Governo italiano e mondo: incominciano a cadere le foglie
di MEGACHIP (Piotr)
1) Cadono le foglie nazionali
Lo scisma renziano ha svelato uno dei motori che fanno e faranno funzionare, o funzionicchiare, il governo Conte bis: le poltrone (“Ops! Gli ‘incarichi’”, direbbe Lucia Annunziata sorniona).
Un governo come si deve, un governo che meriti rispetto, si deve basare su un accettabile programma e su un’accettabile base etica, dove per “etica” non bisogna intendere la “morale” ma ciò che tiene insieme una comunità, dà ad essa valori di base condivisi e un orizzonte comune (si parla di un governo non rivoluzionario, ovviamente, ma anche un governo rivoluzionario deve fare i conti con la tenuta della comunità).
Avete notizia di un qualche programma di questo governo, a parte espressioni così vaghe che potrebbero essere formulate da un qualsiasi adolescente (tipo “più attenzione all’ecologia”, “crescita”, “giustizia sociale”)?
E in quanto ad etica, che spettacolo danno forze politiche che per anni si sono insultate nei modi peggiori, che fino ad un attimo prima dicevano “Mai con quello! Mai con questo!” e un attimo dopo si sono avviluppate sotto le lenzuola?
“Mai coi 5 Stelle!” urlava Renzi. “Alleanza subito coi 5 Stelle!” urlava un nanosecondo dopo in vista della sua scissione e dei vantaggi che poteva trarre da tutto ciò.
“Mai con Renzi”, urlavano i 5Stelle. Ma ora Renzi sta formando rapidamente la terza gamba del Conte bis (già iniziano i travasi da Forza Italia in Italia Viva). E la terza gamba – o quarta se intendiamo Conte come una gamba a sé – siederà a tutti i tavoli, per forza, e i 5Stelle siederanno agli stessi tavoli, per forza. Di Renzi si può dir tutto, ma non che non sia un animale politico (anche se non nel senso più nobile del termine).
Fanno veramente ridere – e arrabbiare – i commentatori che dicono che l’Italia ha recuperato il suo prestigio internazionale e che quindi ora Bruxelles, Parigi e Berlino useranno con noi toni più amichevoli e concilianti.
Intanto fanno arrabbiare perché queste affermazioni sono segnali di una mentalità politica preoccupante: gongolare per l’esistenza di un potere che limita drasticamente la nostra libertà. Noi non possiamo sceglierci nessun governo – esultano – ed è un bene che sia così, perché o il popolo vota come vogliono certi centri di potere, oppure è bue ed è meglio che non si esprima (è stata ad esempio la posizione esplicita di Renzi e della Boschi dopo il voto sulla Brexit). Ovviamente – piccolo corollario – non potremmo sceglierci liberamente un governo neppure se per caso fosse un governo socialista guidato dalla reincarnazione di Gramsci.
Dato che questo potere (o meglio insieme di poteri sovranazionali anche in contrasto tra loro) esiste, felicitarsi per la sua esistenza è tradimento, fellonia, disprezzo per la democrazia, incoscienza.
E questi felloni/incoscienti sono così felici che non si rendono conto che, tra l’altro, non ci verrà nemmeno fatto nessun favore. L’ex cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, già ci ha strigliato richiamando il rigore di Maastricht: “Non rompete i coglioni. Noi non pagheremo mai i vostri debiti”. Così ha detto l’ex premier di una nazione dove è fallita in malo modo una banca dietro l’altra! Che faccia di bronzo!
Gentiloni fa sapere che sta spuntando maggiore flessibilità? Davvero? Intanto una Francia in difficoltà da tempo e una Germania ormai in recessione (e non c’era economista di vaglia, da Stiglitz a Krugman – premi Nobel – che non avesse previsto che la fissazione ossessivo-compulsiva tedesca sull’austerity avrebbe avuto questo esito e trascinato lei Germania e l’Europa nella rovina), questi due paesi, dicevamo, la flessibilità se la concederanno a se stessi, in primis, e forse ai loro vassalli più utili e fedeli, non certo ai paesi ricchi da spennare sempre più velocemente (ricordo che nel 1991 l’Italia era considerata la quarta potenza industriale del mondo, una posizione che dava fastidio e solleticava appetiti lupeschi). Vedrete i trucchi che useranno per sforare i parametri di Maastricht facendo finta di nulla e fare investimenti in deficit. Se rimarrà qualcosa attaccato all’osso, qualcosa che non intacchi la capacità di succhiare risorse dai “partner” come vampiri avventati sulla giugulare della bella di turno, per rilanciare i propri sistemi industriali a scapito del nostro e, soprattutto, non far colare a picco le loro banche piene di titoli tossici, allora ci concederanno qualche “flessibilità” ad uso demagogico.
