La Cina in Africa non è una santa ma neppure una canaglia; sarebbe ora che l’Occidente la smettesse di mentire al mondo
di BUSINESS INSIDER ITALIA (George Tubei)
[D] Il presidente cinese Xi Jinping partecipa al vertice del Forum su Cina e Africa a Beijing (Pechino) nel 2018. Getty
- L’Africa non è più inginocchiata di fronte agli Stati Uniti. Gran parte del continente oggi è allineata dal punto di vista economico e politico alla superpotenza mondiale che sta emergendo con più rapidità, ovvero la Cina
- Dall’inizio del secolo scorso varie aziende cinesi hanno costruito in Africa stadi, autostrade, aeroporti, scuole, ospedali e, in Angola, un’intera città
- È paradossale che la Cina oggi sia criticata dall’Occidente perché a suo dire starebbe facendo esattamente quello che il Fmi fa da decenni.
“Damn if you do, damn if you don’t” probabilmente questo detto americano (traducibile maccheronicamente in ‘come ti muovi sbagli’) riassume in modo efficace il rapporto dell’Africa con la Cina nel XXI secolo, che sta facendo preoccupare sempre più l’Occidente.
L’Africa non è più inginocchiata di fronte agli Stati Uniti. Gran parte del continente oggi è allineata dal punto di vista economico e politico alla superpotenza mondiale che sta emergendo con più rapidità, ovvero la Cina.
Negli ultimi dieci anni la Repubblica popolare cinese ha iniettato miliardi di dollari nella culla dell’umanità, e la Cina è oggi il partner commerciale più grande dell’Africa nel suo complesso.
“Cina e Africa possono forgiare una partnership strategica e completa più forte. La Cina promette di interagire con l’Africa sulla base di un principio di sincerità e di risultati concreti” ha detto il presidente cinese Xi Jinping alla chiusura del vertice del China-Africa Forum for Cooperation (Focac) tenuto a Beijing nel 2018.
“Gli 1,3 miliardi di abitanti della Cina e gli 1,2 miliardi di abitanti dell’Africa vogliono un futuro condiviso” ha detto il leader cinese, promettendo che non sarà permesso a nessun ostacolo di frenare questa “marcia congiunta” e annunciando di aver stanziato un nuovo fondo da 60 miliardi di dollari per lo sviluppo africano nell’ambito di un pacchetto di nuove misure volte a rafforzare i legami tra i due Paesi.
Stati Uniti e Cina scambiano ogni anno con Paesi esteri di tutto il mondo beni dal valore totale simile: rispettivamente, circa 3.880 miliardi di dollari e circa 3.950 miliardi di dollari. In questo caso specifico però, mentre le importazioni africane negli Stati Uniti nel 2017 avevano un valore totale intorno a 33,44 miliardi di dollari, il volume delle importazioni africane in Cina nello stesso anno è aumentato a 170 miliardi di dollari, molto più dei soli 10 miliardi di dollari del 2000, in base a dati forniti dal Ministero del Commercio cinese – quasi il quintuplo del dato relativo agli Stati Uniti.
Dall’inizio del secolo in corso varie aziende cinesi hanno costruito in Africa stadi, autostrade, aeroporti, scuole, ospedali e, in Angola, un’intera città. La Cina ha iniettato centinaia di miliardi di dollari in infrastrutture e governi africani, in cambio di beni dal valore complessivo di centinaia di miliardi.
Almeno cinque Paesi africani hanno ricevuto finanziamenti dalla Cina per la propria rete ferroviaria: Kenya, Etiopia, Angola, Djibouti e Nigeria.
- La ferrovia in Kenya. Getty
Perfino la nuova sede centrale dell’Unione africana, il cui grattacielo svetta su Addis Abeba (Etiopia), è stata interamente finanziata e costruita dalla Cina al costo di 200 milioni di dollari. Nel marzo 2018 l’Ecowas, l’unione regionale dei paesi africani occidentali, ha stipulato un accordo con la Cina per la costruzione della sua sede ad Abuja al costo di 31,6 milioni di dollari.
- La sede centrale dell’Unione africana ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia.
