L’ideologia della casa in proprietà e le catene dorate del capitale
di SINISTRA IN RETE (Eros Barone)
I poeti vivono in un mondo immaginario, e così anche il signor Sax, il quale s’immagina che il padrone d’immobili abbia “raggiunto il grado supremo d’indipendenza economica” ed abbia “un ricovero sicuro”, “diverrebbe capitalista e sarebbe assicurato contro i pericoli della disoccupazione o dell’inabilità al lavoro dal credito immobiliare, che sarebbe a sua disposizione” ad ogni momento.
Friedrich Engels, La questione delle abitazioni.
Non ho mai toccato un soldo. Ho posseduto solo una vecchia Ritmo e questo ai milanesi non dovrei dirlo visto che a Milano chi non ha neppure una casa in proprietà è considerato un poveraccio.
Armando Cossutta, Un storia comunista.
“Investire nel mattone”: miti e realtà di un mercato monopolistico
In Italia, dove a lungo la cultura marxista ha discusso intorno ai processi di formazione di un nuovo blocco storico, non solo è mancata quasi del tutto un’analisi del blocco storico dominante, ma continua a mancare un’analisi adeguata della complessiva questione delle abitazioni come essenziale cerniera del blocco di potere dominante. Fatta questa premessa, resta tuttavia da aggiungere che qui non si intende offrire al lettore un’analisi compiuta di quello che si potrebbe definire “il blocco edilizio”, ma solo alcune linee introduttive ad una siffatta analisi, cercando, sia pure in modo schematico, di individuare le stratificazioni economiche e sociali che ne fanno parte o sono in qualche modo subordinate a questo “blocco”, e i legami, anche di carattere sovrastrutturale, che sono condizione del suo radicamento e della sua conservazione.1
Orbene,la consistenza economica e le ramificazioni del blocco fondiario, industriale e finanziario dell’edilizia appaiono evidenti, sol che si consideri come, nonostante le profonde interrelazioni tra pubblico e privato, il segno di questo settore sia tuttavia nettamente privatistico. Dal punto di vista della produzione e della proprietà, il settore dell’edilizia è infatti tra i più privatizzati della nostra economia.
Tale carattere privato del settore risulta ancora più evidente dal confronto con gli altri paesi nei quali l’ incidenza dell’intervento pubblico è di gran lunga superiore. Questa assoluta prevalenza privata non deve però indurre nell’errore di credere che l’intreccio tra pubblico e privato sia di scarsa rilevanza: esso si realizza, ed è fonte di affari quanto mai lucrosi e di interessi quanto mai corposi, che si esplicano attraverso l’intervento normativo, i piani regolatori e particolareggiati, gli oneri di urbanizzazione, la predisposizione dei servizi pubblici, le grandi opere pubbliche, la politica fiscale e creditizia ecc. Si tratta allora di individuare le aggregazioni sociali e le articolazioni economiche e culturali che compongono il blocco, tenendo conto che, in base ai rapporti di maggiore o minore subordinazione, in esso si raggruma un coacervo di forze che ricorda alcune delle pagine sociologicamente più vivide del saggio marxiano sul 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Nel microcosmo edilizio, una sorta di ologramma della società capitalistica e dell’intreccio perverso tra rendita e profitto, tra grande e piccola impresa, tra “omicidi bianchi” e lavoro nero, che la caratterizza, cii sono tutti: reliquati di nobiltà fondiaria e gruppi finanziari, imprenditori d’assalto e colonnelli in pensione proprietari di più appartamenti, grandi professionisti e impiegati statali incatenati al riscatto di una casa che sta già deperendo, funzionari e uomini politici corrotti, piccoli risparmiatori che cercano nella casa quella sicurezza che non riescono ad avere dalla pensione oppure che ritengono di risparmiare in avvenire sul fitto pagando intanto elevati tassi di interesse, capimastri, cottimisti, lavoratori immigrati ecc.
