Un estratto dal libro “Airbnb città merce” di Sarah Gainsforth smonta la retorica della “fiducia” alla base del colosso della shared economy che sta reificando le città e i rapporti umani.
Qualche tempo fa scrivevamo che Airbnb è un tassello fondamentale per i processi di gentrification, cioè per quei cambiamenti imposti dall’alto, ammantati di finto progresso e volti in realtà a mercificare al massimo i luoghi e le relazioni, sopendo il conflitto e sostituendo all’interazione sociale la ragione puramente consumistica.
Di seguito – per gentile concessione dell’autrice e casa editrice, che ringraziamo – pubblichiamo un estratto dal libro Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale (da poco in libreria per i tipi di DeriveApprodi) di Sarah Gainsforth, in cui si smonta la retorica della “fiducia” alla base di Airbnb, il colosso della shared economy che sta reificando le città e i rapporti umani.
Il sistema di pagamento, uno strumento per creare fiducia
Nel 2008, agli albori di Airbnb, i pagamenti erano gestiti offline direttamente tra utenti e non sempre le cose filavano lisce. Quando all’inizio del 2008 Chesky andò ad Austin per partecipare alla conferenza South by Southwest, soggiornò in un Airbnb, ma arrivò senza contanti.
Assicurò al suo host che si sarebbe fermato a un bancomat quel giorno dopo l’evento, ma se ne dimenticò è tornò a casa a mani vuote. La mattina seguente il padrone di casa gli chiese i soldi e Chesky dovette promettere ancora una volta di prelevare i contanti durante la giornata. Quella sera, però, gli era di nuovo sfuggito di mente. La situazione era diventata piuttosto imbarazzante.
Finalmente Chesky pagò il suo host ma l’episodio gli suggerì la necessità di trovare un sistema sicuro e impersonale per assicurare i pagamenti, per eliminare non solo eventuali errori umani ma anche «l’inconveniente e l’imbarazzo di uno scambio personale di denaro contante»[1].
Per gestire i pagamenti, il terzo e meno noto ma ugualmente importante fondatore di Airbnb, l’ingegnere Nathan Blecharczyk, si rivolse inizialmente a PayPal: gli ospiti pagavano online e gli host ricevevano un assegno a casa. Ma Airbnb cresceva e si presentavano sempre nuovi problemi: se Airbnb voleva fare il salto e diventare una compagnia globale, doveva trovare un sistema per processare i pagamenti.
Nel 2009 Blecharczyk si rivolse ad Amazon e al suo allora nuovo servizio di pagamenti, comodo ed economico. Ancora oggi i servizi di cloud storage, hosting e database di Airbnb sono tutti forniti da AWS, Amazon Web Service, il ramo di Amazon che vende servizi di cloud computing: EC2 (Amazon Elastic Compute Cloud) per le applicazioni e i server di ricerca; Amazon S3 (Amazon Simple Storage Service) per ospitare backup e file statici, compresi 10 terabyte di immagini utente.
Tutto il database di Airbnb fu spostato su Amazon RDS in soli 15 minuti[2]. Da infrastruttura interna backend di Amazon, Amazon Web Service, creata nel 2002, rappresenta oggi il vero business di Amazon, con 861 milioni di dollari di ricavi l’anno – rispetto ai 255 guadagnati con le vendite negli Usa – e detiene un terzo del mercato globale dell’infrastruttura cloud.
Tra i clienti di AWS c’è Netflix, che produce il 35% del traffico online negli Stati Uniti e, fino a poco fa, c’era anche Dropbox. Il fatto di non dover dedicare tempo, risorse ed energie a mantenere le funzioni dei server ha permesso ad Airbnb, come ad altri clienti di Amazon, di dedicarsi quasi esclusivamente al proprio core business.
I sistemi di rating on-line, spesso definiti come una delle principali innovazioni della sharing economy, rappresentavano un’altra novità. Nel giugno 2014 il «New York Times»[3] descriveva «come Airbnb e Lyft hanno finalmente permesso che gli americani si fidino l’uno dell’altro». Poco dopo ancora il «NYT» elogiava «la vera innovazione di Airbnb – una piattaforma di fiducia – dove tutti possono non solo vedere l’identità di tutti gli altri, ma anche valutare gli host e gli ospiti come buoni, cattivi o indifferenti. Infatti coloro che utilizzano il sistema sviluppano rapidamente una “reputazione” visibile a tutti gli utenti»[4].
