Perché è fallita la Conferenza sulla Libia organizzata dal governo Conte alla Villa Igiea di Palermo? In primo luogo, è stata una conferenza caotica, affrettata e organizzata quasi all’impronta, con evidenti segni di fretta semplificatrice, che si sono resi visibili sia nella logistica che nella linea politica. Ai tempi di Moro, Cossiga, Craxi la conferenza sarebbe stata certamente un vero successo. Perché? Perché l’Italia contava ancora molto nel Mediterraneo, e veniva presa molto sul serio da tutti. E sapeva quali erano i suoi interessi, non le solite “seduzioni alcinesche” della pace, dello sviluppo e altro, per dirla con Benedetto Croce. Non sarebbe stata possibile la pressione e il ricatto, da parte di Francia e Gran Bretagna, verso l’Italia, per bombardare un Paese, la Libia di Gheddafi, che era la nostra banca d’affari sempre aperta, il nostro partner strategico nel Maghreb, la garanzia militare contro la Françafrique e il difensore degli equilibri con l’Egitto e l’Algeria.
E la protezione dei pozzi Eni dai tanti pericoli. Oggi, l’attuale governo italiano ha ridotto la questione libica ad un problema di semplice riunificazione tra i due tronconi, quello cirenaico e l’altro, tripolino, tanto amato dall’Onu ma non si sa perché. Manca poi tutto il Fezzan, area di tribù autonome in cui interessi si intersecano con i traffici illeciti e con quelli dei migranti. E il Fezzan era controllato da Gheddafi con un efficacissimo sistema del bastone (tanto) e della carota(talvolta). Pensare che tutto ciò sparisca per il semplice buon volere e buon cuore di Al Serraj a Tripoli o di Haftar a Bengasi è una cosa del tutto impensabile. Poi, non si imposta mai una grande operazione di politica estera, e così delicata, per la sola questione dei migranti. I migranti sono soprattutto l’effetto del cretinismo di Londra e Parigi sulla Libia, della loro voglia di far fuori un “tiranno” (è la loro retorica politica settecentesca) che era invece un meraviglioso asset per l’odiata Italia. Certamente, Haftar non poteva poi accettare nemmeno che l’Italia fosse il finanziatore unico della guardia costiera di Tripoli, che coordinava l’”Operazione Nauras”, per bloccare le navi dei migranti e le Ong che li proteggevano. Non si può finanziare uno dei contendenti e aspettare che l’altro ne sia contento. Ma i migranti sono un’emergenza sociale, politica, economica che non può essere, da sola, l’oggetto di una conferenza per la pace in Libia. È da troppo tempo, infatti, che in Italia si confonde la politica estera con quella interna.
Senza peraltro venire mai a capo di nessuna delle due. Non si dimentichi nemmeno l’atto, del tutto offensivo, che ha organizzato Macron sulla difesa europea il 12 novembre, con Trump, Putin, la Merkel. La “difesa europea” è una immane sciocchezza inventata dalla tardiva infanzia di Emmanuel Macron, che voleva addirittura fondere le armate francesi con quelle tedesche, all’inizio del suo mandato. Alcune parole di Cambronne degli altri gradi francesi hanno, finora, bloccato questo processo, evitando che le FF.AA. francesi si uniscano con l’attuale disastro cronico della Bundeswehr. La presenza russa alla Conferenza era comunque di rilievo, con un vice-ministro di peso, Bogdanov. Cosa voleva dalla Conferenza siciliana Mosca? Ovvio, un riconoscimento del suo ruolo nuovo nel Mediterraneo orientale. La Russia non pensa più al Mare Nostrum come ai tempi della guerra fredda, per dividerlo in due aree, ma lo immagina come unitario e, probabilmente, con una sola egemonia: la propria. Mentre Mosca ha ottimi rapporti con gran parte dell’Africa, solidificati da trattati economici, così non accade certo con l’Europa Unita, mentre la ribellione contro il franco Cfa da parte dei 14 Paesi che sono costretti ad adottarlo monta sempre di più.
Fa peraltro sorridere l’idea di non aver invitato la Cina, alla Conferenza palermitana. È strana questa dimenticanza. La Cina è il maggior partner commerciale dei Paesi africani, con l’eccezione dello Swaziland. Un paese donatore, investitore, finanziatore. Con una massa di investimenti, nell’intera Africa, che per quest’anno è arrivata a 600 milioni di dollari, oltre a una presenza storica nelle infrastrutture in Nigeria e Angola che è oggi senza pari. Sono tra i Paesi che, insieme ad altri, generano il flusso di migranti che arrivano alle spiagge libiche. L’idea di non invitare la Cina è quindi autolesionistica. E sarebbe anche interessante sapere chi sta dietro ai tanti raccoglitori di uomini che si vedono nelle piazze africane. Certamente, molti “operatori” dell’Occidente e qualche manutengolo dei capi locali, che vogliono togliersi dai piedi ex-galeotti e “masse pericolose”.
