Losurdo, Controstoria del liberalismo
di SINISTRA IN RETE (Salvatore Bravo)
Il binomio democrazia-liberalismo è parte dell’apparato ideologico che col suo manicheismo manipolativo esemplifica i messaggi e traccia linee di confine tra il bene ed il male. L’ordoliberalismo europeo trae la sua legittimità dal giudizio sbrigativo e sempre negativo su ogni alterità politica esistita. L’Unione sovietica, il comunismo ed ogni dialettica del possibile continuano ad essere “il male impronunciabile”. Il male è ontologico ed inemendabile e dunque inspiegabile, per cui ogni mediazione razionale che possa spiegare genesi, ascesa e caduta di un sistema politico altro, è ridotta a poche parole astoricizzate e che tendono solo, a far cogliere la malvagità del sistema altro. Dall’altra parte della linea di confine c’è il bene, il regno irenico dove le contraddizioni sono sublimate nella verità del mercato. Il liberal liberismo si propone quale verità della storia intrasmutabile oltre la quale vi è se stessa, con i suoi naturali sommovimenti. Domenico Losurdo in Controstoria del liberalismo, mette in atto mediante il metodo induttivo, la coerenza e le contraddizioni degli autori liberali e del loro contesto politico sociale. Si tratta di un’opera preziosa per uscire dalla spelonca buia della rappresentazione conformistica ed ideologica del liberalismo, il quale è automaticamente associato alla democrazia, ai diritti, all’emancipazione. La controstoria non solo elimina i pregiudizi positivi contro il liberalismo, riportandolo alla sua verità storica, ma lungo il testo emerge la verità della cultura liberale, a cui pur riconoscendo indubitabili meriti, ovvero la difesa dei soggetti dall’assolutismo, essa ha il fine di difendere la proprietà, laicizza la ricchezza, la mette in circolo e ne fa il fondamento conflittuale ed individualistico delle comunità che vorrebbe liberare. La lettura della storia del liberalismo di Domenico Losurdo ci permette di comprendere meglio l’Europa dell’euro, della finanza competitiva e nel contempo ci fa scorgere il nostro probabile futuro, qualora nuovi accadimenti, nuove consapevolezze comunitarie non intervengano a deviare gli automatismi attuali.
Locke e la schiavitù
La cultura liberale è sempre stata associata alla resistenza al potere, i diritti naturali sono stati un valido mezzo per dare al potere un confine in cui agire, e lasciare spazi di libertà ai sudditi. La libertà è di per sé un valore universale, per riconoscerla come tale, si presuppone l’appartenenza di tutti gli esseri umani alla natura umana, la quale è portatrice di diritti inalienabili.
Nella cultura liberale delle origini, non tutti sono esseri umani, non tutti devono essere liberi. Il limite è dato dal fatto che i liberali rappresentano le classi emergenti e vincenti, le quali, non afflitte dalla coscienza infelice, declamano la libertà fin quando favorisce i commerci e gli interessi particolaristici. Locke è il campione del liberalismo, dell’homo oeconomicus, difende la schiavitù ed il potere incondizionato sullo schiavo. Il denaro per il liberale non ha limiti nella sua accumulazione, non è merce deperibile, per cui lo schiavo è il mezzo più palese della pornocrazia finanziaria: lo schiavo è despecificato nella sua natura di essere umano per giustificane l’uso ed il governo totale della sua vita:1
Locke non si stanca di sottolineare che il padrone esercita sullo schiavo un «dominio assoluto» e un «potere incondizionato», un «potere legislativo di vita e di morte», «un potere arbitrario» che investe «la vita» stessa (TT,II,85-86,24). A questo punto, lo schiavo tende a perdere le sue caratteristiche umane per ridursi a cosa a merce , come risulta in particolare dal riferimento ai piantatori delle Indie occidentali, i quali posseggono «schiavi o cavalli» (Slaves or Horses) in base ad un regolare «acquisto» (purchase) e cioè «grazie al contratto ed al denaro» (TT,I, 130).
Gli schiavi ed i cavalli sono posti sulla stessa linea d’orizzonte, sono mercificati mediante la despecificazione, anzi il contratto individualistico volto alla difesa della proprietà è anche il fondamento giuridico della schiavitù: coloro che comprano, posseggono denaro, stipulano contratti, quindi possono tutto, il sillogismo è stringente e disvela la verità della cultura liberale.