Intorno al 2010 nascevano compagnie fondate sul modello economico inaugurato da Uber e Airbnb, ovvero sullo scambio – si disse – di beni e servizi peer-to-peer (tra pari) mediato dalle piattaforme digitali[5]. Economia on-demand, economia collaborativa, economia circolare, gig-economy erano alcune delle proposte per definire questa nuova economia basata su un modello che privilegia l’accesso alla proprietà di beni e servizi.
Nel contesto dell’espansione negli ultimi 10 anni del modello della piattaforma, con la forte interdipendenza tra lato dell’offerta e lato della domanda, la retorica della micro-imprenditorialità, del potere democratico e redistributivo della Rete ridefinisce gli utenti come «liberi imprenditori di sé stessi». Sulla base di questa retorica, Airbnb ha costruito la propria immagine come una comunità inclusiva fondata, appunto, sulla fiducia.
Due anni prima della nascita di Airbnb, Joe Gebbia aveva avuto modo di riflettere sul problema della fiducia[6]. Gebbia aveva conosciuto un tizio di passaggio in città e, bevendo una birra insieme, aveva scoperto che il tizio non aveva un alloggio per la notte.
«Ho pensato, cavolo¼ che faccio? Ci siamo passati tutti, no? Mi offro di ospitarlo? L’ho appena incontrato¼ E così, gli ho detto: “Ascolta, ho un materasso gonfiabile in salotto, ti puoi fermare lì”, ma una voce in testa diceva “Aspetta, cosa?”».
Gebbia ospitò il tizio ma chiuse a chiave la porta della camera. Eventualmente i due sarebbero diventati amici, e il racconto dell’episodio termina con la candida considerazione che «forse le persone che la mia educazione mi ha insegnato a considerare come sconosciuti sono soltanto amici in attesa di essere scoperti».
Il racconto di Gebbia si basa sul presupposto che fidarsi di uno sconosciuto sia un fatto raro ed eccezionale, per presentare Airbnb come uno strumento di creazione di fiducia.
In verità la fiducia tra esseri umani è fortemente condizionata dai livelli di ineguaglianza dei redditi: nelle nazioni e negli stati degli Usa dove i differenziali di reddito sono maggiori il grado di fiducia tra la popolazione tende a essere più basso; al contrario alti livelli di fiducia sono associati a bassi livelli di diseguaglianza.
Il Portogallo è il paese con il grado di fiducia più basso: soltanto il 10% dei portoghesi si fida del prossimo[7]. L’anonimato, inoltre, è un tratto specifico della condizione urbana: il fatto che gli sconosciuti non siano «amici» è un fatto assolutamente normale e tra l’altro anche abbastanza apprezzato. È su questo anonimato che, non diversamente dai mercati tradizionali, si fondano i mercati della sharing economy – per non parlare di quello delle tecnologie della sorveglianza.
L’anonimato, e quindi la creazione di sistemi reputazionali online, è alla base del successo delle piattaforme digitali che forniscono soluzioni ai problemi pratici della vita urbana – trovare un passaggio, un alloggio, un ristorante – non ai problemi di fiducia tra umani. I sistemi di rating degli utenti creano la fiducia necessaria perché sia possibile la transazione economica, l’amicizia c’entra ben poco.
Di più, la fiducia è accordata in primo luogo alla piattaforma, non ai suoi utenti: l’affidabilità percepita dei potenziali affittuari elencati su Airbnb si basa sulla reputazione di Airbnb, non sulla fiducia in uno sconosciuto, per quanto i sistemi di rating tra peers possano funzionare (ma non sempre) come meccanismi di controllo.
Inoltre, attraverso gli algoritmi reputazionali Airbnb gestisce la fiducia e controlla l’attività degli utenti sulla piattaforma, la visibilità e il ranking degli annunci, suggerisce i prezzi da applicare (anche talvolta segnalando agli host che nei dintorni ci sono annunci più economici), mettendo in competizione gli host tra loro e portando a un ribasso dei prezzi che influisce anche sui prezzi delle strutture ricettive tradizionali.
