Intollerante e misogina: ecco il vero volto dell’India contro cui combattono le donne
di LINKIESTA (Alberto Negri)
AFP
L’ultimo episodio di scontri generato dall’ingresso di due donne in un tempio indù è solo l’ennesimo di una lunga serie di problemi che il primo ministro Modi sta cercando di risolvere. Problemi che svelano un populismo molto più articolato rispetto a quello europeo
L’India, potenza nucleare e avviata a diventare la quinta potenza economica mondiale, ha un problema e forse tra qualche tempo anche noi avremo un problema con l’India. L’ultima notizia è che violenti scontri sono esplosi in tutto il Kerala, stato del sud, dopo che due donne sono entrate nel tempio di Sabarimala, sacro agli indù, recentemente riaperto a tutta la popolazione grazie a una sentenza della Corte Suprema. La vecchia legge vietava l’ingresso a tutte le indiane in “età fertile”, tra i 10 e i 50 anni.
Per rivendicare questo diritto nei giorni scorsi si era formato il Muro delle Donne, una catena umana, lunga 620km con tre milioni di donne, “a sostegno dell’uguaglianza di genere” e per sfidare i tradizionalisti religiosi. Non è certo questa la prima volta che una questione religiosa in India diventa politica, soprattutto in questo caso e in questo momento perché l’India tra aprile e maggio andrà a elezioni generali. Nel Kerala il governo della sinistra sostenuto dai comunisti si è schierato contro l’esecutivo centrale guidato dal premiere Narandra Modi, il quale sostiene che il divieto “è un credo religioso, non una questione di parità di genere”.
In poche parole il premier Modi cerca di disinnescare la questione perché non vuole perdere i voti dei settori più integralisti della società che appoggiano il Bharatiya janata party (Bjp, Partito popolare indiano) creato come ala politica della Rashtriya swayamsevak sangh (Rss, Organizzazione nazionale patriottica), un’organizzazione paramilitare che sostiene la supremazia indù.
Per quale motivo Modi si muove con prudenza? Perché in questo momento sono due le bombe religiose che rischiano di infiammare l’India. Non c’è soltanto Sabarimala ma che il tempio Ayodhya nell’Uttar Pradesh, una delle sette città sacre indiane – ma è anche sacra ai buddisti – salita alla ribalta delle cronache internazionali per gli eventi tragici del 1992, quando un gruppo di estremisti indù rase al suolo una moschea che si trovava sul presunto luogo di nascita di Rama: gli scontri tra indù e musulmani allora fecero oltre 2mila morti in tutta l’India. E la tensione per Ayodhya sta per salire ancora perché il Consiglio Indù, organizzazione integralista, sta facendo pressioni sul primo ministro affinché vari una legge che permetta di costruire un tempio sulle rovine della moschea distrutta nel ’92. Anche in questo caso a decidere sarà la Corte Suprema.
Ma in discussione c’è molto di più che un tempio. Quando l’India conquistò l’indipendenza dalla Gran Bretagna 70 anni fa era stata fondata come democrazia laica, in quanto riconosceva a musulmani, sikh, cristiani e altre minoranze religiose gli stessi diritti e lo stesso status della maggioranza indù. Il mahatma Gandhi, grande eroe del movimento d’indipendenza, era un indù praticante ma fu ucciso da un fanatico indù perché difendeva i diritti dei musulmani dopo l’indipendenza.
Quello di Gandhi è stato uno degli omicidi più “utili” della storia, perché all’epoca gli estremisti indù stavano approfittando del fatto che il Pakistan si fosse dichiarato uno “stato musulmano” per chiedere che l’India si dichiarasse “stato indù”. Dopo la morte di Gandhi il primo premier del paese, Jawaharlal Nehru, riuscì a isolare gli estremisti indù e a sfruttare la rabbia popolare per l’assassinio di Gandhi per confermare l’identità dell’India come stato secolare.
Quello di Gandhi è stato uno degli omicidi più “utili” della storia, perché all’epoca gli estremisti indù stavano approfittando del fatto che il Pakistan si fosse dichiarato uno “stato musulmano” per chiedere che l’India si dichiarasse “stato indù”. Dopo la morte di Gandhi il primo premier del paese, Jawaharlal Nehru, riuscì a isolare gli estremisti indù e a sfruttare la rabbia popolare per l’assassinio di Gandhi per confermare l’identità dell’India come stato secolare.
L’India è ancora una democrazia, ma oggi il ritratto di uno degli uomini che cospirarono per uccidere Gandhi è affisso nel parlamento nazionale e il primo ministro Modi guida un partito che sostiene la supremazia indù. L’”hindutva” è il nucleo portante del suprematismo indù che ha creato la retorica secondo cui “essere indù significa essere costantemente offeso”. È una tesi che considera l’India come una civiltà ferita perché ha passato gran parte degli ultimi mille anni sotto il giogo degli invasori stranieri e propone come rimedio l’imposizione di una versione estremamente semplificata dell’induismo politicizzato.
In pratica è solo un altro tipo di populismo ma il suo principale sostenitore, Narendra Modi, deve affrontare una società in cui le cui divisioni sono molto più profonde di quelle che toccano il populismo americano o europeo. A partire dalla divisone in caste e delle rivendicazione gli “intoccabili”, oggi chiamati “dalit”, gli oppressi. E Modi è molto attento al voto dei dalit perché sono la chiave per la conferma del Bjp al governo. Il premier è concentrato sulla crescita economica e in particolare sul miglioramento del tenore di vita della classe medio-bassa, da cui proviene gran parte dei suoi sostenitori. Ma per ottenere e mantenere la maggioranza parlamentare che gli permette di portare avanti il suo programma deve rivolgersi a un pubblico più eterogeneo, per questo oggi oscilla tra le spinte più tradizionaliste e integraliste e quelle più moderate.
In realtà l’intero approccio di Modi all’induismo è ambivalente. Due anni fa, per esempio, parlando di sanità in India, il primo ministro si è avventurato in un discorso sul dio Ganesh, dalla testa di elefante: “Veneriamo il signore Ganesh. All’epoca ci dev’essere stato un chirurgo plastico che ha attaccato la testa di un elefante a un corpo umano e così è nata la chirurgia plastica”. Queste sono parole non esattamente in linea con l’ortodossia indù.
Modi cammina sul filo: ha aperto il vaso di Pandora del suprematismo indù, della religione e della tradizione più esasperata e adesso deve manovrare le spinte degli integralisti. Nato come stato laico e secolare l’India, vede i liberali laici in ritirata e le minoranze religiose emarginate mentre comandano coloro che definiscono l’India come un “paese esclusivamente indù” . Una svolta radicale rispetto ai valori fondativi del paese. L’India è ancora una democrazia ma comincia a somigliare molto al suo vicino Pakistan.
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