Questo per quanto riguarda la nostra riacquistata “credibilità internazionale”.
2) Cadono le foglie internazionali
Ma ciò che la grande maggioranza dei nostri baldi e supponenti e ignorantissimi commentatori e analisti non capiscono proprio e non capiranno mai è che per avere una minima idea di cosa succederà in Italia e in Europa bisogna guardare anche, e soprattutto, da altre parti. Ma dato che i loro limiti mentali coincidono coi loro limiti conoscitivi e immaginativi geografici, non riescono a pensare che se questa è una crisi mondiale allora bisogna ricordarsi che il mondo non è limitato a Washington, Berlino, Parigi, Roma – e nemmeno alla Leopolda – ma che, ad esempio, c’è anche lo Yemen.
Ma cosa c’entra lo Yemen con noi? C’entra, e molto.
Intanto c’entra perché noi fornivamo dalla Sardegna ai sauditi le bombe per massacrare i civili yemeniti, fornitura cessata solo col precedente governo giallo-verde ma difesa, anche con menzogne, e rivendicata dalla precedente ministra della Difesa PD, Roberta Pinotti (solo per intenderci: una delle cifre di un governo “fascista” non dovrebbe essere l’amore per le aggressioni militari? Chi è “fascista” allora qui?).
Rallegrandoci per questo atto dovuto di umanità e civiltà, passiamo a un’analisi più specifica.
Avete in mente il massiccio attacco aereo del 14 settembre agli impianti petroliferi sauditi di Abqaiq?
Io ci ho ragionato su a lungo. Da parte degli antimperialisti le tesi si sono subito divise in due: a) sono stati veramente i combattenti Huthi, b) è stato un attacco false flag saudita-americano-israeliano (magari anche britannico) per avere la scusa per attaccare l’Iran. Figurati se gli Huthi avevano quella capacità aerea, di intelligence, di ricognizione e di precisione (sono stati colpiti soprattutto gli impianti di stabilizzazione che essendo al centro del processo lo bloccano sia a valle che a monte). Figurati se i loro droni e i loro missili scrausi potevano viaggiare per centinaia di chilometri su territorio saudita senza essere intercettati e abbattuti dal poderoso sistema di difesa messo su dagli USA.
La tesi di Washington e di Riad è invece che l’attacco non è stato opera degli Huthi ma dell’Iran. Vedremo che questa tesi non è sorretta da uno straccio di prova.
La tesi degli Huthi è che sono stati proprio loro!
Soffermiamoci un po’ sull’ipotesi “false flag” e ragioniamo.
Un attacco così devastante in barba alle batterie di radar e di Patriot americani è uno smacco al sistema industriale-militare statunitense. È talmente uno smacco che Putin non è riuscito a trattenersi dalle risate.
Lo sapete no? Lo avete letto? Un po’ sì un po’ no? Che cosa leggete?
Bene, ecco come è andata. State a sentire perché è clamoroso. Intanto la sede dava già l’orticaria a Washington, perché era la conferenza stampa congiunta tra Putin, Erdoğan e Rohuani dopo il vertice di Ankara del 16 u. s. (che fa parte della serie di vertici che, si faccia già attenzione a questo punto, stanno ridisegnando il Medio Oriente senza che gli USA siano invitati – e si ricordi che quello turco è il secondo esercito della Nato):
Presidente Putin: «In quanto all’assistenza all’Arabia Saudita, è scritto anche nel Corano che la violenza di qualsiasi tipo è illegittima eccetto che per la protezione del proprio popolo. Per proteggere il popolo e il paese siamo pronti a fornire la necessaria assistenza all’Arabia Saudita. Tutto ciò che devono fare i leader dell’Arabia Saudita è prendere una decisione saggia come quella presa dall’Iran quando ha acquistato il [nostro] sistema missilistico [di difesa aerea] S-300 a come quando il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha fatto quando ha comprato il più recente sistema russo di difesa aerea S-400 Triumph. Questi sistemi offrirebbero un’affidabile protezione a ogni infrastruttura saudita.»