Così, il fanatismo dell’ideologia della casa in proprietà, lo sforzo drammatico di ottenere una casa anche a costo di gravosi sacrifici, la necessità di avere un lavoro fanno sì che un sistema basato sulla equivalenza coattiva tra valore d’uso (il bene-casa) e valore di scambio (la merce-casa) finisca con l’essere la condizione di forza del “blocco edilizio”. La logica risultante di questo processo di forzosa privatizzazione e, insieme, di suadente persuasione all’acquisto della merce-casa è la situazione attuale: un paese in cui i contingenti decisivi dell’“esercito conservatore” che i capitalisti si allevano contro il proletariato sono stati sostituiti dalla vasta massa dei proprietari di abitazioni (massa che oggi raggiunge quasi l’80% della popolazione, sia pure con tutto il ventaglio di posizioni economiche, sociali e territoriali, che si cela dietro questa percentuale). Va da sé che la concentrazione delle case in proprietà è, ovviamente, maggiore nei comuni che non sono sede di capoluogo che non in quelli che sono sede di capoluogo, nel Mezzogiorno più che nel triangolo industriale, talché questo dato richiama inevitabilmente, come aveva già osservato Engels, la questione del rapporto tra città e campagna (che è un’importante chiave di lettura rispetto alla questione delle abitazioni).
Occorre poi aggiungere che, in generale, la possibilità di acquisto di un appartamento si accompagna ad uno ‘status’ che sia tale da consentire un accesso o delle agevolazioni al credito. In sostanza, la possibilità di acquisto implica condizioni di relativo privilegio, solitamente precluse alle masse lavoratrici: la proprietà della casa diventa, cioè, nell’attuale contesto, per un verso un elemento di distinzione sociale 2 e, per un altro verso, il cemento, in senso conservatore, di quel complesso di stratificazioni che viene rubricato sotto la definizione di ceto medio.
A partire dal secondo dopoguerra e dal ‘boom’ economico degli anni Sessanta del secolo scorso, con la trasformazione dell’Italia da paese agricolo a paese industriale e con i massicci spostamenti di popolazione dal Sud al Nord, si è determinato l’ingresso dei maggiori gruppi industriali nel ‘big business’ edilizio. Il nucleo dominante del “blocco edilizio” ha costituito pertanto uno dei collegamenti centrali tra le varie componenti dell’attuale potere borghese, unificate e cementate dalla rete di interessi e di forze, consolidata dalla realizzazione di crescenti guadagni, nella quale forme diverse di rendita si intrecciano e si confondono con profitti industriali e commerciali. Sennonché tali guadagni vengono realizzati sfruttando una generalizzata situazione di monopolio rispetto a un bene, la casa, il cui mercato, per le specifiche caratteristiche de1 bene stesso (dove c’è una casa non può essercene un’altra, la casa non è trasportabile ecc.), è tipicamente monopolistico e si svolge secondo le forme più supervacanee di concorrenza monopolistica (diversificazione del prodotto nelle sue infinite possibilità: dal tipo di casa, alla sua localizzazione in quartieri socialmente differenziati ecc.). La conseguenza è che, in questa situazione di mercato monopolistico nella quale la rendita, assumendo le forme più diverse, non si configura più come appropriazione esclusiva del proprietario fondiario, il solo esproprio generalizzato può non essere sufficiente a ridurre radicalmente il prezzo di uso della casa. Infatti, se contemporaneamente non si spezza la concrezione di potere che si esprime nel “blocco edilizio”, anche l’esproprio generalizzato rischia di essere inefficace.
Rovinarsi per avere una casa in proprietà
Nonostante che siano passati quasi centocinquant’anni da quando Engels ebbe ad individuare l’importanza socio-politica della “questione delle abitazioni” e da quando, in polemica con la rivendicazione proudhoniana di trasformare il canone di fitto in canone di riscatto, giunse a sostenere che «gli esponenti più accorti delle classi dominanti hanno i sempre indirizzato i loro sforzi ad accrescere il numero dei piccoli proprietari, allo scopo di allevarsi un esercito contro il proletariato», al riguardo si può aggiungere che nello stesso arco della nostra esperienza (pensiamo alla progressiva liquidazione della legge sull’equo canone risalente al 1978) non sono mancate prove della potenza d’urto di questo esercito.
