurezza Internazionale è il primo quotidiano italiano dedicato alla politica internazionale.
Consultazione delle fonti inglesi e redazione a cura di Chiara Romano
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