Presidente Rouhani: «Così devono comprare gli S-300 o gli S-400?»
Presidente Putin: «Tocca a loro decidere.» [e giù risate]
In secondo luogo è vero come dicono i difensori della tesi del false flag che questo attacco fa alzare il prezzo del petrolio e ciò va a vantaggio dell’industria petrolifera saudita e di quella statunitense (specialmente del petrolio di scisto). Ma aumenta anche gli introiti del Venezuela, della Russia e dell’Iran (il quale in barba alle sanzioni USA esporta di nascosto ma tranquillamente petrolio senza che Washington possa farci nulla).
E infine c’è la figuraccia grama degli USA di non essere riusciti a bloccare un attacco devastante contro un alleato chiave.
Riad e Washington insistono che l’attacco e venuto dall’Iran. Questo cambia poco in termini di figuraccia (che è una figuraccia strategica con gravi conseguenze), e tra l’altro non è stato fornito nemmeno un tracciato radar di prova e gli unici pezzi di missile mostrati sono quelli di un missile da crociera yemenita Quds 1. E inoltre mette gli USA ancora di più in imbarazzo: che diavolo possono fare dopo che hanno detto questo?
Da parte mia ho già discusso perché l’Iran non aveva nessun interesse a provocare così gli USA.
Dopo di che ho cercato di andare più a fondo.
Non ci siamo un po’ tutti immaginati gli Huthi come dei guerriglieri coraggiosi ma poveri e non tanto coordinati e dotati più o meno del Moschetto 91 o al più di un Kalashnikov?
Io un po’ sì, per pigrizia (ma penso che molti altri non abbiano nemmeno compiuto un minimo sforzo di immaginazione, di raffigurazione degli scenari, di vedere una cartina geografica e capire chi controlla che cosa). Ebbene, guardate la foto dell’esibizione a Sana’a degli ultimi gioielli dell’industria militare yemenita (https://www.mintpressnews.com/uae-yemen-troop-withdrawal-houthi-new-drones-missiles/260253/). Altro che Moschetto 91!
Ecco che si spiegano gli attacchi ripetuti con successo sul suolo saudita o gli attacchi agli aeroporti di Dubai e Abu Dhabi. E così si spiega perché gli Emirati Arabi Uniti cerchino di tirarsi fuori da questa guerra mollando i Sauditi a loro stessi (addirittura con scontri armati tra le due parti) e si spiega il perché e il percome tecnico dell’attacco agli impianti petroliferi di Abqaiq.
Ed ecco che improvvisamente si rivela la fragilità interna di Mohammad bin Salman, l'(ex?) astro nascente dei Saud e con essa quella dell’asse Washington-Riad-Tel Aviv.
Netanyahu ha perso le elezioni. L’arbitro del prossimo governo è l’israeliano di origine russa (in realtà un russofono moldavo) Avigdor Lieberman leader del partito dei russi-israeliani (9% dei voti) che israeliani sono ma con solidi legami con la Russia. Lieberman è un falco amorale ma anche un pragmatico, capisce dove tira il vento.
Lo stesso Netanyahu prima delle elezioni ha cercato una sorta di investitura russa volando a Mosca. Putin gli ha fatto fare tre ore di anticamera e poi ha rilasciato un comunicato conciliante dicendo che Bibi era d’accordo a non sferrare più attacchi in Siria e a riconoscere l’integrità territoriale di quel paese. Il ministro degli Esteri, Lavrov, e quello della Difesa, Shoigu, sembra che siano andati giù più duri, ricordando a Bibi gli attacchi israeliani che sono già stati sventati dai russi e promettendogli che stavolta avrebbero tirato giù gli aerei con la stella di Davide se ci ritentavano (si narra anche di un diverbio tra loro e Putin sul tono da usare con Bibi).
