L’Italia fa la guerra del gas e tocca gli interessi dell’Ue
di GLI OCCHI DELLA GUERRA (Andrea Muratore)
Negli ultimi tempi il Mediterraneo orientale è in subbuglio in seguito allo sviluppo delle attività di ricerca ed estrazione di ricchi giacimenti di gas naturale che potrebbero ridisegnare la mappa degli equilibri energetici regionali. Come scritto dal sottosegretario della Difesa, il leghista Raffaele Volpi, in un post su Facebook: “L’area è al centro di una partita energetica quale crocevia di vari gasdotti che dai giacimenti al largo dell’Egitto e di Israele potrebbero portare ingenti quantità di gas in Europa dove l’Italia potrebbe essere il privilegiato punto di ingresso per la successiva distribuzione del continente. Nella complessità dello scenario sono coinvolti direttamente a vario titolo cinque paesi europei quali Cipro, Grecia, Francia, Regno Unito e Italia; nonché l’intera Unione europea per la diversificazione dell’approvvigionamento energetico”.
Si tratta di uno scenario da tenere monitorato: Eni, Total e Bp sono tra le principali major energetiche intenzionate ad attivarsi in sempre maggiori investimenti nella regione. Il colosso di San Donato Milanese, in particolare, ha di recente surclassato il record conseguito nel 2015 con la scoperta del maxi giacimento Zohr al largo delle coste egiziane.
Il nuovo giacimento Noor, scoperto nella concessione di Shorouk, potrebbe essere addirittura due volte più grande e, come ricordato da Gli Occhi della Guerra, garantirebbe “le risorse per trasformare l’Egitto in un esportatore di gas, cambiando di conseguenza gli equilibri in un settore dove tutti, dagli attori regionali fino a alle superpotenze internazionali, hanno forti interessi”.
Anche Israele partecipa alla partita nel Mediterraneo
Tra i Paesi maggiormente attivi nella corsa al gas del Mediterraneo vi è senza ombra di dubbio Israele. Lo Stato ebraico, scrive Formiche, nel 2008 “importava il 100% delle sue risorse energetiche, mentre nel 2015 ben il 50% del consumo elettrico interno era costituito da carbone. Ad oggi lo scenario è destinato a cambiare rapidamente vista della presenza di giacimenti in loco”. Israele si è prefissata “l’obiettivo di ridurre del 50% il carbone nel 2022 e di eliminarlo completamente nel 2026, puntando forte su veicoli elettrici, a idrogeno e a gas naturale compresso. È anche questa la ragione dell’accelerazione di Tel Aviv sui gasdotti, che si intrecciano con il trasferimento degli impianti di produzione dall’olio combustibile al gas naturale, destinato a sfondare nel brevissimo periodo quota 80% della domanda di elettricità di Israele”.
Inizialmente, la scoperta del giacimento Leviathan aveva portato Tel Aviv a diventare esportatrice netta di gas naturale; ora, l’obiettivo, benedetto anche dagli Stati Uniti che non vogliono lasciarsi sfuggire l’occasione di sottrarre quote di mercato alla Russia, è la costituzione di un hub gasiero del Mediterraneo orientale. E il Paese prescelto, per motivazioni geologiche e geopolitiche, non potrà essere che l’Egitto.
L’Egitto sempre più centrale nella strategia del gas nel Mediterraneo
La conformazione geologica del fondale marino del Mediterraneo orientale obbliga tanto il gas del giacimento israeliano Leviathan quanto quello del sito cipriota Afrodite a dirigersi, in assenza di un’efficace rete Gnl sul territorio dei due Paesi, verso l’Egitto prima di raggiungere i potenziali acquirenti nel resto del mondo.
L’Egitto, sottolinea Daniele Raineri su Il Foglio, “si candida a essere il paese leader nel trattamento del gas appena estratto nel settore est del Mediterraneo”. In questo senso, il governo cipriota ha già dato notizia di quattro imprese potenzialmente interessate alla costruzione del gasdotto diretto in Egitto.
Manfred Hafner e Simone Tagliapietra della Fondazione Eni Enrico Mattei hanno scritto sull’ultimo cartaceo di Formiche che l’Unione europea non dovrebbe farsi sfuggire la nuova realtà gasiera del Mediterraneo orientale. “Partendo dal quadrante orientale del Mediterraneo, l’Europa potrebbe lavorare sia sul piano diplomatico sia su quello finanziario per facilitare la creazione di un gas hub nella regione accentrato sull’Egitto […] Sfruttando le infrastrutture di Gnl esistenti nel Paese […] si potrebbe inoltre sviluppare un piano congiunto di esportazione dalla regione”.
L’interesse energetico italiano
La creazione di un hub gasiero nel Mediterraneo orientale incontra l’aspirazione della strategia energetica italiana, che deve essere fondata sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento di risorse strategiche come il gas naturale e, in prospettiva, sulla creazione di un analogo polo di distribuzione sul versante mediterraneo dell’Unione europea.
L’assenso del governo Conte alla costruzione della Tap e all’apertura delle importazioni dirette dall’Azerbaijan non risolve infatti il problema della dipendenza energetica del sistema Paese e, come scrive Costantino Moretti in Geopolitica del mare, “anche con la quantità aggiuntiva di gas azero il sistema del gas italiano avrebbe comunque un margine di sicurezza alquanto ridotto nel caso venisse a mancare […] la principale fonte di approvvigionamento” rappresentata dal gas russo.
Guardare al Mediterraneo per risolvere i problemi energetici del Paese è, in questo contesto, una soluzione ottimale che l’Italia deve promuovere a livello internazionale. Di recente, la commissione Esteri alla Camera ha approvato lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulla politica estera energetica dell’Italia tra crisi regionali e rotte transcontinentali. L’obiettivo, tra gli altri, è verificare le priorità e implicazioni geopolitiche in prospettiva dell’interesse nazionale: e su questa prospettiva si inserisce il rilancio dell’azione nel Mediterraneo orientale.
L’Italia ha un importante capitale diplomatico da spendere nella regione, conosciuta in maniera notevole a Roma, e può contare sull’azione a lungo raggio di Eni, vera e propria garanzia per il Paese: le prospettive interessanti del Mediterraneo orientale dovranno essere sfruttate al massimo del loro potenziale.
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