Non meravigliamoci: da qui alle elezioni europee del 26 maggio ne vedremo altre. Ciò però non legittima da parte nostra indifferenza per le gravi, e direi inqualificabili parole, pronunciate da Guy Verhofstadt, soprattutto per aver egli definito “burattino” il nostro legittimo presidente del Consiglio. Il quale ha risposto a tono, senza perdere il suo classico aplomb. E già questo dovrebbe risultare un punto a suo favore, per chi guarda le cose con un sereno distacco politico.
Prima di tutto un chiarimento: si dirà ora, prima di tutto sui giornali, che Verhofstadt è il leader dei liberali europei. Nei lettori più sprovveduti scatterà perciò subito il riflesso pavloviano che il nostro governo è illiberale (mentre è stato finora semplicemente poco liberale come lo sono stati, direi, tutti quelli che lo hanno preceduto nella storia repubblicana). Il fatto è che però il leader belga non è affatto un liberale, essendo stato questo nobile termine sequestrato negli ultimi decenni dai cosiddetti liberal, quali egli in effetti è. L’insistenza sui diritti umani, quella sui diritti delle “minoranze” a discapito e non al servizio dell’uguale dignità umana, l’idea di un’Europa la cui identità dovrebbe fondarsi solo sulle procedure e sui regolamenti e quindi aperta senza criterio all’altro da sé, tutto ciò in buona sostanza rappresenta la struttura di questo “liberalismo” nonché la causa attuale della crisi del progetto europeo.
L’orizzonte ideale che fa da sfondo alle politiche del gruppo parlamentare cosiddetto “liberale”, e non solo ad esso in verità, connota un modo di pensare che appartiene all’illuminismo razionalistico e al radicalismo e che non ha nulla a che vedere con il liberalismo classico, intriso di senso della storia e di realismo politico.
Detto, questo credo che anche un liberale, quale io mi ritengo, possa ragionare a mente fredda su quello che è accaduto ieri in aula a Strasburgo. A tal uopo, c’è un commento istituzionale ed uno politico da fare. Il primo imporrebbe una seria presa di posizione delle altre cariche alte dello Stato italiano: si può legittimamente criticare un governo, ma non offendere il suo presidente del Consiglio offendendo sia l’Italia sia il sentimento e la volontà della maggioranza degli italiani. Questo è semplicemente intollerabile.
Da un punto di vista politico, invece, è evidente che una reazione così sopra le righe da parte di una delle più vecchie volpi della burocrazia europea segnala la crisi di quest’ultima e forse la crisi definitiva di quel processo di razionalizzazione anodina che è stata l’Unione europea finora. Qui la palla passa nel campo avversario. Chi a ragione si oppone al “Dio che ha fallito” e vuole creare una Unione europea fondata su basi del tutto diverse, deve stare solo attento ora a non commettere errori. I fatti poi, a mio avviso, matureranno da soli, come sempre accade quando l’essenza di una cosa non coincide più col suo concetto (e perdonatemi la civetteria hegeliana).
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