L’Italia aspetta Xi per aderire alle nuove vie della seta
di LIMES (Giorgio Cuscito)
BOLLETTINO IMPERIALE Febbraio lungo le nuove vie della seta. Nonostante le pressioni degli Usa, Huawei resterà nella Penisola e sbarcherà pure in Arabia Saudita. Roma si prepara alla visita del presidente cinese, mentre Venezia si accorda col Pireo. Pechino ha un avamposto militare in Tagikistan.
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Indicatore geopolitico: 2
In Italia, Huawei gestisce due centri per l’innovazione tecnologica rispettivamente a Pula e a Catania. I settori interessati sono sanità, turismo, sicurezza, sorveglianza, smart and safe cities e trasporto urbano. Tali attività implicano l’impiego della rete 5G, che Huawei sta sperimentando nella Penisola in collaborazione con compagnie telefoniche quali Vodafone, Tim e Wind Tre.
Perché è importante – Gli Usa chiedono ai loro alleati e partner di non adottare la tecnologia di quinta generazione made in China, ritenendo che la Repubblica Popolare se ne servirà per condurre attività spionistiche. Un rischio che il Regno Unito giudica “gestibile”. Al netto della questione tecnica, Washington vuole impedire a Pechino di usare Huawei per accrescere la sua influenza geopolitica e tecnologica all’estero. Ciò pone l’Italia al centro della competizione sino-statunitense.
L’ITALIA TRA USA E CINA
La partecipazione della Penisola alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta) pare imminente. A meno che la pressione degli Usa non induca il governo italiano a dei ripensamenti, il presidente cinese Xi Jinping dovrebbe recarsi a Roma a fine marzo per assistere alla firma del memorandum di adesione alla Bri. L’Italia sarebbe così l’unico paese del G7 a sposare ufficialmente il progetto geopolitico di Xi. Ciò potrebbe agevolare gli investimenti cinesi nelle nostre infrastrutture portuali.
L’Italia non bandirà Huawei – Roma non intende per ora soddisfare le richieste statunitensi rinunciando alla collaborazione con l’azienda cinese. L’intelligence italiana osserva da tempo le sue attività, ma al momento non vi sono evidenze di una minaccia alla sicurezza nazionale. Inoltre, la cancellazione dei progetti avviati con Huawei sarebbe molto dispendiosa e lascerebbe l’Italia indietro rispetto ad altri paesi nell’allestimento della rete Internet di quinta generazione.
Roma potrebbe adottare nuove misure di sicurezza per assicurarsi che le attività di Huawei non costituiscano una minaccia alla sicurezza nazionale e a quella delle basi Usa e Nato dislocate sul territorio italiano. Obiettivo: far parte delle nuove vie della seta senza attirare le ire dell’indispensabile alleato americano. Un primo (ma non sufficiente) passo in tal senso è rappresentato dal centro di supervisione della rete 5G che potrebbe essere allestito all’interno del ministero dello Sviluppo Economico.
Rotta Melzo-Chengdu – A gennaio è stata inaugurata la linea ferroviaria tra Melzo e Chengdu, operata da Felb. Si tratta del terzo tentativo di connettere i dintorni di Milano con il capoluogo del Sichuan. Negli altri due casi, i treni partiti da Mortara e Busto Arsizio hanno percorso solo una corsa ciascuno.
Intesa tra Venezia e il Pireo – L’autorità portuale di Venezia e quella del Pireo – controllata dalla cinese Cosco – hanno firmato un memorandum d’intesa per potenziare i traffici. La Cina ha scelto lo scalo marittimo greco quale snodo di riferimento della Bri in Europa. Tuttavia la costruzione della rete ferroviaria che dovrebbe collegarlo al cuore del Vecchio Continente passando per i Balcani procede a rilento. Ciò è dovuto in parte alla scarsa trasparenza dei progetti cinesi nell’Europa di Mezzo. I porti italiani possono approfittarne per intercettare parte dei flussi commerciali provenienti da Oriente.
