La grande guerra dei centri commerciali per il controllo della Lombardia
di THE SUBMARINE (Stefano Colombo)
Nel 2021 aprirà a Segrate Westfield Milano, un centro commerciale grande il doppio di quello di Arese — finora il più grande d’Italia. È solo l’ultima mossa in una guerra che si combatte a colpi di consumo di suolo.
La fantascienza si è sempre divertita a immaginare il futuro. Asimov pensava che le metropoli dei prossimi secoli si sarebbero sviluppate sottoterra; in Altered Carbon, i ricchi vivono in case sospese tra le nuvole, un po’ come I Jetsons dei cartoni. Di tutto questo, ancora niente si è realizzato — ma nell’ultimo mezzo secolo, l’umanità ha visto la nascita e lo sviluppo dei centri commerciali.
La pianura lombarda è la frontiera finale di questo gioiello dell’evoluzione umana, di questa avanguardia della cosiddetta civiltà occidentale: a partire dagli anni ‘90 si è andata costellando di strutture, sempre più moderne, più grandi e stimolanti, in una modernissima corsa allo spazio.
Milano è stata la prima città, in Italia, ad ospitare un supermercato: l’Esselunga di viale Regina Giovanna, aperto da Caprotti grazie ai dollari di Rockefeller — le scene di apertura di un nuovo Esselunga all’epoca erano molto simili a quelle che si vedono oggi per l’apertura di Starbucks o di un nuovo gigantesco centro commerciale.
L’ultimo arrivato è stato quello di Arese, alle porte nord-ovest della metropoli: finora è il gigante più grande d’Italia. Nel 2016 ha attirato più di 13 milioni di persone e generato 600 milioni di euro di fatturato — una cifra che non sarebbe irrilevante nel bilancio di un paese sovrano di dimensioni medio-piccole — e ha in progetto di espandersi fino addirittura raddoppiare, comprendendo al suo interno anche una pista da sci.
Un primato che durerà poco: a Segrate sta per aprire una nuova astronave grande due volte quella di Arese. Il nuovo Shopping Mall di Westfield dovrebbe atterrare nel 2021, con cifre che si preannunciano davvero fantascientifiche per il mercato italiano:
- Darà lavoro a 17.000 persone — Segrate, che pure non è un paesino di campagna ma una robusta cittadina dell’hinterland, ha 35.000 abitanti;
- Avrà una superficie di 185.000 metri quadri — più dei giardini pubblici Indro Montanelli;
- 60.000 visitatori al giorno e 20 milioni ogni anno, la metà della media di Expo 2015;
- Costerà un miliardo e quattrocento milioni di euro: chi costruirà — l’australiana Westfield in joint venture con i bergamaschi Percassi — si occuperà anche di ristrutturare la viabilità di Segrate intorno al sito. La media dei costi di costruzione dei centri commerciali italiani è dieci volte inferiore.
Ma com’è nata l’idea di infilare una struttura grande come l’Idroscalo accanto all’Idroscalo?
Paolo Micheli è il sindaco di Segrate, e definisce il centro commerciale come la sua nemesi: “Sono sempre stato perplesso sull’opportunità di andare a costruire un centro di queste dimensioni in un’area che è il cuore della città,” ci spiega. “Segrate è sviluppato su più quartieri e questo si trova proprio in mezzo. Ha una dimensione di più della metà di Segrate centro.”
Micheli è stato eletto con il Partito democratico, ed è diventato primo cittadino nel 2015. Uno dei motivi per cui la popolazione di Segrate lo ha scelto è stata proprio la sua opposizione al mega progetto del centro commerciale, avviato nel 2008 dalla precedente giunta. “Nasce da un accordo di programma che coinvolgeva Governo, Regione Lombardia e città metropolitana per la realizzazione della strada della viabilità speciale, che sarebbe l’ultimo tratto della Brebemi. La Brebemi arriva fisicamente fino a Melzo, poi ha una continuità fino a Pioltello: è a Segrate che manca l’ultimo miglio. Questo operatore privato si era detto disponibile a investire sulla viabilità, in cambio della possibilità di andare a costruire.”
Non tutto però va come previsto: i lavori slittano di vari anni, con diversi colpi di scena che dipingono un malaffare diffuso. In particolare, nel 2012 sorgono problemi con la bonifica dei terreni: Westfield dovrebbe estendersi sull’ex dogana di Segrate, un’area in cui nel corso dei decenni è stato scaricato molto materiale illegale e nocivo, soprattutto dalla ditta Lucchini, già colpita nel 2009 da un’interdittiva della procura di Milano per aver affidato alcuni propri lavori a imprese troppo vicine alla ‘ndrangheta — che nello scorso decennio ha infiltrato in modo drammatico il settore del movimento terra. Il progetto del centro commerciale di Segrate compare anche nelle carte della procura di Monza associato al nome di Filippo Penati, dirigente del Pd ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, finito al centro di varie vicende giudiziarie legate a progetti di grandi infrastrutture e riqualificazione urbana e successivamente assolto.