Anche la società di sviluppo edilizio China Fortune Land Development, quotata sul mercato azionario di Shanghai, ha in programma di investire fino a 20 miliardi di dollari nella costruzione di un distretto residenziale di fascia alta, una zona industriale, una serie di scuole, università e alcuni centri ricreativi in Egitto.
La crescente influenza cinese in Africa non ha permesso al gigante asiatico di conquistare molti nuovi fan all’estero. Capeggiati dagli Stati Uniti, i leader occidentali negli ultimi anni hanno rivolto aspre critiche nei confronti del governo di Beijing e di ogni aspetto della presenza cinese in Africa.
- La nuova città costruita dalla Cina in Angola.
Questi leader hanno lanciato moniti particolarmente aspri sulla possibilità che la Cina ricorra alla “diplomazia della trappola del debito” per portare avanti la sua Belt and Road Initiative e per creare un ordine economico mondiale incentrato sulla superpotenza asiatica.
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La politica di non interferenza della Cina, alimentata da uno stile che la porta a “non fare domande” anche quando interagisce con regimi repressivi, l’ha portata a essere accusata dall’Occidente di appoggiare abusi dei diritti civili e altre violazioni, accusa che la Cina continua a respingere.
Dipingere la Cina come un Paese cattivo e malvagio è ingiusto
Secondo Rosalind Raddatz, direttrice dell’Ufficio del rettore e professore assistente di Politica dell’Aga Khan University, le relazioni tra Cina e Africa sollevano una serie di problemi, ma cercare di dipingere il Paese asiatico come una nazione cattiva e malvagia fino al midollo è ingiusto.
“Una nazione estera ha la responsabilità morale di creare un ambiente in cui il mondo degli affari sia un posto migliore, e che cos’è un posto migliore? Perché molti kenioti che hanno tratto benefici da aziende cinesi direbbero che il Kenya in realtà stia andando molto meglio grazie al fatto di fare affari con i cinesi; abbiamo una ferrovia funzionante che collega Nairobi a Mombasa per la prima volta in vari decenni. Ogni individuo che prende quel treno ogni giorno è in debito con i cinesi. Quante strade ho visto nascere negli ultimi dieci anni? Si guida molto meglio in Kenya di quanto non si guidasse in passato, e si può affermare che il motivo siano le infrastrutture cinesi” dice Raddatz.
- Sede del Fondo Monetario Internazionale. Getty
È paradossale che la Cina oggi sia criticata dall’Occidente perché a suo dire starebbe facendo esattamente quello che il Fmi fa da decenni: concedere prestiti insostenibili a Paesi in difficoltà per farli indebitare ulteriormente, indebolire le facoltà dello Stato e aprire le loro economie nazionali agli investitori internazionali (principalmente dei Paesi occidentali).
La Cina fa il proprio interesse, esattamente come qualunque altro partner estero, ed è del tutto possibile che stia cercando di sfruttare le trappole del debito, ma di certo ha meno esperienza del Fmi nel far leva sul debito nei confronti di paesi già fortemente indebitati.
“L’area in cui le cose si complicano un po’ è quella della manodopera cinese. Un argomento citato spesso è che la Cina porti qui la propria manodopera e di conseguenza non assoldi cittadini kenioti per svolgere il lavoro, pertanto sotto questo aspetto molti kenioti sarebbero messi peggio di prima” spiega Raddatz.
Il Fondo monetario internazionale, che un tempo era l’istituzione finanziaria più potente del mondo, divenne entro gli anni Settanta e Ottanta l’arbitro principale incaricato di circoscrivere lo sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo. Alle nazioni che non seguivano i suoi precetti veniva ordinato, in modo più o meno discreto, di ripensare le loro politiche, se non volevano rischiare di essere escluse dal novero dei Paesi finanziariamente responsabili.
I rimedi che prescrisse, che comprendevano nette riduzioni della spesa pubblica, furono considerati una fonte di instabilità politica. Fu attribuita al Fondo la responsabilità di un fenomeno diffuso in Africa e in Sudamerica, noto come IMF coup (colpo di Stato del Fmi).