Insomma, l’asse anti-sciita è nei guai, molto nei guai. Un attacco diretto all’Iran sarebbe una catastrofe in termini militari ed economici di dimensioni ciclopiche. Lo sanno tutti. Donald Trump si trova impigliato nelle conseguenze delle mosse straordinariamente stupide e azzardate frutto del suo pensiero o alle quali è stato spinto dai neocons con l’ausilio del ricatto del Russiagate. Prima tra tutte il disconoscimento dell’accordo sul nucleare con l’Iran, mossa che ha messo ulteriormente in rotta di collisione gli USA con l’Europa e che ora si trova priva di sbocchi se non un umiliante (per gli USA) ritorno al negoziato, dopo aver mostrato l’inutilità dei muscoli statunitensi.
E tutto il mondo è stato a guardare questo penoso processo. E l’ha registrato.
3) Conclusioni
L’Oriente sta velocemente perdendo la soggezione materiale-militare nei confronti degli USA e dell’Occidente e ciò fa risaltare la sua superiorità culturale storica (che vuol dire anche superiorità di pensiero strategico e diplomatico). Sottolineo questo aspetto, che dovrà essere approfondito, perché siamo davanti a una transizione epocale che coinvolge tutti i piani dell’agire e del pensare umani e che di sicuro sarà studiata con grande interesse dai prossimi storici (se ci saranno).
I termini geopolitici stanno cambiando velocemente. Noi in Europa siamo in mezzo, soffocati dal vecchio legame ereditato dalla II Guerra Mondiale, tramite un cappio che Washington stringe non appena spingiamo il collo e lo sguardo a Est.
Lo ha capito anche Macron e lo ha detto senza mezzi termini in un evento ufficiale. Leggetelo perché è strabiliante quanto sia lucido (sicuramente non lo ha scritto lui da solo). Ecco un assaggio, un fantastico trailer che non traduco perché si capisce:
“Nous sommes sans doute en train de vivre la fin de l’hégémonie occidentale sur le monde. Nous nous étions habitués à un ordre international qui depuis le 18ème siècle reposait sur une hégémonie occidentale, vraisemblablement française au 18ème siècle, par l’inspiration des Lumières ; sans doute britannique au 19ème grâce à la révolution industrielle et raisonnablement américaine au 20ème grâce aux 2 grands conflits et à la domination économique et politique de cette puissance. Les choses changent. Et elles sont profondément bousculées par les erreurs des Occidentaux dans certaines crises, par les choix aussi américains depuis plusieurs années et qui n’ont pas commencé avec cette administration mais qui conduisent à revisiter certaines implications dans des conflits au Proche et Moyen-Orient et ailleurs, et à repenser une stratégie profonde, diplomatique et militaire, et parfois des éléments de solidarité dont nous pensions qu’ils étaient des intangibles pour l’éternité même si nous avions constitué ensemble dans des moments géopolitiques qui pourtant aujourd’hui ont changé. Et puis c’est aussi l’émergence de nouvelles puissances dont nous avons sans doute longtemps sous-estimé l’impact.”
(il testo completo è qui: https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2019/08/27/discours-du-president-de-la-republique-a-la-conference-des-ambassadeurs-1).
Lei ha ragione, Monsieur le Président.
La Russia, la Cina e l’Iran sono il perno di un nuovo ordine multipolare in fieri (i cui effetti si fanno sentire fino in Venezuela, debole paese attaccato dalla nazione più potente del mondo e dai suoi ricchissimi vassalli europei, circondato da stati ostili come il Brasile e la Colombia, ma efficacemente difeso “a distanza” dalla nuova Trimurti eurasiatica – quasi un miracolo, una sorta di “difesa telepatica” o “teleportata”).
La Cina ha appena firmato accordi economici con l’Iran per 400 miliardi di dollari. Sta investendo nella ricostruzione della Siria. E siccome i dirigenti cinesi non giocano d’azzardo, questo la dice lunga.
La Turchia sarà pure il perno della Nato in Asia ma non vuole perdere il giro. Lo fa con mille ambiguità e scontando le mille difficoltà che si è tirata addosso con la sua fallita scommessa neo-ottomana sui jihadisti tagliagole in Siria al seguito dell’attacco che era stato deciso a Washington già nel 2001, come ha rivelato il generale Wesley Clark, ex comandante della Nato in Europa.
