Sardegna al voto. La campagna elettorale dominata dai pastori
di FORMICHE (Maria Cristina Antonucci)
La protesta ha introdotto innovazioni comunicative rilevanti, perché scalabili e riproducibili anche al di fuori del contesto regionale sardo.
La finestra di opportunità è quella circostanza in cui una data posizione, anche marginale o eccentrica rispetto ai termini del dibattito corrente, trovi una ragione di diffusione nell’opinione pubblica, grazie a specifici eventi. Le elezioni regionali in Sardegna del 24 febbraio 2019 devono essere state interpretate in questi termini da parte del movimento dei pastori sardi, nel momento in cui esso ha avviato una vera e propria lotta sul territorio contro la costante diminuzione del prezzo del latte praticata dalla grande industria casearia. L’”onda bianca” dei pastori è ormai attiva da inizio febbraio con una serie di proteste, blocchi stradali e interruzioni del traffico di tir sull’Isola e con la minaccia di boicottare il regolare svolgimento delle elezioni nel corso di domenica 24.
Dal punto di vista comunicativo, il gesto che ha dominato l’agenda di questa campagna è stato lo sversamento del latte raccolto dai pastori sulle strade della Sardegna. Piuttosto che conferire il proprio prodotto all’impresa di trasformazione, per un prezzo ritenuto incongruo con i costi del lavoro pastorale, i pastori hanno scelto di gettarlo via. E lo hanno comunicato attraverso azioni e simboli autentici e molto concreti, uscendo dalla logica delle impressioni da social e dalla mutevolezza del discorso politico elettorale.
La dispersione del latte in strada è un atto dal grande impatto metaforico, in grado di suscitare emozioni fonde anche nel pubblico dei social. In termini simbolici, gettare via il latte richiama lo spreco di un alimento primario, il fondamento stesso della vita. Si tratta di un’azione per molti versi luddista, in grado di sabotare l’esito stesso della dura produzione del pastore – più un modello di vita che un semplice impiego – per rivendicare un ruolo sociale, non solo economico di tale attività. È un gesto fortemente ideologico, che recupera un concetto desueto, come l’alienazione marxista: se non è possibile riconoscersi nel frutto del proprio lavoro, in quanto il mercato non fornisce ad esso adeguata remunerazione, si giunge fino a sprecarlo pur di riappropriarsene, estraniandosi completamente dalla logica di mercato.
Così, la protesta simbolica dei pastori sardi ha conquistato l’agenda comunicativa di mass media e politica, dettandone temi, regole e tempi, grazie ad una iniziativa dal basso, coordinata tramite social. Non una novità in termini di azione collettiva, per chi studia le comunità del dissenso in Italia.
Si tratta tuttavia di un impiego caratterizzato da una forza peculiare: quella di compiere gesti che risultano eclatanti anche per il disincanto odierno, e di convogliarli in un lasso temporale concentrato, il momento elettorale regionale – al fine di massimizzare l’esito della protesta. Quali che siano le risposte politiche alle richieste avanzate dal movimento dei pastori, in termini di creazione di una agenda pubblica sul tema, questa protesta ha introdotto innovazioni comunicative rilevanti, perché scalabili e riproducibili anche al di fuori del contesto regionale sardo. Così, anche se dopo le elezioni regionali, la protesta dei pastori terminasse senza l’esito sperato, gli apparati, i riferimenti e i modelli comunicativi messi a punto in questa circostanza, restano a disposizione di altri attori del sistema. Con l’incertezza sulle modalità di declinazione, ad esempio, per le prossime elezioni europee di fine maggio 2019.
Fonte: https://formiche.net/2019/02/sardegna-voto-pastori/
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