I destinati alla servitù
Mandenville come Locke è assertore della libertà del bianco ricco e proprietario, ma non tutti i bianchi devono essere liberi, ci sono dei bianchi che esattamente come i neri sono destinati per natura alla manovalanza, anzi i bianchi che per natura sono superiori ed utilizzano i servi per i loro bisogni economici, con il loro operare obbediscono ad un ordine naturale incambiabile: il bianco proprietario ha il dovere morale e naturale di usare e rendere ordinate le vite dei servi bianchi, loro sono la razionalità, i servi il mezzo per la produzione da educare al lavoro coatto o sarebbero persi2 :
”La tripartizione formulata da Locke emerge anche in Mandenville. Abbiamo in primo luogo, «il gran numero di schiavi che sono ogni anno trasportati dall’Africa» in America. In Inghilterra, invece, «gli schiavi non sono consentiti», ma i liberi possono avvalersi «dei figli dei poveri», delle «mani volenterose per tutte le servitù (all the Drudgery) attenti al duro lavoro sporco». E di nuovo ci imbattiamo nelle tre figure del libero, del servo e dello schiavo. La seconda può essere così poco confusa con la prima che agli occhi balzano semmai le analogie con la terza: «la parte più meschina e povera della nazione» è «la gente che lavora e pena in modo simile agli schiavi» (the working slaving people) e che è destinata per sempre a svolgere un «sporco lavoro e simile a quello dello schiavo» (dirty slavisch Work).
I migranti accolti in nome della libertà, i precari di cui la legislazione del lavoro si occupa per consentire il lavoro, mediante contratti sempre più flessibili, in nome degli interessi del lavoratore, sono i nuovi servi, per i quali la libertà è l’essere nel movimento dell’ingranaggio, sono mossi, ma non hanno diritto di partecipare alla democrazia economica. La struttura liberale resta, così, immutata malgrado i continui appelli di ieri e di oggi al progresso.
L’ideologia ed il diritto
E’ evidente che sin dalle origini la cultura liberale porta in potenza l’aziendalizzazione integrale, essa fonda lo Stato con il contratto, regola la vita degli individui secondo il contratto. Il contratto è un istituto giuridico privato utilizzato per fondare lo Stato che invece è comunità, regno del pubblico, per cui lo Stato è solo il mezzo, l’utile per affermare la proprietà e specialmente difenderla, lo Stato non rappresenta la comunità, ma difende il diritto alla proprietà3 :
”Nel tentativo di superare le difficoltà che s’incontrano nel definire del Sette e Ottocento, talvolta, invece che di liberalismo, si preferisce parlare di «individualismo», ed ecco che la storia della tradizione di pensiero qui oggetto di indagine appare attraversata in profondità da un «individualismo proprietario» o «possessivo» (possessive individualism). Questo definizione ha una sua parziale legittimità. Il Locke il potere comincia a configurarsi come tirannide e quindi come violenza allorché attenta alla proprietà privata (della classe dominante), e allora a tale violenza è lecito resistere: il cittadino, anzi l’individuo, si riprende il potere che già possedeva nello stato di natura e che «consiste nell’usare tutti i mezzi che ritiene adatti e che la natura gli offre per la conservazione della sua proprietà» (TT,II,171). L’ambito della legalità è l’ambito del rispetto della proprietà privata, mentre è definizione in primo luogo dalla sua definizione.
I presidenti della cultura liberale negli stati Uniti
Gli Stati Uniti notoriamente sono il regno della libertà da contrapporre ai totalitarismi del novecento. E’ sufficiente una verifica storica semplice e non dispendiosa per scoprire che Lincoln non intraprese la guerra di secessione per la liberazione degli schiavi neri, anzi, era pur disponibile a lasciare la schiavitù, pur di evitare la secessione degli Stati del Sud. Solo in un secondo momento, quando l’apporto della popolazione nera alla guerra divenne fondamentale per la vittoria, introdusse l’abolizione della schiavitù, quale strumento per favorire il passaggio degli schiavi sotto la sua bandiera. Jefferson, è un altro caso di liberale non esente da contraddizioni, celebra l’impero della libertà, mentre vende famiglie di schiavi sul mercato, separandone i membri. Ogni umanità è negata, non sono esseri umani, ma oggetto da scambiare per l’arricchimento del proprietario. La volontà di dominio e segregazione scorre nella cultura liberale statunitense, per cui Trump è l’espressione di una cultura che in modo carsico continua ad essere attiva e fonte di identità, ancora una volta nella storia vi sono verità nel presente che vengono dal passato, in quanto ciò che è rimosso ritorna:4
“D’altro canto, lo stesso Lincoln conduce inizialmente la guerra di Secessione come una crociata contro la ribellione e il separatismo, non già per l’abolizione della schiavitù, che può continuare a sussistere tranquillamente negli Stati leali nei confronti del governo centrale”. Ed ancora5 :”Nel 1809 Jefferson celebra gli Stati Uniti come « un impero per la libertà», fondato su una Costituzione che garantisce l’«autogoverno». A esprimersi così è un proprietario di schiavi, che esercita il potere sui suoi schiavi con brutalità, vendendo all’occorrenza come pezzi o merci separate i singoli membri della sua famiglia di proprietà; ed egli si abbandona a tale celebrazione in una lettera indirizzata a un altro proprietario di schiavi, che ha da poco preso il suo posto alla presidenza degli Stati Uniti”.