Da questo punto di vista, non vi è dubbio che l’ideologia proprietaria impedisca ai lavoratori di cogliere i propri veri interessi e li renda succubi della borghesia. Marx, a tale riguardo, descrisse le condizioni dei contadini francesi, vittime più che beneficiari della proprietà parcellare, stante il fatto che i terreni erano ipotecati e le vere proprietarie erano le banche, che intascavano gran parte dei frutti del lavoro dei contadini, imponendo loro un livello di vita spesso peggiore di quello dei proletari: «Il contadino francese, sotto forma di interessi per le ipoteche vincolanti la terra, sotto forma di interessi per anticipazioni dell’usuraio non garantite da ipoteca, cede al capitalista non solo la rendita fondiaria, non solo il profitto industriale, non solo, in una parola, tutto il guadagno netto, ma persino una parte del salario del lavoro, e così precipita al livello del fittavolo irlandese: e tutto ciò sotto il pretesto di essere proprietario privato». 3
Come sempre, la comprensione dei rapporti sociali si fonda su una teoria scientifica, il marxismo, che proprio oggi, quando i fatti la confermano ad ogni piè sospinto, ‘maîtres à penser’ di varie tendenze, ‘militanti scoppiati’ e dilettanti subculturali considerano, in tutto o in parte, superata e quindi da integrare o da correggere con gli eclettici apporti dell’ideologia borghese e piccolo-borghese. Negli USA e in Europa istituti bancari, istituti assicurativi e società finanziarie hanno concesso crediti per l’acquisto della casa a persone che non avevano la possibilità di pagare. Si pensava di ridurre i rischi, perché le banche li diluivano in tutto il mondo attraverso ‘bond’, fondi e altri prodotti finanziari derivati. A partire dal 2007, i piccoli acquirenti di tali titoli, completamente all’oscuro della gigantesca truffa, si sono ritrovati con un pugno di carta straccia in mano, mentre gli americani poveri, non riuscendo più a pagare le rate del mutuo sempre più gravose, hanno perduto la casa. Così, sono crollati i prezzi immobiliari e molte famiglie hanno perso i risparmi di una vita. La Banca Europea e la Federal Reserve sono corse in aiuto, non dei truffati, ma delle banche, mettendo a disposizione miliardi di dollari e di euro. Mentre negli Usa per la crisi dei ‘subprime’ si registravano tassi d’insolvenza superiori al 60%, i nostri politicanti, banchieri e industriali, spergiuravano che in Europa il problema era assai meno grave. Ma le banche europee sono rimaste coinvolte fino al collo in queste speculazioni e possiedono tonnellate di titoli spazzatura. In Italia persino il portavoce diretto dell’ideologia confindustriale, “Il Sole 24 Ore”, ha parlato della necessità di “una sorta di ‘moral suasion’ nei confronti delle banche”, perché rinegozino gratuitamente i mutui a tasso variabile e allunghino il periodo di ammortamento. Ma è come pretendere che una vipera non morda o uno scorpione non punga o un avvoltoio non si nutra di carogne!
Nonostante la crisi economica, sono ancora centinaia di migliaia i mutui che vengono accesi per l’acquisto della casa. La spesa per la casa a Roma e a Milano può arrivare fino al 70% del reddito di una famiglia: «Nel mercato dell’abitazione in proprietà si presentano situazioni di disagio sociale. La sostituzione di un canone di locazione con una rata di mutuo non è avvenuta alla pari». Ad affermarlo è la società di studi Nomisma, che così descrive la situazione: «Il mutuo, causa soprattutto l’aumento dei tassi d’interesse delle banche, è sempre più alto e le famiglie fanno fatica a pagarlo. Per il mercato italiano dei mutui si tratta di una crescita senza precedenti. Sono aumentate le famiglie indebitate e la loro esposizione è peggiorata negli anni recenti».4 Con tutto ciò, neppure la soluzione dell’affitto è facile. È senz’altro preferibile perché meno giugulatoria, non inchioda alla località e rende più agevoli i trasferimenti, ma ha anch’essa i suoi aspetti negativi. Molte case sono sfitte e, per celarle al fisco, molti proprietari disdicono persino il contratto per la corrente elettrica. Questa elusione è possibile perché il nostro catasto è meno efficiente di quello del tempo dell’imperatrice Maria Teresa e i diversi governi non hanno fatto nulla per sanare questa piaga infetta, questa discesa nella clandestinità di molti proprietari di case. Ma è soprattutto la diffusione della proprietà che riduce il mercato degli affitti, facendo salire i prezzi. 5
La questione delle abitazioni di Engels tra capitalismo e comunismo
Comunque sia, come era facile prevedere, le destre, con i leghisti in testa, hanno rilanciato la vecchia favola dei mutui agevolati per divenire proprietari della casa e hanno soffiato e soffiano sul fuoco della guerra tra poveri, chiedendo che le case popolari siano assegnate esclusivamente a italiani (si pensi alle reboanti dichiarazioni di Salvini). Eppure il problema della casa era già stato affrontato con estrema chiarezza, quasi centocinquant’anni fa, in uno scritto di Engels, La questione delle abitazioni, ricavato da tre articoli apparsi nel 1872 e ripubblicati sotto forma d’opuscolo nel 1887.