NULLA DI FATTO AL VERTICE DI HANOI
Il secondo vertice tra il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un e il presidente Usa Donald Trump ad Hanoi (Vietnam) si è concluso anticipatamente e senza un accordo sul processo di denuclearizzazione del paese eremita. Kim non intende rinunciare completamente all’atomica. Pertanto al momento Washington deve accontentarsi dell’astensione nordcoreana da nuovi test atomici, mentre tenta di allontare Pyongyang dalla sfera d’influenza cinese. Non è escluso che dopo il vertice di Hanoi Kim veda per la quarta volta Xi Jinping. D’altronde, il treno verde del dittatore deve passare obbligatoriamente attraverso la Repubblica Popolare. Soprattutto, Xi non intende lasciare che gli Usa attirino nella propria orbita la Corea del Nord, paese cuscinetto tra il confine cinese e i 20 mila militari Usa posizionati in Corea del Sud.
LA GUERRA DEI DAZI NON È RISOLTA
Per l’ennesima volta, il dossier commerciale si incrocia temporalmente con quello coreano. I negoziati commerciali tra Usa e Cina proseguiranno dopo la scadenza del 1° marzo. Washington e Pechino sono cautamente ottimiste, ma un accordo non porrebbe fine alla loro competizione economica, tecnologica, militare e di soft power.
LA CINA IN TAGIKISTAN PROTEGGE IL XINJIANG
La Cina ha creato un avamposto militare in Tagikistan, che si aggiunge a quelli attivi sulle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale e alla base di Gibuti. L’installazione, composta da una ventina di edifici, si trova a pochi chilometri dal confine con la regione cinese del Xinjiang e si affaccia sul corridoio afghano di Wakhan, schiacciato tra il territorio tagiko e quello pakistano. Le truppe cinesi pattugliano questa lingua di terra da tempo e nel 2018 si vociferava della possibile costruzione di una base cinese in territorio afghano, poi smentita dai paesi direttamente interessati.
Pechino pattuglia i confini per prevenire il ritorno di migliaia di uiguri che negli ultimi anni hanno lasciato il Xinjiang per unirsi allo Stato Islamico e ad al-Qaida in Siria, Iraq, Afghanistan e Pakistan. Intanto nella regione il governo cinese ha anche intensificato la campagna di “sinizzazione”. L’obiettivo è assicurarsi la fedeltà degli uiguri alla Repubblica Popolare, anche attraverso campi di rieducazione per presunti radicalizzati. Il governo cinese non ha intenzione di chiuderli, ma ha recentemente permesso a una delegazione Ue di visitare la regione. Ciò non basterà per smorzare la pressione internazionale. Bruxelles e gli Usa potrebbero utilizzare la questione uigura per pressare la Cina su altri fronti quali commercio, investimenti e ruolo di Huawei all’estero.
PETROLIO, “DERADICALIZZAZIONE” E HUAWEI UNISCONO CINA E ARABIA SAUDITA
A Pechino, l’incontro tra il principe saudita Mohammed bin Salman e Xi Jinping si è concluso con la firma di 35 accordi di cooperazione economica, per un valore totale di 28 miliardi di dollari. La compagnia saudita Aramco e la conglomerata cinese Norinco svilupperanno un impianto petrolchimico a Panjin, nel Nord-Est della Cina. Il 70% del greggio raffinato nell’infrastruttura proverrà dal paese arabo, che potrebbe diventare nuovamente il primo esportatore di tale risorsa nella Repubblica Popolare. Inoltre, Riyad permetterà a Huawei di costruire la sua rete 5G. Schierandosi di fatto con Pechino nella partita tecnologica con gli Usa.
Bin Salman ha affermato il proprio rispetto le attività antiterrorismo e di deradicalizzazione condotte da Pechino nel Xinjiang. Per Xi, si tratta di un risultato significativo visto le critiche internazionali attirate dai sopramenzionati campi di rieducazione per presunti jihadisti nella regione più occidentale della Cina.
Riyad vuole accrescere i rapporti con Pechino non solo per cogliere le opportunità offerte dal mercato energetico cinese, ma anche per impedire all’Impero del Centro di avvicinarsi eccessivamente all’Iran, storico rivale dei sauditi.
