di INSIDEOVER.COM (Andrea Muratore)
Nel 2018 l’allora ministro italiano agli Affari Europei Paolo Savona fece discutere quando parlò della necessità per il Paese di sviluppare politiche economiche tali da mettersi al riparo dal rischio del “cigno nero”, ovvero l’imponderabile, il caos esogeno capace di perturbare un sistema instabile. Nell’era della complessità eventi locali si riverberano su scala globale, e nella recente crisi petrolifera saudita ne abbiamo avuto una plastica dimostrazione: l’assalto compiuto da una manciata di droni dei ribelli yemeniti a due impianti strategici per l’industria petrolifera saudita ha colpito a freddo i mercati energetici globali. Causando una fiammata nel prezzo del greggio Brent e Wti e portando investitori, consumatori e governi a brancolare nel buio sul futuro del settore.
Il cigno nero è in questo caso l’asimmetria tra la ristretta forza messa in campo dagli Houthi e le conseguenze per l’economia planetaria: la rete in cui il mercato petrolifero è inserito (futures, derivati, scorte accumulate dalle grandi potenze) ha impedito una deflagrazione del greggio fino ai temuti 100 dollari al barile, ma la fiammata compresa tra l’11 e il 15% dei prezzi nei listini significativa. Mentre, al contempo, negli uffici di pianificazione strategica cresce il dubbio sul futuro del mercato del petrolio.
Specie considerando la fragilità del contesto geopolitico mediorientale. Arabia Saudita e Iran si scambiano feroci accuse reciproche: il regno wahabita punta il dito contro Teheran, ritenuta reale artefice degli attacchi, l’Iran accusa i Saud di strumentalizzare la vicenda. I venti di guerra soffiano più forti che mai in Medio Oriente, e gli analisti guardano con preoccupazione all’ipotesi della chiusura degli stretti di Hormuz, in cui Emirati Arabi e sauditi fronteggiano gli iraniani, e di Bab el-Mandeb, che separa lo Yemen dal Corno d’Africa. Nell’estate 2018, ricorda Il Fatto Quotidiano, “Bab el-Mandeb, tra Mar Rosso e Golfo di Aden, è stato chiuso all’ export petrolifero saudita (da lì passano 500-700mila barili al giorno) dopo che due navi erano state attaccate proprio dagli Houti. Ma dal canale di Hormuz tra Golfo Persico e Oceano Indiano nel 2018 è transitato ben di più: un quarto dei commerci mondiali, quasi 22 milioni di barili di greggio al giorno”.
Anche in epoca di discorsi sul “green” e ascesa significativa del gas naturale, a sua volta risorsa dall’elevato valore geopolitico e fonte di scontro tra grandi potenze, come principale alternativa all’oro nero il petrolio rimane fondamentale per l’economia mondiale. Quest’anno l’incremento dei consumi di petrolio, stimato dall’International Energy Agency (Iea), dovrebbe portarli su scala planetaria da 99,3 a 100,8 milioni di barili al giorno. A fronte di riserve accertate superiori ai 1.600 miliardi di barili questo vuol dire almeno 50 anni di produzione residua.
La crescita della domanda e della produzione arriva, in larga misura, da regioni lontane dal Medio Oriente. Da qui al prossimo quinquennio Brasile, Usa e Canada traineranno la crescita della produzione esterna all’Opec, mentre un quinto della domanda mondiale sarà assorbita da Cina e India, la cui voracità di greggio sarà appagata principalmente dall’export russo.
Ma il Medio Oriente, per accumulato valore politico e massa critica di riserve, potenziale di export e rischi geopolitici, resterà l’occhio del ciclone. Per questo la rivalità Arabia-Iran rischia di travolgere i mercati energetici planetari. Spingendo nell’angolo chi, come l’Europa, rischia grosso a causa della dipendenza pressoché assoluta dalle importazioni di greggio e della debolezza delle alternative di lungo periodo prospettate. I grandi produttori nordamericani potrebbero addirittura sognare una vera e propria autarchia energetica, mentre c’è da aspettarsi che Cina e India aumenteranno le loro importazioni per costruire ampie riserve strategiche di greggio da utilizzare in caso di crisi delle forniture o emergenza, alla luce dell’esperienza e del panico scaturiti dal caos saudita. Il “cigno nero”, in questo contesto, ha messo in moto dinamiche di lunghissimo periodo e mostrato la vulnerabilità di chi, come l’Europa, non ha la forza e la volontà di compiere scelte politiche di prospettiva per competere nel mercato energetico in maniera solida.
Fonte: https://it.insideover.com/economia/lautunno-caldo-del-petrolio-e-i-rischi-per-leuropa.html
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