Engels così argomentava: «Poniamo che in una data regione industriale sia diventato normale che ogni operaio possegga la sua casetta. In questo caso la classe operaia di quella regione abita gratuitamente; del valore della sua forza lavoro non fanno più parte le spese per l’abitazione. Ma ogni riduzione dei costi di produzione della forza-lavoro, cioè ogni durevole deprezzamento dei bisogni vitali del lavoratore, “in forza delle ferree leggi dell’economia politica”, si risolve nel ridurre il valore della forza-lavoro e finisce quindi per avere come conseguenza una corrispondente caduta del salario. Quest’ultimo, quindi, verrebbe decurtato in media del valore medio della pigione risparmiata, vale a dire che il lavoratore pagherebbe l’affitto della sua propria casa non più, come prima, in denaro al padrone, ma in lavoro non retribuito all’industriale per cui lavora. In tal modo i risparmi dell’operaio investiti nella casetta diventerebbero, sì, in un certo qual senso, capitale, ma non per lui, bensì per il capitalista che gli dà lavoro.» Engels aggiunge: «Per gli operai delle nostre grandi città la prima condizione vitale è la libertà di movimento, e la proprietà fondiaria non può essere altro che una catena, per loro. [….] Procurate loro una casa in proprietà, incatenateli di nuovo alle zolle, ed ecco che spezzerete la loro capacità di resistenza contro la politica di riduzione salariale condotta dagli industriali.» 6 È esattamente quel che è avvenuto, a partire dal dopoguerra, quando milioni di proletari si sono indebitati per comprare la casa. Le ore di straordinario sono schizzate verso l’alto e, oltre a perderci in tempo libero e salute, gli operai hanno dovuto limitare sia i già modesti consumi propri e dei familiari, sia la loro partecipazione agli scioperi e, in generale, la loro disponibilità alle rivendicazioni e alla lotta contro il padronato. Il grande depotenziamento della conflittualità operaia ha determinato, a sua volta, la stasi e il regresso dei salari, che durano ormai da quasi mezzo secolo. Una schiavitù salariata forgiata con catene in apparenza dorate ha così integrato il cosiddetto “compromesso socialdemocratico” con lo scambio tendenziale tra docilità operaia, stagnazione salariale e proprietà della casa.
Come Engels precisa, «non è la soluzione del problema delle abitazioni che risolve al tempo stesso la questione sociale, ma solo la soluzione di questa rende possibile al tempo stesso quella del problema della casa».7 Dunque, benché la degradazione culturale provocata dall’ideologia proprietaria e le alterazioni di valori intrinseche alla miseria in una società di ricchi agiscano come un freno potente alla soluzione rivoluzionaria indicata da Engels, il problema della casa non si risolve attraverso riforme, ma solo attraverso il rovesciamento del sistema. In questo senso, le prevedibili obiezioni di nullismo appaiono concretisticamente miopi e avvocatesche, talché la risposta più facile consiste nel dire che il più grosso concentrato di nullismo politico si trova nelle opere di Marx o che ripubblicare la Questione delle abitazioni di Engels senza una prefazione che spieghi come la situazione attuale – mercato monopolistico, “blocco edilizio” ed “esercito conservatore” dei piccoli proprietari (o aspiranti tali) – sia il frutto velenoso del “compromesso socialdemocratico” e delle politiche di (falsa) liberalizzazione del mercato della casa, è un dar prova di massimalismo intellettualista. Quello stesso massimalismo che, in contrasto con il moderatismo e la subalternità dell’attuale sinistra endosistemica, induce a rammentare come in Salario, prezzo e profitto Marx, il quale pure aveva particolarmente insistito sul fatto che il proletariato si sarebbe liberato dalle sue catene solo attraverso il rovesciamento del capitalismo, non ritenesse tutto ciò incompatibile con la lotta operaia per migliorare i salari reali.
