Trump fa affari e stringe alleanze, l’Europa invertebrata resta a guardare
di LINKIESTA (Alberto Negri)
Il presidente cinese Xi Jinping e Donald Trump hanno delineato l’ipotesi di uno sblocco dei negoziati che accantoni l’escalation dei dazi. Si scopre così che in gran parte il destino dell’Europa viaggia sull’asse Washington-Pechino
Cosa c’è di meglio di un rialzo dei mercati per recuperare nei sondaggi alle elezioni di midterm? Un messaggio positivo è più efficace dei discorsi razzisti e anti-immigrazione che hanno mobilitato 15mila soldati Usa ai confini con il Messico, più di quanti ce ne siano nel tormentato Afghanistan dei talebani. Così è arrivato il toccasana della telefonata tra il presidente cinese Xi Jinping e Donald Trump, in cui i due leader hanno concordato e delineato l’ipotesi di uno sblocco dei negoziati che accantoni l’escalation dei dazi sulle rispettive importazioni. Nulla ancora di decisivo, ma tanto è bastato per ridare slancio alla Borse mondiali e a quelle europee.
Così gli europei, di solito abbastanza indifferenti alle elezioni americane di metà mandato, hanno scoperto di essere anche loro in campagna elettorale e che quella americana è davvero importante, quasi quanto le debàcle della Cdu in Germania in Baviera e Assia e dell’abbandono di Angela Merkel dalla segreteria del partito che di fatto ha guidato l’Unione europea nell’ultimo ventennio.
Si scopre così che in gran parte il destino dell’Europa viaggia sull’asse Washington-Pechino, per l’economia e non solo per quella. Ma quale Trump avremo alla fine della prossima settimana?
Il 6 novembre gli americani sono chiamati alle urne per rinnovare la Camera dei Rappresentanti e un terzo dei seggi del Senato: sono elezioni di solito considerate come una sorta di referendum sul presidente in carica perché tastano il polso dell’elettorato in vista delle presidenziali del 2020.
Quasi sempre il partito del presidente in carica – questa volta il Repubblicano – nelle elezioni di midterm perde almeno un ramo del Congresso: è successo il contrario solo due volte con Roosevelt nel 1934 e con Bush junior nel 2002. Per gli americani la domanda più importante è se il Partito democratico strapperà la Camera dei rappresentanti o il Senato ai Repubblicani, per gli altri quali saranno gli effetti sul resto del mondo e per l’Europa.
Per gli americani la domanda più importante è se il Partito democratico strapperà la Camera dei rappresentanti o il Senato ai Repubblicani, per gli altri quali saranno gli effetti sul resto del mondo e per l’Europa
Il bilancio di questi primi due anni di presidenza Trump per gli europei non è positivo. Ma neppure così imprevedibile. Dopo la fine dell’Unione Sovietica l’attenzione americana era già andata progressivamente spostandosi dallo spazio euro-atlantico verso altre aeree geografiche come il Pacifico e oggi la competizione strategica per gli Stati Uniti si gioca con la Cina, su scala planetaria.
L’Europa per Trump è una pedina da manovrare, più che un alleato. Probabilmente lo avremo anche nel vertice di Parigi con Putin dell’11 novembre ai margini delle celebrazioni per la vittoria nella prima guerra mondiale. Il presidente ha reso ancora più evidente lo stato delle cose introducendo forti tensioni nelle relazioni tra gli Usa e l’Unione europea e all’interno della Nato, l’ombrello storico della sicurezza europea.
L’Unione ha risposto in maniera inadeguata, dimostrando di non sapere formulare politiche di ampio respiro, sia nel campo della politica estera che della difesa. Non c’è un dossier, dall’Ucraina, alla Siria, alla Libia, che l’Europa sia capace di risolvere da sola o anche soltanto di gestire. Anzi, con le divisioni laceranti sul tema delle migrazioni, l’Ue ha fatto a capire a Trump che poteva affondare il coltello nel burro.
Non c’è un dossier, dall’Ucraina, alla Siria, alla Libia, che l’Europa sia capace di risolvere da sola o anche soltanto di gestire. Anzi, con le divisioni laceranti sul tema delle migrazioni, l’Ue ha fatto a capire a Trump che poteva affondare il coltello nel burro
Trump si è dimostrato insofferente anche nei confronti della Nato ripetendo cose che aveva già detto Obama: gli europei sono degli “scrocconi” perché pagano soltanto il 20% delle spese dell’Alleanza Atlantica.
E quindi ha agito di conseguenza. Ha dichiarato di considerare l’Europa un nemico economico e ha cominciato a rispondere al nuovo protagonismo della Russia a modo suo, minacciando il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato Inf, pietra miliare del controllo degli armamenti nucleari focalizzato sul continente europeo.
La novità principale di Trump per l’Europa è stata questa: capovolgere il dogma degli europei basato sul dialogo e il negoziato a oltranza e che prevede la rottura soltanto come mezzo estremo. Trump invece prima rompe e poi avvia il negoziato. Così sta avvenendo sui dazi con la Cina, così accade per i missili nucleari con Mosca. In questo modo Trump coglie di sorpresa i suoi interlocutori, alleati compresi, per poi presentarsi, dopo un’alternanza di provocazioni e tensioni, come l’uomo che risolve i problemi al tavolo negoziale.
Con l’Europa il presidente americano ha gioco facile. Persino con la Germania: ha obbligato la Merkel ad acquistare gas liquido americano, che costa il 20% in più della media, in cambio del via al raddoppio del gasdotto North Stream con la Russia. E ora con le sanzioni nei confronti dell’Iran, che entrano in vigore in questi giorni, strangola non solo la repubblica islamica ma anche il commercio europeo con Teheran. Poi se gli europei provano a ricompattarsi, sa dove andare a colpire nel ventre molle dell’Unione, dai Paesi di Visegrad all’Italia, favorito anche dalla Brexit inglese. Un presidente spregiudicato che sfrutta la fragilità di un’Europa ormai invertebrata.
Fonte: https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/03/trump-cina-dazi-europa-fragile/39985/
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