La lettura corretta della situazione sembra dunque qualcosa di simile a questa: non è che lo Zambia, il Kenya, il Djibouti, Etiopia, la Guinea e gran parte dell’Africa siano – di nuovo – tenuti in trappola dai creditori internazionali. Piuttosto, è probabile che il Fmi e i suoi alleati dell’Occidente temano di perdere il controllo degli Stati africani, minacciato dal sistema economico parallelo sviluppato dalla Cina negli ultimi anni.
I prestiti cinesi all’Africa non sono di certo la migliore delle soluzioni, e come si dice “il diavolo è nei dettagli”, ma non è che i prestiti dell’Occidente siano migliori. Anzi, a dire il vero stanno diventando sempre più rari, e quando sono effettivamente disponibili richiedono una vita per arrivare a destinazione e implicano un’infinità di condizioni.
L’Africa non ha nulla da perdere dalle interazioni con la Cina
Aarti Shah, ex responsabile delle relazioni di Thomson Reuters con i governi degli Stati africani e oggi consulente di The Cobalt Partners, sostiene che le nazioni africane non abbiano nulla da perdere dalle interazioni con la Cina – e a dire il vero con qualsiasi altro partner – se negoziano tenendo a mente gli interessi delle imprese e dei cittadini.
“Il punto è che mentre i finanziamenti concessi dai tradizionali Paesi del Club di Parigi si sono ridotti rispetto ad altre fonti dopo la crisi finanziaria globale, e mentre i governi che non appartengono al Club e gli istituti di credito privati rappresentano oggi una percentuale maggiore dei fondi che riceve, l’Africa ha a disposizione altri modi per finanziare porti, ferrovie, mini-reti elettriche, scuole, ospitali e così via” commenta Shah.
I grandi progetti infrastrutturali in Africa sono generalmente considerati rischiosi dalle banche e dai donatori tradizionali, e di solito hanno difficoltà a trovare finanziamenti, ma non quando è coinvolta la banca cinese che si occupa di import-export.
L’Africa ha bisogno di soldi come il deserto ha bisogno di pioggia, e bisogna lottare ogni giorno per dare da mangiare a questo continente, svilupparlo e farlo entrare nel XXI secolo. Secondo Shah è dunque indispensabile che l’Africa affronti con intelligenza la spesa pubblica e l’allocazione delle risorse, perché i finanziamenti implicheranno sempre delle condizioni, che provengano dalla Cina o dall’Occidente.
“Tocca alle coalizioni economiche regionali e ai diversi Paesi stabilire le priorità rispetto alle cose di cui hanno bisogno, e successivamente di trovare il miglior rapporto qualità-prezzo. I finanziamenti dopotutto implicheranno sempre delle condizioni, ma le aree in cui vengono usati devono essere determinate da chi li riceve. Perché costruire un enorme aeroporto quando devi spostare milioni di persone al giorno all’interno di una città in modo sicuro ed efficiente per migliorare la produttività e ridurre le emissioni di anidride carbonica?” dice Shah.
- Aarti Shah, esperta del settore fintech, tiene un discorso durante una colazione politica organizzata dalla Strathmore Business School e dal Business Advocacy Fund per parlare di “tecnologia blockchain e del suo impatto sull’economia del Kenya”.
“I Paesi africani devono operare in modo molto più intelligente per incrementare le tasse e altre entrate generate internamente. Il rapporto fra gettito fiscale e Pil in Nigeria, che pur rappresenta un caso estremo, è a malapena del 6%. Se un Paese vuole davvero fornire ai cittadini l’istruzione necessaria per la quarta rivoluzione industriale, che è già pienamente in corso, una sanità decente o qualunque altro servizio pubblico, deve guardare all’interno dei propri confini.”
Il governo cinese ha certamente dato una notevole spinta all’industrializzazione dell’Africa, ma adesso che l’obiettivo è stato raggiunto, le forze dell’economia stanno portando ancora più avanti l’iniziativa. Il continente oggi è pieno di piccole imprese cinesi, da Città del Capo al Cairo.