Dal canto suo, la lotta per la casa deve avere, per essere efficace, un respiro ideale e culturale comunista, capace di alimentare, traendone forza essa stessa, un’egemonia, sia pur tendenziale, di classe. Proprio nel caso delle abitazioni vale ripetere che “l’opposizione tra la mancanza di proprietà e la proprietà, sino a che non è intesa come l’opposizione tra il lavoro e il capitale, resta ancora una opposizione indifferente”. 8 Benché non si tratti qui di definire modelli alternativi di abitazione, va, comunq ue, rilevato che l’ideologia reazionaria e piccolo-borghese della casa in proprietà non ha futuro e che, in quanto consumo sociale, l’abitare è destinato a sganciarsi dai processi di privatizzazione, aprendo lo spazio ad un arricchimento della libertà individuale e ad un’intensità di relazioni sociali che faranno del comunismo, come Marx scrive nell’opera da cui ho tratto il passo or ora citato, la “soppressione positiva della proprietà privata”.
Note
1 Per definire dal punto di vista del lavoro dipendente alcune essenziali coordinate della “questione delle abitazioni” e delineare il peso socio-economico del “blocco edilizio” è utile la consultazione del paragrafo dedicato alle “Costruzioni” in Clash City Workers, Dove sono i nostri, La Casa Usher, Lucca 2014 (pp. 78-85).
2 L’amara considerazione di questo aspetto inerente allo ‘status’ socio-economico è ciò che mi ha colpito leggendo l’autobiografia di un importante dirigente comunista, quale fu Armando Cossutta, e mi ha indotto a riportare, a titolo di epigrafe, la frase in cui questi ha espresso tale considerazione. Diverso il caso di un altro prestigioso dirigente e segretario nazionale del partito comunista, quale fu Luigi Longo, il quale, se non ricordo male, possedeva un villino nella campagna monferrina di cui era originario.
3 Cfr. https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1850/lottecf/index.htm (parte terza).
4 Cfr. https://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2007/09/SINTESI-17SET07.pdf?cmd%3Dart . La ricerca risale al 2007, quindi al periodo immediatamente antecedente l’inizio della recessione, la quale ha di certo aggravato ‘in pejus’ la situazione descritta in questo rapporto del Ministero delle Infrastrutture.
5 Secondo un’analisi dell’Eurostat, nel 2010 poco più di sette persone su dieci (il 70,8%) disponeva nell’UE-27 di un’abitazione di proprietà, mentre il 17,8% viveva in abitazioni in affitto locate a canone di mercato e l’11,4 % in abitazioni in affitto locate a canone agevolato o gratuito. Tuttavia vi è una grande discrepanza fra Europa del Nord e Occidentale e Europa dell’Est e Meridionale. I paesi con più proprietari di case sono infatti quelli ex-socialisti (Romania, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Lituania), seguiti da spagnoli, greci e italiani. I principali paesi del continente hanno invece una quota minore di proprietari di casa: abita in un alloggio di proprietà solo il 44% degli svizzeri, il 53,2% dei tedeschi e il 62% dei francesi. Cfr. lo studio Statistiche sulle abitazioni: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Housing_statistics . Per quanto riguarda l’Italia, secondo l’Istat, al 9 ottobre 2011 le famiglie che possiedono la casa in cui vivono sono il 72,1%, quelle in affitto il 18%, mentre il restante 9,9% risiede nell’abitazione a titolo gratuito o a titolo di prestazione di servizio. Va sottolineato, però, che molti di questi proprietari di casa la stanno pagando con un mutuo, il che, dal punto di vista della composizione di classe, li pone esattamente nella stessa situazione materiale di chi sta in affitto. La proprietà della casa può, sì, agire, almeno per ora, come fattore di contenimento dei processi di pauperizzazione e di proletarizzazione, ma pur sempre entro il confine invalicabile, segnato dal modo di produzione capitalistico e chiaramente indicato da Engels, della riduzione del valore della forza-lavoro. D’altronde, quando alla fine degli anni Settanta del secolo scorso fu avviata, ad opera del blocco neocorporativo formato dalla DC e dalle opposizioni subalterne (PCI, PSI e sindacati collaborazionisti), la liquidazione dell’equo canone e imposta la linea della casa in proprietà, furono esattamente questi gli obiettivi (economici, ideologici e persino antropologici) che informarono tale operazione.
6 Cfr. https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1872/abitazioni/qa-2pa.htm .
7 Vedi nota 2.
8 Cfr. il passo qui citato dei marxiani Manoscritti economico-filosofici del 1844 al seguente indirizzo: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/Manoscritti/proprietacomunismo.html .
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