“I lavori hanno avuto un’accelerazione adesso, da un paio d’anni che sono sindaco. I rapporti che ho avuto col precedente governo e anche con la regione Lombardia — ero consigliere regionale — hanno favorito il fatto che il processo riprendesse. All’operatore privato interessa il centro commerciale, ma per Segrate il tema centrale è sempre stata la viabilità. Oggi abbiamo la Brebemi che è un cannone di auto e camion nel centro del paese.”
Arrivati a questo punto, ci si può chiedere come mai Micheli, una volta sindaco, viste le sue critiche al progetto, non si sia adoperato per fermare tutto. La risposta è molto semplice e disarmante:
“Quando siamo subentrati eravamo coscienti del fatto che gli atti per la costruzione del centro commerciale erano troppo avanzati. Non era possibile bloccare l’azione: il mio predecessore aveva già consumato una buona metà degli oneri di urbanizzazione, quindi non saremmo stati in grado di restituirli, voleva dire far fallire il comune. Quindi abbiamo preferito portare avanti la vicenda in maniera coscienziosa.”
Purtroppo non è fantascienza: i veri effetti a lungo termine della politica lombarda dello scorso decennio, con e la galassia orbitante intorno alla presidenza regionale Formigoni e la passione per l’edilizia sfrenata, in cui si muovevano Berlusconi, Caprotti, lo stesso Percassi — ma anche il Pd, con Penati — si manifestano oggi. E continueranno a manifestarsi nei prossimi anni e decenni, con il fiorire di opere come il centro commerciale Vulcano di Sesto, o il Quartiere Adriano di Milano nord-est, non molto distante dal futuro Westfield di Segrate, che ci ricorderanno a lungo questo periodo di storia politica lombarda.
I soldi in ballo sono semplicemente troppi: un sindaco di paese non può fare molto per contrastare forze più grandi di qualsiasi suo collega e, a livello economico almeno, più rilevanti dei suoi cittadini.
“In maniera coscienziosa vuol dire due cose: portare a casa la questione della viabilità e cercare di fare gli interessi dei segratesi sul tema del lavoro,” sostiene Micheli. “Il fatto che fossi il principale oppositore al centro ha dato anche forse un po’ di forza alla trattativa. Diciamo: male per me perché in fondo questo progetto, come dicevo, è stato la mia nemesi, ma bene per la città.”
Il rischio, ovviamente, è la carugatizzazione di Segrate — dopo l’apertura del Carosello, dell’Ikea e in generale del gigantesco complesso commerciale all’uscita della Tangenziale est, il centro del paese di Carugate è avvizzito. Come provare a evitarla? “Il 50% dei posti di lavoro saranno dedicati a persone che lavorano nel nostro territorio. I commercianti avranno agevolazioni, una via prioritaria negli incontri con l’operatore per portare la loro attività all’interno del centro. Poi — in questo caso mi limito a riferire quanto sostengono loro — che questi centri commerciali sono talmente grossi che la loro esperienza è molto diversa dai soliti centri commerciali. Portano talmente tanta gente che nel raggio di un paio di chilometri, invece di diminuire, gli esercizi commerciali aumentano e si rafforzano.”
Stiamo parlando di qualcosa di così grande, insomma, che va al di là di categorie vecchie e banali come “bene” e “male,” o almeno ci prova, secondo i suoi costruttori. In effetti non è facile anche solo dare una valutazione di insieme di entità di queste dimensioni, un po’ come il dibattito mainstream milanese è ancora diviso su Expo — se è stato un grande affare per la città o un mega mercatino che ha fatto da scusa per una classica speculazione edilizia. Ci sono innegabili svantaggi ad avere un simile gigante sul proprio territorio e innegabili, va detto, vantaggi: banalmente, essere colpiti di luce riflessa dalla sua gigantesca potenza economica — ricordiamo che i privati Westfield e Percassi costruiranno un pezzo di tangenziale e riqualificheranno uno scalo ferroviario, compiti che spetterebbero al pubblico, andando di fatto a sostituirsi ad esso.
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Per cercare di capire un po’ meglio quanto succede e non rimanere sommersi da questa imponenza capitalistica è utile rivolgersi a chi queste cose le studia per mestiere da molto tempo, come Luca Tamini, professore associato di Urbanistica al Politecnico di Milano. Tamini si occupa anche di Urb&com, acronimo di urbanistica e commercio, un laboratorio che da più di vent’anni si occupa, appunto, di studiare i rapporti tra progettazione urbana e sfere commerciali.
