Grecia, il pignoramento della prima casa come fase terminale del sogno europeo
di POLIKOS (Dario Stefano Lioi)
Nella storia economica sono pochi i Paesi che vedono il proprio nome associato a casi di scuola unici nel loro genere, monito sugli errori da non commettere nuovamente. Nel tornante attuale il pensiero va immediatamente alla Grecia, membro dell’eurozona che più di ogni altro ha subìto le conseguenze della crisi partita dagli Stati Uniti nel 2007 ed i cui effetti sul Vecchio Continente sono ancora lontani dall’essere risolti.
Tutti ricordano i piani straordinari di austerità imposti ai governi ellenici dalla Troika, la chiusura dell’accesso al credito e la corsa agli sportelli bancari. L’esplosione della crisi da insolvibilità dei debiti sovrani, scaturita negli anni 2010/2011 a causa di un inefficiente sistema monetario (costruito senza garanzie di prestatori pubblici di ultima istanza), ha condotto alcuni tra i più insigni studiosi di economia a formulare sistematiche analisi diagnostiche del perché di tali scompensi.
Gli studi probabilmente più celebri sono quelli effettuati da Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, che nel volume edito da Einaudi L’Euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, ha focalizzato la propria attenzione sull’inopportunità dei piani europei di politica economica, concentrando l’analisi proprio sul caso greco.
Secondo Stiglitz «il potere di negare il credito diventa il potere di costringere un Paese a cedere di fatto la propria sovranità economica, ed è appunto ciò che la Troika, compresa la BCE, ha fatto con maggiore evidenza alla Grecia e alle sue banche, ma in misura minore anche agli altri Paesi in crisi. Hanno imposto politiche non finalizzate a promuovere la piena occupazione e la crescita, ma a creare eccedenze che in linea di principio avrebbero potuto consentire ai debitori di restituire quanto dovuto. La Troika punta a realizzare una politica che insiste sul rispetto dei parametri di bilancio imposti: se la spesa aumenta o il gettito fiscale risulta inferiore alle attese (per esempio a causa di un rallentamento dell’economia più profondo di quanto stimato), si pretende che le spese vengano ulteriormente tagliate e le imposte aumentate. Questo sarà un forte destabilizzatore automatico. Con l’indebolimento dell’economia, il gettito fiscale sarà minore rispetto al previsto e la Grecia si troverà quindi costretta ad aumentare ulteriormente la pressione fiscale, indebolendo l’economia ancora di più»
Le conseguenze di tali scelte macroeconomiche sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Attualmente il debito pubblico greco è infatti al 178% del prodotto interno lordo e l’Elstat, l’Istituto statistico nazionale greco, ha stimato nel 2017 un totale di 500mila cittadini espatriati (su 11 milioni di abitanti) nell’arco dei cinque anni precedenti. Si tratta in larga parte di persone sotto i 40 anni, con la quota di popolazione «a rischio povertà» pari al 34,8% del totale, contro una media Ue del 22,5%.
Il tasso di disoccupazione è calato rispetto ai picchi del 27,5% del 2013, ma resta elevato (18,6%) in valori assoluti, attestandosi addirittura al 38,5% tra gli under 25. Un quinto della forza lavoro e due quinti dei giovani sono disoccupati. La spesa pubblica è ancora pesantemente limitata ed il governo greco si è posto degli obiettivi fin troppo ambiziosi: un avanzo primario (non considerando cioè il pagamento degli interessi sul debito) del 3,5% del Pil entro il 2022. E la “bomba demografica” in negativo rischia di dare un colpo durissimo alla già fragile compagine greca, costringendo nel prossimo futuro a nuovi tagli del sistema pensionistico ed all’innalzamento dell’età pensionabile. Appare quindi particolarmente grave la scelta del Parlamento ellenico di dare il via libera alla modifica delle leggi Chatzidakis e Katseli, che fino ad oggi hanno protetto la prima casa impedendo il taglio del mutuo, previsto in circostanze eccezionali come la disoccupazione da crisi. Un segnale che evidenzia per l’ennesima volta la scarsa solidarietà comunitaria. Per Atene, dunque, il peggio è ben lontano dall’essere passato.
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