Perché il governo francese non comprende la rivolta dei Gilet Gialli
di ARIANNA EDITRICE (Alain De Benoist)
Da GEOPOLITICA.RU
Pensi che si possa già dare un giudizio sulle loro azioni?
È troppo presto per trarne uno. Il movimento è in corso e sembra che addirittura ci sia una seconda ondata. Per quasi tre mesi hanno sùbito di tutto: feriti, freddo e brutalità della polizia (emorragie cerebrali, mani a pezzi, mascelle strappate, occhi perforati, piedi pestati). Il mainstream ha tentato di dipingerli come alcolizzati cavernicoli, nazisti (la “peste marrone”) e teppisti, colpevoli di aver rovinato il commercio e di aver dissuaso i turisti dal visitare la Francia. Nonostante tutto ciò, sono ancora qui. Hanno resistito con caparbietà, non si sono sciolti e la maggioranza dei francesi continua ad approvare la loro azione. È la conferma che questo movimento è diverso da qualsiasi altro.
C’è un altro punto su cui si deve insistere. I Gilet Gialli, in precedenza, non si conoscevano. Immersi nell’anonimato della massa, anche quando erano vicini, spesso rimanevano estranei l’uno all’altro. Per settimane, si sono poi invece reciprocamente scoperti, stazionando attorno alle rotatorie. Si sono parlati, hanno confrontato le proprie esperienze e speranze, hanno condiviso la stessa rabbia e si sono scambiati emozioni. Hanno anche condiviso gli stessi pasti, hanno passato assieme giorni e notti, hanno beneficiato dello stesso spirito di solidarietà. Il movimento è quindi anche servito a ricreare uno spirito di socializzazione, in un’epoca in cui il collegamento sociale si è ovunque sbriciolato. Rimarrà evidentemente qualcosa di esso. D’ora in poi, sapranno che non sono più “invisibili”. Hanno riscoperto l’importanza dei beni comuni.
Ma il futuro del movimento? Possiamo immaginare un vasto fronte populista, di cui i Gilet Gialli potrebbero essere i portabandiera?
È molto prematuro, sebbene alcuni la pensino così. Nel breve periodo, dovranno resistere a tutti i tentativi di divide et impera. In particolare, non devono assolutamente presentarsi alle prossime elezioni europee, altrimenti indebolirebbero le opposizioni. Devono rimanere defilati, arrecare il minor danno possibile alle piccole imprese, rimuovere gli infiltrati dal movimento e concentrare le proprie richieste su temi che possano meglio unire la loro rabbia (richiedere, ad esempio, l’istituzione dell’iniziativa di referendum popolare).
Ed il “grande dibattito nazionale?”
Debord ha detto che se le elezioni potessero cambiare qualcosa, sarebbero state bandite già da tempo. Possiamo dire lo stesso del “grande dibattito” lanciato da Macron: se fosse davvero in grado di soddisfare le richieste dei Gilet Gialli, semplicemente non sarebbe stato avanzato. Quando i parlamentari vogliono seppellire un problema, creano una commissione. Per guadagnare tempo, Macron propone – è di moda – di “aprire un tavolo”. Il “grande dibattito” è come il divano dello psicologo: “Si sdrai e mi dica tutte le sue miserie, poi si sentirà meglio”. Discutere piuttosto che decidere è sempre stato il metodo preferito della classe borghese. Nel peggiore dei casi, il “grande dibattito” terminerà senza risultati. Nel migliore, la montagna partorirà un topolino. Faranno concessioni qua e là (limite di velocità ad 80 km/h, tassa sul carbonio, ecc.), ma le questioni spinose non verranno sfiorate.
Chi è oggi al potere non è in grado di affrontare le richieste dei Gilet Gialli perché il mondo delle classi inferiori è culturalmente, fisiologicamente e mentalmente loro estraneo. Credono di aver a che fare con le solite richieste, alle quali poter rispondere attraverso semplici annunci ed appropriate strategie di comunicazione. Non vedono che in realtà sono di fronte ad una rivolta esistenziale, proveniente da gente che, dopo aver sprecato la vita cercando di guadagnare, ha ora scoperto che ciò che guadagna non le permette più di vivere, e non ha quindi più alcunché da perdere. Al culmine delle dimostrazioni, nel momento in cui un elicottero girava attorno all’Eliseo nel caso in cui Macron dovesse essere portato via, il potere si è però un po’ spaventato. Impaurito fisicamente – e la cosa non si vedeva da molto tempo. Oggi hanno recuperato il disprezzo di classe; ancorché cerchino di essere empatici, non perdoneranno mai chi li ha spaventati.
I “riluttanti Galli” sono i degni successori dei “Mendicanti” (Geuzen) che, nel XVI secolo, nelle Fiandre e nei Paesi Bassi, resero glorioso un nome spregiativo, assumendo su di sé il malcontento popolare contro l’autorità di Re Filippo II di Spagna, con l’appoggio di Guglielmo d’Orange. La guerriglia che condussero negli anni a partire dal 1556 ebbe come risultato la liberazione totale delle Province Unite. Una bellissima canzone olandese che celebra la loro memoria si intitola “Lunga vita ai mendicanti!”. Merita di essere cantata ancora oggi.
Fonte: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61585
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