“Quello di Westfield è un progetto enorme, non guarda neanche più allo shopping mall ma al ridisegno di un’intera città. Utilizzano il modello dello shopping che viene utilizzato nei paesi arabi, ovvero un’estesa superficie senza piastra alimentare,” ci spiega Tamini. “Già questo è un elemento d’interesse ma anche di rischio d’impresa. Il consumatore italiano non è abituato a consumare senza avere come magnete il polo alimentare del centro: ci sono dei precedenti, come il Bicocca Village, che ha rischiato addirittura di chiudere perché non aveva la piastra dei supermercati, e il consumatore non poteva andare lì a fare la spesa.”
“Questo perché il vero attrattore sarà Lafayette, insieme ad altri marchi dediti al lusso e allo specializzato non alimentare, che si pensa avranno un richiamo sovralocale e di forte impatto. È un centro che ha una gravitazione su tutto il Nord Italia — stiamo proprio cambiando scala,” prosegue. Si va delineando uno scenario metropolitano in cui Westfield e Arese — che è l’altro è stato progettato dall’architetto incaricato per Segrate, Michele De Lucchi — saranno i due grandi poli che si contenderanno il bacino d’utenza milanese, in una contesa territoriale quasi di dominio feudale sulla città metropolitana sparsa, zolla per zolla, paese per paese. “Difatti Arese sta già ipotizzando la fase 2 di ampliamento con la pista da sci, progettata da De Lucchi proprio per rafforzare ed estendere il suo bacino d’utenza. In questa geografia c’è anche l’operazione delle Falck di Sesto, dell’Auchan di Cinisello e di Cascina Merlata a Milano — e così si conclude il riassetto della geografia per i prossimi dieci anni, nella città metropolitana.”
“A loro non interessa nulla di essere a Segrate, ad Arese o Locate Triulzi, interessa posizionarsi nell’area milanese: anche dall’estero dopo Expo c’è un’attrazione enorme di operatori stranieri. Milano si è riposizionata — guardiamo ad esempio anche l’operazione Starbucks. Ma basta anche solo andare sul sito di Westfield: il costo medio di un centro commerciale in Italia è stato tra i 90 e i 100 milioni massimo, questo è di 1 miliardo e 400 milioni. È tutta un’altra scala: addirittura costruiranno attraverso la ferrovia una connessione diretta con aeroporto e centro. Del resto Westfield, tra le altre cose, è una delle società che sono più state coinvolte nei progetti di ristrutturazione urbana per le olimpiadi di Londra 2012.”
Come già detto, è un format nuovo per l’Italia. “È un progetto che adesso questi sviluppatori stanno portando avanti in Cina. In Cina può funzionare — i comportamenti di acquisto non sono esattamente come i nostri — ma non si sa se a Segrate sarà la stessa cosa. Il loro bacino comprenderà tutta la Lombardia e il Veneto. Come ad Arese, sarà importante l’effetto sorpresa: i primi sei mesi saranno un momento di attrazione enorme che sfrutteranno con questo nuovo formato. Che funzioni o meno — c’è chi ha dei dubbi.”
Governare una situazione di questo genere, con centri commerciali che lottano per spartirsi il controllo della Pianura padana, ovviamente non è facile. La compensazione territoriale, in Lombardia, è la più alta in italia: gli oneri di urbanizzazione — ovvero i soldi che chi costruisce deve versare al comune sul quale va a edificare — arrivano a toccare i 200 euro al metro quadro, secondo le tabelle proposte dalla regione. “I comuni hanno tentato ovviamente di avere le più alte compensazioni possibili. Visto che non si può fermare in nessun modo questo progetto, cercano almeno di portarne a casa il meglio possibile.”
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C’è una domanda fondamentale a cui bisogna rispondere: a livello di progettazione urbana, che effetto avrà nei prossimi 30-40 anni? Stiamo parlando di opere che hanno il potere di modificare e decidere la viabilità intorno a loro: capire le conseguenze che portano a lungo termine è un obbligo, se si vuole dare al proprio paese un minimo di progettazione territoriale.
La prima risposta di Tamini è quasi una beffa: “I grandi poli chiudono il mercato e come impatto sul territorio lasciano molte chiusure, non solo di piccoli negozi: oggi stiamo facendo un monitoraggio sulle chiusure dei centri commerciali. È un tema nuovo — dieci anni fa non si pensava che potessero chiudere — una questione di cicli di vita. Molti centri di prima generazione, degli anni ‘90 e ‘00, oggi sono già vecchi: non riescono a essere competitivi con questi nuovi formati come Arese o Segrate.”