Le società cinesi a capitale privato stanno prendendo piede in Africa. Delle 10.000 imprese cinesi presenti nel continente in base alle stime, il 90% è costituito da società di questo tipo, cosa che l’Africa può sfruttare a proprio vantaggio. Potrebbe anche essere utile creare una serie di Ppp (partnership pubblico-privato) locali.
“Il mondo si è spostato verso le partnership pubblico-privato e i finanziamenti privati a settori e progetti che tradizionalmente rientravano fra le responsabilità dei governi. Eppure i mercati dei capitali in tutto il continente sono ancora del tutto irrilevanti. A un certo punto gli investimenti di private equity che sono aumentati negli ultimi anni dovranno essere ritirati. Chi raccoglierà il testimone?” chiede Shah.
Durante il vertice del 2018 del China-Africa Forum for Cooperation (Focac), il presidente cinese Xi Jinping ha sfidato le società cinesi a capitale privato a investire direttamente più di 10 miliardi di dollari in Africa nei prossimi tre anni.
La Kenya Private Sector Alliance si sta già posizionando in modo da poter ottenere grandi benefici, dato che il Paese è al sesto posto fra i partner commerciali della Cina nel continente e al primo posto nell’Africa Orientale.
“La Cina è cruciale per noi, sia come mercato per i prodotti del Kenya sia come fonte di investimenti. Siamo dunque ansiosi di incrementare il commercio tra di noi eliminando le barriere e, così facendo, di attrarre più investitori cinesi in Kenya, specialmente per i progetti manifatturieri orientati alla risoluzione delle Big Four” (le quattro sfide più importanti da superare in ambito manifatturiero), ha detto Carole Kariuki, Ceo della Kenya Private Sector Alliance, ai margini dell’incontro fra rappresentanti delle imprese durante il vertice del Focac.
- Carole Kariuki, Ceo della Kenya Private Sector Alliance.
Il rischio di default è ovviamente elevato, e dato il comportamento tenuto dalla Cina in passato i Paesi africani devono rimanere lucidi, considerando che il gigante asiatico non si fa problemi ad assumere il controllo delle infrastrutture cruciali di una nazione per recuperare i suoi soldi, come ha fatto nello Sri Lanka.
La Cina potrebbe anche scegliere di reimpacchettare i debiti legati alle infrastrutture africane, dando vita a nuovi titoli e vendendoli a investitori che potrebbero essere meno clementi e pretendere il dovuto con la forza.
Ma anche se i Paesi africani accogliessero il Fmi a braccia aperte, il programma dei loro bailout sarebbe una pillola amara da ingoiare e implicherebbe molte condizioni, imponendo ulteriori tagli alla spesa e privatizzazioni in uno Stato già ridimensionato. Non esistono semplicemente evidenze che portino a pensare che un programma promosso dal Fmi sarebbe migliore di un accordo con la Cina.
- Il presidente Uhuru Kenyatta con Christine Lagarde, direttrice del Fmi. Getty
Quello che i governi africani possono almeno cercare di fare è occuparsi delle “pulizie di casa” ed eliminare i colli di bottiglia superflui che stanno frenando “Mamma Africa”.
“Il commercio transfrontaliero si sta spostando in modo significativo verso i pacchi di piccole dimensioni, ma le autorità doganali africane devono capirlo ed essere rappresentate al tavolo che stabilisce le politiche fiscali per l’e-commerce globale” dice Shah.
In fin dei conti è anche il caso di sottolineare che neppure la Cina punta solo agli affari, anzi sta dimostrando di essere un partner umanitario affidabile.
“È anche il caso di dire che la Cina non mira solo alle strade, alle infrastrutture e agli affari; la Cina ha anche fatto arrivare molti tipi diversi di aiuti. Quando mi trovavo in Liberia, l’ospedale più grande in Monrovia era stato costruito dai cinesi e non dal governo statunitense, che ha rapporti di vecchia data con la Liberia; penso dunque che questa sia una questione molto complicata, e che dipenda da chi pone le domande e da chi risponde” commenta Raddatz.
Fonte: Pulse Live Kenya
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