LA MALAYSIA NON LASCIA LA BRI
Kuala Lumpur non ha ancora rinunciato alla costruzione della East Coast Rail Link. Il governo malaysiano aveva congelato il progetto ferroviario finanziato dalla Cina perché troppo oneroso, e ora vorrebbe ottenere da Pechino un prezzo “giusto”. Il governo cinese punta sui progetti infrastrutturali nel Sud-Est asiatico per alleviare la dipendenza dei suoi flussi commerciali dallo Stretto di Malacca, presidiato dagli Usa. La Cina è il primo partner della Malaysia per investimenti e commercio. Pechino cercherà di convincere Kuala Lumpur a salvare il progetto, indispensabile per salvaguardare anche l’immagine della Bri agli occhi dei paesi partner.
LA DISPUTA PER IL TERMINAL DI GIBUTI
L’operatore portuale globale Dp World di Dubai ha accusato China Merchants Group di aver violato i suoi diritti esclusivi sulla gestione del terminal container di Doraleh a Gibuti, strategicamente affacciato sullo stretto di Bab al-Mandab. La disputa è ora in mano al Tribunale di Hong Kong. La regione ad amministrazione speciale cinese si propone infatti come punto di riferimento per la gestione delle questioni legali e finanziarie legate alla Bri. In base all’accusa, nel 2004 il governo africano aveva assegnato a Dp World il controllo del terminale per un periodo di trent’anni. In seguito, Gibuti ha nazionalizzato il porto e ne ha assegnato un quarto a China Merchants, alla quale ha permesso di costruire il terminal multiuso di Doraleh accanto alla base militare della Repubblica Popolare. Così avrebbe estromesso Dp World.
È la prima volta che una multinazionale avvia un procedimento legale riguardante le attività di un’impresa statale cinese nella cornice della Bri. Lo scenario potrebbe ripetersi. Per questo la Cina ha messo in piedi diversi strumenti per risolvere questo tipo di dispute. Per esempio, ha istituito una corte internazionale commerciale con base a Pechino per condurre contenziosi, mediazioni e arbitrati riguardo le nuove vie della seta. Inoltre, lo scorso gennaio Singapore ha creato un panel per la mediazione internazionale sulla Bri.
LE BARBADOS ADERISCONO ALLA BRI
La Belt and Road Initiative coinvolge sempre di più l’America Latina. A fine febbraio, le Barbados hanno firmato il memorandum di adesione alle nuove vie della seta. Lo stesso hanno fatto negli ultimi anni Guyana, Trinidad e Tobago, Suriname, Cile, Ecuador e Panamá. Inoltre lo scorso gennaio Cosco ha preso il controllo del porto di Chancay in Perù. Si tratta del secondo investimento cinese in uno scalo marittimo dell’America Latina dopo quello di China Merchants a Paranagua in Brasile. Pechino vuole espandere la sua presenza economica nel “giardino di casa” degli Usa per servirsene in chiave strategica contro Washington e ridurre lo spazio diplomatico di Taiwan nel subcontinente. Nove dei 17 paesi che intrattengono rapporti diplomatici con Taipei si trovano in America Latina. Pechino intende ricondurre l’ex isola di Formosa sotto la sua sovranità, possibilmente (ma non necessariamente) in maniera pacifica.
L’UE BOCCIA LA FUSIONE TRA SIEMENS-ALSTOM
La struttura antitrust della Commissione Europea ha impedito l’acquisizione alla tedesca Siemens Mobility di acquisire la francese Alstom. A nulla sono valse le opposizioni di Parigi e Berlino, secondo cui la creazione di un gigante delle infrastrutture ferroviarie è essenziale per competere con le compagnie statali cinesi del settore, a cominciare dalla China Railway Rolling Corporation (Crrc). Bruxelles sostiene invece che la fusione avrebbe determinato un aumento dei prezzi per i viaggiatori europei e che al momento la marginale presenza di Crrc nel mercato europeo difficilmente aumenterà nel breve periodo. Stavolta il tema della concorrenza ha avuto la meglio sulla geopolitica.
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