Si decisero troppi aumenti delle tasse e tagli alle spese che portarono al crollo dei consumi e alla perdita del 25% del Pil greco, prolungando una recessione per sette lunghi anni. Mancò la valvola dell’export in un paese privo di manifattura. Un errore che ridusse i salari (la cosiddetta svalutazione interna) e portò all’emigrazione di 500 mila giovani (il 5% dell’intera popolazione) soprattutto di diplomati e laureati in cerca di una occupazione, un’intera generazione perduta, un drenaggio di cervelli in fuga permanente all’estero.
A rilanciare il dibattito in questi giorni è stata la comparazione fatta negli Usa da Dion Rabouin su Axios tra le due principali storie finanziarie dell’anno scorso, due episodi che hanno fatto tremare i mercati emergenti nel 2018 dopo l’aumento dei tassi di interesse della Federal Reserve che aveva deciso l’uscita accelerata dal Qe. Ci riferiamo alla Turchia di Erdogan e all’Argentina di Mauricio Macrì, con entrambe le economie nel vortice di crisi valutarie e recessioni ma con esiti completamente diversi dopo pochi mesi di cura. Perché? Vediamo in dettaglio.
Le politiche di salvataggio dei due paesi per affrontare le crisi si sono svolte con l’Argentina che ha seguito come un allievo modello gli insegnamenti dell’Fmi mentre la Turchia ha litigato pesantemente con Donald Trump, per poi fare una passo indietro, non ha chiesto aiuti al Fondo e ha preferito seguire i desiderata degli investitori a caccia di rendimenti più alti. Dal settembre 2018 il pesos ha perso il 15% del valore rispetto al dollaro mentre la lira turca ha recuperato il 20%. I due paesi sono stati accumunati nel calo delle vendite nel quarto trimestre e nel primo del 2019 anche dal ceo della multinazionale Coca-Cola, James Quincey, preoccupato in generale della frenata delle vendite in Argentina, Turchia e nei mercati emergenti in Medio Oriente e Africa.
Le due storie a confronto
Il 29 agosto l’Argentina chiese al FMI di accedere al pacchetto di salvataggio da 50 miliardi di dollari, una montagna di aiuti poi portati a 57 miliardi di linea di credito a settembre. Lo stesso giorno, la sua banca centrale aumentò i tassi di interesse all’astronomico livello del 60% pi ridotto al 55% ma che in pratica significa nessun accesso al credito per consumatori e imprese Il peso argentino è caduto quel giorno a circa 38 pesos per dollaro e non ha più recuperato mentre su una popolazione di 45 milioni di abitanti 12 milioni vivono con 358 dollari al mese sotto il livello di povertà. Senza contare che i salari aumentano della metà dell’inflazione riducendo del 50% il potere d’acquisto. Il biglietto della metropolitana di Buenos Aires è balzato da 7,5 pesos a 21 pesos, ma i salari sono saliti solo del 28%.
La reazione turca
La Turchia ha aumentato il costo del denaro del 6,25% per portare il tasso ufficiale al 24%. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, carattere fumantino e autoritario, ha mandato casa il team economico precedente e lo ha sostituito con il suo genero, Berat Albayrak nominato ministro delle Finanze, respingendo le richieste di intervento del Fmi. Erdogan si è anche opposto all’aumento dei tassi per molti mesi sostenendo che i tassi bassi avrebbero contrastato l’inflazione, ma poi ha dovuto ovviamente cedere di fronte all’aggravarsi della crisi valutaria.
I risultati alla fine sono arrivati sul Bosforo: la lira si è rafforzata oltre il 20% dal suo livello del 28 agosto. L’import turco è diminuito mentre l’export manifatturiero è ripartito giocando sulla precedente svalutazione della lira. Anche il tasso di inflazione annuale della Turchia è diminuito, superando in ottobre il 25% per poi scendere a dicembre al 20,3%, mentre l’Argentina è salita ufficialmente al 47,6% a dicembre, il più alto negli ultimi 27 anni ed è probabile che sia un dato sottostimato. Per il 2019 l’Economist intelligence unit prevede un 24% , Goldman Sachs (28,7) e JPMorgan (27,3) senza contare che i trend economici mondiali hanno relegato i produttori di materie prime ai margini della catena globale del valore.
Il ruolo della Germania
E’ possibile che la Germania di Angela Merkel abbia avuto un peso rilevante nella stabilizzazione di Ankara che ha incassato il via libera alla seconda tranche di aiuti di 3 miliardi di euro (6 miliardi di euro complessivi) per i migranti da parte della Ue (quota a carico dell’Italia compresa). Non a caso Ankara rimane il bastione occidentale (un tempo anti-sovietico) oggi per contenere fuori dalle frontiere europee di 3,5 milioni di profughi siriani. Un ruolo strategico che l’Argentina non può vantare ma che Ankara ha saputo far fruttare. Inoltre la Turchia ha una popolazione di quasi 80 milioni, una forte manifattura orientata all’export mentre l’Argentina ha 45 milioni di abitanti e la sua economia si basa molto sulla produzione di derrate alimentari dalla carne ai cereali, un gigante dell’agricoltura ma senza un ruolo strategico forte.
In conclusione la lezione di fondo sembra comunque essere che senza le ricette di austerità forzosa, le privatizzazioni, l’aumento delle imposte in un periodo di recessione e gli aiuti dell’Fmi si esca prima e meglio dalla crisi di liquidità.
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