Perché, quindi, la Cina non è stata invitata? Per provincialismo. Perché non si riesce a immaginare come un Paese di quella estensione possa interessarsi alla pace in Africa, e, probabilmente, non si sa cosa voglia. Semplice: Pechino vuole l’assoluta stabilità di tutto il continente nero. Ma noi possiamo dargliela? No. La Francia mantiene ancora la sua Operation Barkhane, tra il Ciad e la Mauritania, che serve soprattutto a far passare i migranti verso la Libia. Le truppe nordamericane di Africom sono poi ovunque, nel continente nero. In funzione anticinese. Si pensi anche al caso di Gibuti, dove una nuova base cinese è stata costruita vicinissima a quella Usa. Dopo la fase degli investimenti economici, ci sarà anche, sicuramente, quella delle postazioni militari di Pechino, e non sono tanto sicuro che non venga fuori una base cinese anche sulle coste del Maghreb. E la Cina, poi, è un’amica di Israele, non dimentichiamolo. Insomma, è stata una vera follia eliminare il peso della Repubblica Popolare Cinese dalla Conferenza di Palermo. Perché? Perché non si vuole disturbare l’America? Inutile. Perché può essere troppo grande e quindi potrebbe affermare quia sum Leo? La diplomazia cinese è talmente sottile da non permettere tali deduzioni.
Secondo me, la base di questa esclusione è, lo ripetiamo, l’ignoranza. I nostri diplomatici vengono infatti da anni di “riforme” che li hanno trasformati in rappresentanti di commercio. Tutti ossessionati da un’economia che non conoscono. E quindi si saranno persi la evoluzione degli affari cinesi in Africa. Per quanto riguarda la Francia e la Gran Bretagna, esse sono venute a utilizzare la Conferenza per i loro scopi. Il ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, è un vecchio mitterrandiano bretone di ampia esperienza. La stessa organizzazione per incontri bilaterali, come stabilito dal regolamento, favoriva gli accordi riservati e gli incontri “coperti”. Per uno come Le Drian, che è membro del Grande Oriente di Francia, la copertura è facile. L’interesse primario dei francesi è quello di limitare al massimo la presenza dell’Eni. Ed escludere l’Italia dai giochi africani. Gli inglesi hanno poi lo stesso stile degli Usa: portano la democrazia da qualche parte e poi, subito dopo, se ne dimenticano. E’ stato quindi favorito il rapporto a due, fuori da uno schema generale, come invece sarebbe stato interesse dell’Italia. E sarebbe stato utilissimo avere un summit comprensivo di tutti, per dirimere gli eventuali blocchi e rifiuti.
Ma l’idea del governo italiano non era di politica estera, ma di politica interna: far cessare, lo ripetiamo, i flussi di migranti. Poi, nessuna altra idea, per la Libia, se non il “dialogo” o la solita “pace”. Banalità da giornali. Come si fa, infatti, a mettere insieme Al Serraj e Haftar, che vogliono un dominio sulla Libia costiera e su quella produttiva che implica il solito principio di Francesco I e Carlo V, “io e mio fratello vogliamo la stessa cosa”. Era il ducato di Milano. Perché Al Serraj poi si dovrebbe suicidare, forse solo politicamente, per Haftar? E, certo, Haftar sta a sentire solo i russi e i servizi francesi, che lo sostengono nelle sue azioni. E perché, poi, si dovrebbe tentare una “Libia Unita”, quando oggi nessuna fazione ha difficoltà solo a vedere l’altra? Diciamocelo chiaramente: l’unico modo di unificare la Libia, è quello di ridarle un vero rais. Solo chi minaccia credibilmente una forza massima può bloccare le forze più piccole in fase di insurrezione. Se si leggessero più spesso i volumi del Machiavelli, invece dei politologi cuorinfranti, forse andrebbe meglio.
Insomma, la Conferenza di Palermo è stata una buona idea, in linea di principio, ma fatta da un Paese che prima era una potenza di secondo livello e, oggi, nemmeno quello. Decenni di distruzione della nostra politica estera, che sono poi tutto il periodo che va dalla fine della “prima repubblica” ad oggi, hanno lasciato il segno.
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