Razzismo liberal
Non tutti i razzismi sono uguali, ci sono razzismi da stigmatizzare ed altri da rimuovere. Inutile dire che gli Stati Uniti hanno fatto guerra alla Germania solo dopo l’attacco di Pearl Harbor (7 Dicembre 1941), prima ha continuato a rifornire la Germania nazista di petrolio ed auto. I liberatori, gli Americani avevano negli Stati del Sud la discriminazione giuridicamente riconosciuta, per cui le distanze apparentemente oceaniche, divengono meno stridenti: il regno del bene si confonde con il regno del male. In fondo la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese dichiarano l’uguaglianza dei soli bianchi. Lincoln è contro la mescolanza razziale, per cui abolisce la schiavitù, ma è in continuità con la minorità dei neri, essi non devono partecipare alla vita politica e congiungersi sessualmente con i bianchi. Ancora una volta l’uguaglianza, diritto universale è per pochi, sempre gli stessi:6
”A coloro che agitano lo spettro della contaminazione razziale come conseguenza inevitabile dell’abolizione della schiavitù , Lincoln risponde mettendo in evidenza che negli Stati Uniti la stragrande maggioranza dei «mulatti» è il risultato dei rapporti sessuali dei padroni bianchi con le loro schiave nere «(amalgamation)». Per il resto egli non ha «alcuna intenzione di introdurre eguaglianza politica e sociale tra le razze bianca e nera» o di riconoscere al nero il diritto di partecipare alla vita pubblica, a occupare uffici pubblici o ad assumere il ruolo di giudice popolare. Lincoln si dichiara ben consapevole, così come ogni altro bianco, della differenza, radicale tra le due razze e della supremazia che spetta ai bianchi”.
Schiavi per sempre
Mandenville suggerisce un provvedimento valido sempre, per rendere dominabile la popolazione: l’ignoranza. I sudditi ignoranti non hanno consapevolezza di sé, della loro forza creatrice. L’ignoranza ha il fine di far apparire lo stato presente come eterno, inesteso, è sempre stato, per cui ogni coscienza è negata con la conoscenza7 :”Alla medesima conclusione giunge Mandenville:« Per rendere felice la società è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera»; «la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi»”.
L’attuale assetto politico neoliberale è per la cultura organica al mercato, per cui essa non è che l’altra faccia dell’ignoranza. L’ignoranza è lo stato di minorità, di ricezione passiva delle politiche sociali e politiche. Le riforme scolastiche in Europa eliminano le discipline classiche e filosofiche, l’elemento concettuale e teoretico, per trasformare le scuole in laboratori per l’eterna plebe. Senza una formazione completa non si è che strumenti tra le mani del mercato globale che, in tal modo, non incontra alcuna difficoltà nel perseverare nei suoi fini, pronunciando ad ogni avanzamento le parole: progresso e libertà, naturalmente non per tutti.
Individualismo acquisitivo planetario
Le guerre dell’oppio (la prima nel 1839, la seconda nel 1856) in Cina non hanno procurato solo innumerevoli morti, e milioni di esseri umani ridotti ad uno stato di pura inedia perpetua, musulmani cinesi, se ci atteniamo alla definizione data da Agamben agli ebrei nei campi di sterminio, alla loro riduzione a semplice respiro biologico. La guerra dell’oppio è la verità del capitale: in nome del libero commercio, del valore di scambio, si ha diritto a dominare popoli, ad instaurare la sudditanza coloniale con qualsiasi mezzo. Nelle scuole non si ricordano le guerre dell’oppio, sono scomparse da ogni discussione pubblica, hanno l’onta della verità8
”:E, tuttavia, come Tocqueville, neppure Mill ha dubbi sul perfetto coincidere di Occidente e causa della libertà e sul diritto del primo a esercitare il dispotismo anche su popoli islamici. Il liberale inglese non ha difficoltà a leggere la guerra dell’oppio come una crociata per la libertà del commercio e per la libertà in quanto tale:« il divieto di importare dell’oppio in Cina» viola la«libertà (…) dell’acquirente» prima ancora che «del produttore o del venditore». D’altro canto, la lezione impartita ai«barbari» cinesi può essere solo salutare”.
