La geopolitica della fede ai tempi di papa Francesco
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Emanuel Pietrobon)
L’incontro tra papa Francesco e Ahmad al-Tayyib ad Abu Dhabi è una pietra miliare nella storia delle relazioni cattolico-musulmane, ma la strada per la de-occidentalizzazione del mondo è ancora lunga.
Quanti accusano il pontefice di eresia, obiettivi panmassonici o estremismo ecumenico sembrano ignorare alcuni fatti molto importanti: l’attuale papa risulta ancora più apprezzato nella comunità islamica mondiale di Giovanni Paolo II, il precursore del dialogo cattolico-musulmano, la messa pubblica celebrata allo Stadio-Città dello Sport Zayed ha registrato il tutto esaurito, le relazioni internazionali sono sempre meno cristiano-centriche e se la divisione politica è causa di conflitti per il potere, forse è proprio dalla divisione religiosa che potrebbero derivare unione e pace.
Bergoglio non l’ha mai nascosto: il suo obiettivo, fino alla fine del pontificato, sarà ultimare l’opera inaugurata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI di costruire una chiesa attenta ai bisogni delle periferie globali e capace di porsi come reale e credibile forza diplomatica tra Ovest ed Est, Nord e Sud, mirante a scongiurare conflitti a guerre laddove sia possibile. Considerando che i teatri geopolitici più caldi si trovano attualmente in Africa e Medio Oriente, essenzialmente in paesi a maggioranza musulmana, e la minaccia del terrorismo islamista, non sorprende l’attenzione del papa verso l’islam.
Papa Francesco ad Abu Dhabi
Allo stesso modo dei suoi predecessori, anche Francesco I considera l’Europa un continente perduto, ormai incamminatosi irreversibilmente verso un’epoca post-cristiana caratterizzata dallo scontro dei nuovi valori, ultralaici, con quelli tradizionali, cristiani, e pertanto ha ridirezionato la sua attenzione verso teatri più importanti, in cui il cattolicesimo conta ancora: America Latina, Africa sub-sahariana, Asia meridionale, Cina.
Forse gli sforzi del papa argentino non serviranno a nulla, su questo scriveranno e giudicheranno i posteri, ma i risultati portati a casa in soli sei anni di pontificato sono tantissimi: la rivalutazione di Martin Lutero e della riforma protestante per avvicinare le confessioni del protestantesimo moderato, lo storico incontro a L’avana con il patriarca di Mosca e di tutta la Russia Cirillo I e la dichiarazione comune con egli siglata, la regia dietro le quinte per spingere l’amministrazione Obama a riaprire il dialogo con Cuba e siglare l’accordo sul nucleare con l’Iran, la mediazione tra il governo colombiano e le Farc per il raggiungimento degli accordi di pace, le pressioni sul governo Gentiloni per concedere la cittadinanza italiana a Charlie Gard, e l’accordo con la Cina per la nomina dei vescovi.
Di ritorno da Abu Dhabi, il pontefice si vede adesso pienamente coinvolto nella crisi venezuelana, poiché interpellatosia Nicolas Maduro che dall’autoproclamatosi presidente Juan Guaido in qualità di mediatore tra le parti. Inoltre, nei prossimi mesi è previsto un altro evento storico: su invito ufficiale di Kim Jong-un, il papa si recherà in Corea del Nord. Anche in questo caso, si tratta di una “prima volta” destinata a lasciare un’impronta indelebile nella storia della chiesa cattolica e della sua apertura al mondo.
Abu Dhabi rappresenta un punto di partenza e, in quanto tale, offre tante prospettive di successo quanto di fallimento. Innanzitutto, Ahmad al-Tayyib non può essere ritenuto il “papa dell’islam”, sebbene sia una delle voci più influenti e accreditate nella galassia sunnita, essendo il Grande Imam di al-Azhar. Inoltre, resta da chiarire in che modo cattolici e musulmani sunniti collaboreranno alla realizzazione dei punti sottoscritti nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.
Papa Francesco e Ahmad al-Tayyib in Vaticano
Da parte cattolica è crescente la resistenza antipapale, proveniente soprattutto dai settori tradizionalisti nordamericani –alleati di Donald Trump, da parte musulmana è invece vero che, nonstante l’autorità di cui gode al-Tayyib, la umma resta largamente frammentata e divisa e l’assenza di una figura accentrante a sé il potere di monopolio sulla dottrina religiosa pesa molto. Le parti si impegnano ad agire come dei gruppi di pressione su politici, intellettuali e società civile, con l’obiettivo di promuovere i punti contenuti nel Documento: dai diritti delle donne alla costruzione di una cultura del dialogo per evitare che la “ terza guerra mondiale a pezzi” diventi qualcosa di più, dalla tutela dei più indifesi alla protezione della famiglia naturale, ed altro ancora.
Per la chiesa cattolica il problema principale sarà trovare le forze politiche, che non siano legate al populismo di destra foraggiato dagli Stati Uniti, interessate a portare avanti un’agenda chiaramente plasmata da valori cristiani in un mondo post-cristiano, se non addirittura anticristiano, come quello occidentale, e sulla via della protestantizzazione come in America Latina. Per i teologi dell’università di al-Azhar, la vera sfida sarà vincere contro il radicalismo dei Fratelli Musulmani, forti di una rinnovata influenza su Medio Oriente e Nord Africa per via dell’appoggio turco. E’ proprio in questo contesto di ricerca di alleati validi per i fratelli sunniti che si inquadra il prossimo viaggio apostolico del pontefice in Marocco, previsto per fine marzo. Francesco I sarà il secondo papa a mettere piede nel regno, dopo il precedente storico di Giovanni Paolo II nel 1985.
Giovanni Paolo II e re Hassan II
Una delle tappe principali del viaggio sarà infatti la visita all’istituto Mohammed VI. Si tratta di un centro costruito a Rabat nel 2015 per promuovere l’agenda di riforma culturale-religiosa voluta dall’attuale re Mohammed VI, impegnato nella formazione di imam che eserciteranno la loro funzione di guida sia nel paese che all’estero.
Da mesi circolano anche indiscrezioni di un possibile viaggio apostolico di Arabia Saudita, che molto piacerebbe a Mohammad bin Salman Al Sa’ud, l’autore di Vision 2030, l’ambizioso programma di riforma politica, economica e culturale che mira a fare del paese una potebnza mondiale, ma che sarebbe osteggiato dal clero ultraconservatore.
Il futuro del mondo si deciderà in Eurasia, e il Vaticano vuole far parte di coloro che lo scriveranno, perciò è vitale dialogare con l’islam. Francesco I, come San Francesco d’Assisi prima di lui, sa che la chiesa cattolica, universale per definizione, dispone del potere e del carisma necessari per spingere civiltà, popoli e fedi diverse a dialogare.
La speranza, come espressa nel Documento di Abu Dhabi, è che le persone scelgano di seguire gli insegnamenti alla pace e alla fratellanza delle rispettive religioni in luogo degli inviti all’odio, alla guerra e alla divisione dei loro governanti e delle loro finte guide religiose.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/geopolitica-fede-papa-francesco-eau/
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