Non mancano nella storia politica governi di coalizione retti da partiti con concezioni e ideologie non solo diverse ma anche opposte. Si pensi solo, per restare in Italia, ai governi espressi dal Cln subito dopo la caduta del fascismo, con comunisti e democristiani che addirittura proponevano due collocazioni geopolitiche diverse per il nostro Paese.
Si è sempre trattato però di governi di sintesi, ove le diverse idee trovavano in punto di compromesso e si traducevano in politiche che realizzavano solo in parte gli obiettivi ultimi di ognuna delle forze politiche che li sorreggevano. La novità assoluta dell’attuale governo italiano è che la sintesi non la si è proprio cercata, anche perché sarebbe stata molto probabilmente irraggiungibile (almeno comunisti e democristiani avevano nell’antifascismo una base di comune accordo). Si è deciso più semplicemente di spartirsi i compiti: ad esempio, i pentastellati avrebbero avuto mano libera per realizzare le loro politiche sulla giustizia e in buona parte sull’economia; i leghisti quelle sulla sicurezza e l’immigrazione, ecc.
Ciò però di cui non si è fatto debito conto è però che, essendo il governo uno solo, determinate politiche realizzate, senza compromessi, da uno dei due contraenti avrebbe potuto contrastare troppo nettamente, e generare risentimenti, nella constituency dell’altro. I due elettorati infatti hanno radici e idee completamente opposte, pur nel comune elemento di rottura netta con la tradizione, anche del loro rispettivo campo. Che il Movimento 5 Stelle sia subalterno alla Lega, la quale al contrario di esso riesce a realizzare i suoi obiettivi contrattuali, è una tesi che, per quanto diffusa sugli organi di informazione, va circoscritta e chiarita.
È vero che i pentastellati stanno ottenendo spesso solo risultati simbolici, a cui non corrisponde una reale sostanza, almeno nell’immediato, ma intanto, attraverso i simboli, stanno riuscendo a chiarire fino in fondo la loro natura e identità. Le quali, così come sono, non dispiacciono affatto a una larga fetta dell’elettorato, soprattutto agli orfani del “lungo Sessantotto” italiano. Nonché ai più giovani, i quali, non è da meravigliarsi, inseguono i sogni idealistici di un mondo migliore non avendo ancora sperimentato che di solito chi vuole il paradiso su questa terra è pronto a donarci un sostanzioso inferno.
La politica redistribuiva e assistenzialistica; la più generale lotta contro le caste, politiche e economiche insieme; l’iperdemocraticismo; il pauperismo; il giustizialismo, sono tutti elementi che possono essere ridotti a una visione post-ideologica ma anche, tutto sommato, di sinistra, anche se sicuramente si tratta di altra cosa rispetto alla vecchia sinistra realista che ha avuto un peso rilevante nella storia italiana.
Marcatamente di destra è invece, seppur anche in questo caso in modo post-ideologico e poco riconducibile alla vecchia destra, sia nella sua versione liberale sia in quella del conservatorismo sociale, è l’identità della Lega, che si è proposta di rispondere, da una parte, all’esigenza di sicurezza diffusa fra gli italiani, dall’altra, anche in qualche modo, non essendo le due cose in contraddizione, a quella di libertà economica del piccolo e medio ceto imprenditoriale o di liberi professionisti, soprattutto libertà dalle burocrazie e dalle tasse. Liberale senza le intransigenze del vecchio liberismo; attenta ai temi della legge e dell’ordine, del governo forte, ma del tutto immune da ogni ombra di vecchio fascismo (checché ne dica a fini propagandistici la sinistra): questo è oggi la Lega. E questa è, più in generale, la situazione generale, il quadro che sicuramente le elezioni europee contribuiranno a chiarire ulteriormente.
Quello che è evidente è che il nostro sistema politico, un quarto di secolo dopo la fine della prima Repubblica, non riesce ancora a trovare un equilibrio accettabile. Che è poi quello che solo garantisce relativa stabilità e offre un quadro che permette alle forze operanti di mettere fuori le proprie energie vitali e far crescere la società.
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