Così tra ambiguità e difficoltà sta facendo la fronda alla Nato e a Washington mentre si dedica a trilaterali con la Russia e l’Iran.
Quanto ci metterà a fare la stessa cosa l’Arabia Saudita? Quanto ci metterà Israele?
O certo, il cambio di campo non sarà assolutamente il trionfo della Giustizia. I governi di questi paesi, criminali sono e probabilmente con propensioni criminali rimarranno. Ma la III Guerra Mondiale che per tanto tempo hanno sognato i neocons statunitensi e il Deep State, si allontana.
Inoltre anche questi governanti sono destinati a cambiare, perché le cose non rimarranno ferme (faccio notare che nonostante Cina e Russia siano avvinghiate in una doppia elica commerciale e militare non hanno mai firmato nessuna alleanza e lo stesso succede tra Russia e Iran e tra Cina e Iran; un po’ perché nessuno vuole essere vincolato in un periodo di transizione dove gli interessi comuni possono velocemente diventare divergenti, un po’ perché in un mondo multipolare le alleanze farebbero comunque più casino che bene).
E nemmeno le società rimarranno ferme e così non i quadri politici.
Ed eccoci ritornati in Italia.
La fine dell’alleanza Lega-5Stelle voleva dire anche il divorzio tra un Salvini filo americano e un Di Maio filo cinese, come è stato detto? Forse è esagerato. Anzi, probabilmente è esagerato. Che Salvini sia filo Trump lo sanno tutti, ma che Di Maio possa essere filo-cinese (nel senso che gli sia consentito di esserlo) è opinabile. Eppure … eppure una divergenza anche nelle relazioni internazionali c’era. Si ricordi quella sul riconoscimento del golpista venezuelano – in realtà diretta emanazione della CIA – Guaidó. E si ricordi che Salvini non era presente alla firma degli accordi coi cinesi sulla Via della Seta.
Ammettiamo allora che sia almeno parzialmente così, cioè che con tutte le cautele del caso i 5Stelle siano mossi da un particolare fiuto internazionale. Cosa succederà ora in un’alleanza con un partito, il PD, che è referente culturale e politico del Deep State americano, che scodinzola davanti a Hillary Clinton, la quale dei liberal neocons è la capa in testa? Il nuovo esperimento di governo italiano, così stravagante in termini politici (concentriamoci su di essi) ma benedetto da Bruxelles, Parigi e Berlino, è il segnale che l’Europa sta riconsiderando le sue relazioni internazionali approfittando della debolezza statunitense?
Chi rimarrà a difesa dell’egemonia statunitense (perché di sicuro qualcuno rimarrà)? E di questi chi seguirà la strategia anni ruggenti di Trump e chi quella post-moderna dei neocons?
Attenzione che questi slittamenti vorrebbero dire che assieme alle vecchie fedeltà sparirebbero anche le nostre vecchie coordinate di interpretazione e azione politica: che faremo, se del caso, di fronte a una Germania che tira il carro europeo verso Est? Perché non è mica detto che per farlo sia costretta ad allentare il nodo scorsoio ordo-liberista.
Una rielezione di Trump potrebbe portare al quadro più limpido di un fronte sovranista ormai appiattito a destra e filo americano (non necessariamente a trazione leghista), con dalla sua parte istanze sociali legittime, contrapposto a un fronte “progressista” sempre più indipendente da Washington ma non di meno massacratore sociale. Un incubo.
Io non lo so, cosa succederà. Ma non lo sa nemmeno Di Maio, non lo sa Zingaretti e non lo sanno nemmeno Renzi e Salvini. Neppure la Merkel o Macron e nemmeno la controfigura inglese di Trump, Boris Johnson, che pure hanno molte più informazioni di me.
Ma come possono saperlo se un inaspettato show di potenza militare di montanari, contadini e pescatori yemeniti mette all’angolo le strategie e le economie delle più forti potenze del pianeta?
Tutti stanno a guardare, sono costretti a farlo. Qualcuno guarda il proprio ombelico, altri, più scaltri, guardano il cielo.
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