“In Italia in questo momento non c’è nessuna polarità che abbia dei numeri così vincenti come Arese,” prosegue Tamini. “Però Arese ce li ha per un determinato lasso di tempo — prima che arrivi un suo concorrente, che lavora a sua volta sul tema del gigantismo: arriverà uno ancora più grande, con dei marchi ancora più esclusivi con dei marchi che aprono in Italia per la prima volta e a questo punto ti toglie il bacino di utenza. E se tu non sei bravo nel giro di cinque o dieci anni il centro commerciale entra in difficoltà. Quello che bisognerebbe fare è ridurre la diffusione di questi centri, tentando di riqualificare quelli esistenti, o dando la priorità a chi vuole riqualificare e valorizzare quello che c’è già.”
È un paradosso, un po’ come quello in cui è stato coinvolto il sindaco di Segrate, Micheli, con la sua nemesi: una volta che una realtà locale si trova a dover gestire il progetto di un centro commerciale, arriva il momento in cui è costretta a prendersene cura, nonostante abbia stravolto la vita del paese.
“L’eventuale chiusura domenicale proposta dal governo avrebbe purtroppo effetti dirompenti su queste polarità più piccole. Gli outlet, ad esempio, fanno il 60% del fatturato in fine settimana: è studiato che se si chiude la domenica, per una serie di giusti motivi legati alla regolamentazione del lavoro, questi centri entrano in difficoltà. La proposta infatti si è un po’ fermata perché ha impatti enormi e darebbe una grossa mano agli operatori dell’e-commerce. Quelle poche risorse che potevi spendere la domenica al centro commerciale le dai ad Amazon.”
È comunque un cane che si morde la coda: “Segrate ha avuto una carta da giocare molto rilevante in termini di compensazione territoriale, con più di 80 milioni di euro versati come oneri di urbanizzazione. Bisognerebbe però fare una riflessione su scala più ampia: a livello di fiscalità, bilancio, di rapporto con le reti locali e associazioni il comune avrà tante risorse da spendere.”
“I comuni vicini no,” continua Tamini. “Avranno chiusura di negozi, impatto di traffico, ma senza avere incassato i soldi di Segrate. Molto spesso, in passato, questo tema è rimasto irrisolto. Tra i comuni coinvolti c’è anche Milano, che rischia di avere un impatto enorme da Segrate senza alcun beneficio. Il progetto di Santa Giulia, ad esempio: doveva nascere una nuova cittadella a nord di quanto è già stato costruito — con molti problemi — ma con la prospettiva di Segrate quell’operazione si sta fermando o rallentando molto, perché il bacino di utenza è lo stesso. Westfield come bacino generale ha tutta la Lombardia o il Veneto: il problema è che il loro bacino primario, a venti minuti di distanza, necessariamente andrà a insistere sulla città di Milano.”
Non buone notizie, dunque: “In regione, con l’espansione di Arese e Segrate, stanno già prevedendo delle fortissime chiusure su Milano, soprattutto le aree periferiche, che sono quelle più deboli, perché lì non ci va il grande marchio a fare da attrattore: ci va il commercio di strada, di prossimità, che però non riesce a essere competitivo nel momento in cui hai una fortissima evasione di spesa verso queste polarità esterne — intanto il centro di Milano sarà sempre più attrattivo, con Starbucks eccetera.”
Anche il comune di Milano, per quanto molto più grande di Segrate, ha un potere limitato rispetto ai colossi che puntano a spartirsi il suo territorio e la sua città metropolitana. “L’amministrazione sta facendo una politica sui mercati coperti e di strada che sembrava superata, ma finora sono gli unici che sembrano funzionare. Nei centri urbani si tende a lavorare con negozi di 250-2500 metri quadri, di media struttura: lì mercato è molto vivace. Ad esempio, Carrefour l’anno scorso in proporzione ha guadagnato di più con i supermercati di quartiere che grazie agli ipermercati. C’è una tendenza a ritornare al presidio urbano, ma con questi formati.”
Intanto, mentre i terrestri cercano posti umani in cui fare la spesa, i centri commerciali lottano per la supremazia dello spazio aperto.
Chi volesse ricostruire in modo più approfondito la cronistoria dei lavori centro commerciale può andare sul blog di Paolo Micheli.
Per saperne di più su Urb&Com, il progetto di analisi urbanistica del professor Tamini, basta visitare il sito ufficiale.
Se volete prepararvi pian piano all’arrivo del gigante o provare a cercare lavoro, il sito di Westfield Milano è già online da diversi mesi.
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