Chi sono i barbari?
La lotta contro la discriminazione negli Stati Uniti
Il potere liberale ha la capacità di perdere le battaglie per conservare l’essenziale: il potere economico e politico. Per cui assistiamo ad un continuo aggiustamento-adattamento del potere liberale nella storia: Napoleone III accetta il suffragio universale, perché ha imparato che le masse possono essere dominate, controllate con l’informazione, per cui si concede per conservare. Negli Stati Uniti si elimina la discriminazione per impedire l’espansione delle forze di sinistra e nel contempo si prepara la reazione-conservazione impedendo riforme che possano ridistribuire poteri e ricchezze9 :
”Nel dicembre 1952 il ministro statunitense della Giustizia invia alla Corte Suprema, impegnata a discutere la questione dell’integrazione nelle scuole pubbliche, una lettera eloquente:«La discriminazione razziale porta acqua alla propaganda comunista e suscita dubbi tra le nazioni amiche sull’intensità della nostra devozione democratica»”.
Solo una formazione adeguata può porre le condizioni per diritti effettivi, e per insegnare, fuori da ogni complottismo, le manovre dei poteri per riaffermare se stessi. I popoli, le persone, gli oppressi hanno la loro possibilità nella storia sempre più complessa. Solo se i popoli imparano a difendersi con la cultura, a leggere i significati di parole quali jobs act, il potere può temere un cambiamento concreto, che necessita sempre di cittadinanza attiva, altrimenti si scambierà la caverna platonica per il bene.
Hannah Arendt
Domenico Losurdo denuncia “le imprecisioni e le rimozioni della Arendt” e di conseguenza il suo uso ideologico globale. La Arendt afferma il trionfo della Rivoluzione americana, ma rimuove i diritti negati ai neri, e l’uso ideologico della parola democrazia e libertà. La via che conduce all’universale è dunque accidentata, lastricata di inganni differenti, ma non è impossibile da attraversare, certamente un’istruzione-formazione in cui i contenuti sono disposti secondo un ordito critico, è una della condizioni imprescindibili per fermare la mutazione antropologica di questi decenni, altrimenti siamo destinati all’uomo poietico, capace di produrre senza capire10:
”Come si vede, nonostante l’opinione contraria di Arendt, gli «interessi di classe», in primo luogo di coloro che possedevano estese piantagioni e un numero rilevante di schiavi, giocano un ruolo importante, che non sfugge agli osservatori del tempo. Il fatto è che Arendt finisce in ultima analisi con l’identificarsi con il punto di vista dei coloni ribelli, che mantenavano la buona coscienza di essere i campioni della causa della libertà, rimuovendo il fatto macroscopico della schiavitù mediante i loro ingegnosi eufemismi: a tali eufemismi subentra ora la spiegazione «storicistica».
La cultura è un filtro che ci permette di discernere il presente e di decodificare gli autori nella loro umanità, nelle loro contraddizioni, si spera non opportunistiche, ma senza tale filtro le possibilità di fare barriera ai barbari ed alla barbarie è sicuramente meno probabile. Senza un approccio olistico che colga le contraddizioni di un sistema ideologico, non vi è che una democrazia formale, i popoli privati del logos, non divengono che amplificatori passivi, solo la cultura critica ed umanistica può promuovere “la primavera dei popoli”, che comincia con la consapevole lettura della condizione materiali ed ideologiche in cui vivono.
Note
1 Domenico Losurdo Controstoria del liberalismo, Laterza Bari, 2005 pag. 44
2 Ibidem pp. 110 111
3 Ibidem pp. 120 121
4 Ibidem pag. 165
5 Ibidem pag. 245
6 Ibidem pag. 57
7 Ibidem pag. 90
8 Ibidem pag. 246
9 Ibidem pag. 338
10 Ibidem pag. 31
Commenti recenti