Airbnb lavora costantemente per migliorare le funzioni di ricerca cercando di accoppiare i gusti degli host con quelli degli ospiti. Secondo Laura non tutti gli host ricevono la stessa varietà di richieste: «Io mi sono trovata male con alcuni ospiti asiatici, e non ricevo più richieste di alloggio da parte di turisti asiatici. Ma alcuni miei amici ricevono solo richieste di turisti dall’Asia».
La vera novità di Airbnb non era la pratica della condivisione o la creazione di fiducia fra utenti, ma l’estrazione di valore da forme di cooperazione precedenti, e il definire un’attività economica, l’affitto di un’abitazione, come “condivisione”. Alla base della fiducia su Airbnb c’è una transazione economica, nulla di più.
La fiducia è la condizione stessa per accedere ad Airbnb, non il risultato delle nuove tecnologie. Di più, lungi dal creare una comunità di utenti-amici, i sistemi di rating permettono proprio il contrario: la possibilità di mantenere una certa distanza, affinché i partecipanti allo «scambio» non si sentano in dovere di continuare a interagire dopo la transazione.
Grazie alla mediazione della piattaforma la qualità urbana che molti apprezzano – l’anonimato, l’indipendenza e una chiara divisione tra la sfera pubblica e quella privata – può essere mantenuta. Gli utenti possono decidere dove tracciare il confine tra le due, un confine a cui la maggior parte degli host, che realmente affitta una parte della propria casa, tiene moltissimo.
Inoltre la mediazione della piattaforma consente di evitare proprio quelle situazioni personali non normate, casuali e impreviste che gli americani definiscono come awkward, scomode. Quella in cui si trovò Gebbia ospitando il tizio di passaggio conosciuto casualmente, quella in cui Chesky si trovò dimenticando per tre volte di prelevare contanti per pagare il suo host a Austin.
In questo senso Airbnb fornisce una struttura standard, fondata su un rapporto economico, per relazioni tra sconosciuti. Ma l’imprevedibilità degli incontri tra sconosciuti è, o dovrebbe essere, una qualità e una prerogativa della vita urbana stessa.
Secondo i sostenitori delle piattaforme digitali come Airbnb, i sistemi di rating online giustificherebbero una totale deregolamentazione del settore in nome dell’innovazione. «Il motivo principale per regolamentare gli alloggi brevi turistici è la protezione dei consumatori, e i sistemi di reputazione potrebbero svolgere questo compito molto meglio dei governi delle città»[8] ha dichiarato Chesky, svelando la vera natura dello scambio che la piattaforma intermedia.
Airbnb resta infatti prima di tutto un medium per svolgere una transazione economica tra consumatori. La tecnologia, la Rete e le piattaforme, hanno facilitato la creazione di nuovi modelli economici basati sulla cattura e l’estrazione di valore dalle attività (e dalla cooperazione) degli utenti e dalle loro interazioni sulle piattaforme, sotto forma di dati.
Le nuove possibilità di interazione offerte dalle piattaforme hanno ampliato il mercato di prodotti da assoggettare a transazioni economiche: è il campo delle merci a essere modificato, non la fiducia alla base delle transazioni. Sono diventate merci la casa, l’automobile, i beni, le attività e le stesse esperienze umane.
Note del testo
[1] A. Zhu, K. Kim, Scaling Airbnb’s Payment Platform, «Medium», 12 settembre 2016
[3] David Brooks, The Evolution of Trust, «The New York Times», 30 giugno 2014, in Tom Slee, The rise and fall of the Sharing Economy, op. cit.
[4] Thomas L. Friedman, And Now for a Bit of Good News…, «The New York Times», 19 luglio 2014
[5] Tom Slee, The rise and fall of the Sharing Economy, op.cit.
[6] L’episodio è raccontato da Gebbia nel citato TED talk How we design for trust
[7] R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell’anima, Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici, Feltrinelli, Milano 2012, p. 59
[8] Brian Chesky, Interviewed by Sara Lacy, Reported in Skift’, «Skift», 11 luglio 2013, in T. Slee, The rise and fall of the Sharing Economy, op. cit.
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