Perché Joker è l’eroe che ci meritiamo. L’analisi di Fontana
di FORMICHE (Andrea Fontana)
Non ha muscoli e non è forte. Non possiede mantelli o superpoteri. È magro, emaciato, esile. Vittima e carnefice allo stesso tempo, ma forse neanche questo. Non ha tutine rosse, nere o blu. Solo uno sguardo multiplo sulla realtà. Allucinato e allucinante. Che lo rende capace di assumere più punti di vista contemporaneamente. Per questo è il Joker. E per questo è la metafora perfetta dei nostri tempi: l’eroe della post-verità. Allerta spoiler.
Pensavamo che Thomas Wayne fosse un ricco filantropo e benefattore, vittima di un tragico omicidio. E invece apprendiamo che era un avido e perverso macchinatore, interessato solo al potere. Ci eravamo illusi di conoscere le origini di Bruce Wayne, orfano di genitori e invece scopriamo che forse era già orfano prima che i suoi genitori morissero e aveva pure un possibile fratellastro maggiore. Pensavamo che il Joker fosse una grande-cattivo – distante e inarrivabile nella sua genialità maligna – e invece apprendiamo che è una sinistra parte di noi: vicina e sempre pronta a scatenarsi.
Il film Joker di Todd Philipps, caso cinematografico del momento, rimette in discussione tutto, giocando con le grandi paure dell’immaginario collettivo odierno. E ci mostra come questo villain sia in realtà la condizione del nostro tempo, che deve misurarsi con la post-verità.
VITTIMA DELLA SOCIETÀ O RE DEGLI SPECCHI?
Ho visto il Joker. Nel senso che l’ho proprio incontrato nel film.
In un certo senso il film è il Joker; un grande esercizio – magistralmente riuscito – di costruzioni di verità e di manipolazione dei punti di vista. Sembra una storia di sventura che invece è una storia di vendetta che invece è una storia di trasformazione che invece è…. Una sala degli specchi. Ombre e riflessi ovunque che si rimandano nelle diverse interpretazioni. Fino a rimanere senza nessuna spiegazione. Qui ti vuole portate il Joker, perché d’altronde lui è così. Un fottuto enigma senza decifrazione.
State attenti perché, nel vedere questa pellicola di Todd Philipps, potreste iniziare a pensare che Joker sia un racconto cinematografico sulla disperata condizione di un individuo malato, tradito dalla società. Una denuncia di cosa significa oggi essere ultimi. Eh, già… questo è stato scritto da molti recentemente. Ed è la prima impressione che dà il lungometraggio. Ma non fatevi ingannare! Ricordate che state di fronte al Joker in persona e lui si burla sempre di voi.
Ben presto, vi accorgerete che l’eccellente interpretazione di Joaquin Phoenix vi sta portando nella tana del Bianconiglio, nella sala degli specchi dove inizierete a perdervi.
Gli specchi sono la chiave. Presenti dappertutto, anche visivamente, nel film. E quando non ci sono specchi trovate schermi neri: TV o telecamere. Fateci caso.
Specchi, schermi, “black mirror”… vi impediscono di capire esattamente cosa sta succedendo a chi. Solo lui, il Joker, sa cosa sta capitando. D’altronde, è proprio Arthur Fleck alias Joker che racconta il film: sia come personaggio, sia come voce narrante, sia come meta-autore.
A LEZIONE DI POST-VERITÀ
Capito che lo specchio è “una” chiave, la poltrona del cinema inizierà a stringervi nel grande abbraccio del Joker, basta logica binaria: buono-cattivo o pensiero consequenziale: chi-cosa-quando-perché. Lasciamo le fiabe ai bambini.
Così, mentre sentite la poltrona stringervi e il “pagliaccio di Gotham” ridere, lui inizierà a ballare con voi nelle diverse interpretazioni della pellicola. Vedrete, la prima e più facile, sarà quella social-progressista: Joker vi farà credere, che la sua malvagità esiste, perché vittima della società crudele. Ma non cascateci! Non tiene, troppo banale. Non è da “principe del male”.
Allora, proverà a sedurvi con la lettura criticista del comportamento individuale: il cattivo è Thomas Wayne vi dirà, che conquista e abbandona la madre di Arthur Fleck lasciando compagna e figlio nella miseria; esempio perverso di una élite senza scrupoli. Mhm… no, anche questa capirete essere una burla del Joker.
Quindi, vi suggestionerà con l’interpretazione psicoanalitica: la cattiva è la madre, certo! che – a sua volta malata – abusava del figlio Arthur inventandosi storie assurde su Thomas Wayne, innocente. E invece no, nemmeno questo, perché ad un certo punto spunterà una foto che potrebbe provare l’effettiva paternità colpevole di Thomas. E il Joker vi svierà di nuovo!
Allora, senza più indizi, mentre le sue risate salgono, vi farà rifugiare nel “soggettivismo anarchico”. Adesso sì che avete capito: siete nella mente allucinata di Arthur… è il Joker che si sta inventando tutto e vi sta raccontando una storia assurda e piena di contraddizioni. Ma anche qui, annasperete perché il gioco è più complesso di così.
Fino alla fine, specchi dappertutto. Precipitati verso la barzelletta conclusiva che non può essere raccontata dal Joker alla società, perché – come lui vi spiegherà – non sarebbe capita. E noi spettatori non possiamo capire. Appesi a quella domanda: come potrà mai Joker rivelare a Batman che forse sono quasi-fratelli?!
Lascio a voi continuare la riflessione nella sala degli specchi. Non si scherza con il Joker ed è per questo che il film è un grande racconto sull’assunzione di più punti di vista (diversi) sulla vita, tutti validi nel momento in cui se ne assume uno. Una grande lezione su cosa è la post-verità, come si creano verità ammissibili e come si gestiscono.
In questo senso, Joker non è un omaggio a Taxi Driver, piuttosto un encomio a Memento e Inception.
L’IRA FUORIOSA CHE BALLA
Certo il Joker uccide, perché – tra le tante cose – è anche un folle e collerico assassino. Ma chi viene annientato nella pellicola? La violenza del film è gratuita o è una sapiente e misurata allegoria?
Se osservate bene chi viene “eliminato” è sempre un “portatore di verità”; un assertore forte di un punto di vista che poi dà origine a un intero destino. La madre, Thomas Wayne, i colleghi di lavoro, l’assistente sociale e infine… lo spettatore.
Perché forse è questo il monito del film: non puoi credere a nessuno. Siamo tutti mostri che mentono, la verità (della conoscenza, dell’informazione, della vita, etc) si costruisce con la menzogna. Ed è proprio qui che lo spettacolo ci mostra Joker come “eroe della post-verità”. Un eroe tragico, ovviamente, che deve metaforicamente distruggere le mille opinioni credibili che soffocano Gotham. E lo fa furiosamente.
È l’ira, l’indignazione, il rancore, la furia di Joker che infatti lo guidano nelle diverse uccisioni. Quando Arthur si accorge che non è una semplice vittima della società, ma un co-protagonista nella costruzione di “comportamenti insalubri”, “giudizi sbagliati” “verità inconfessabili”, “autenticità allucinate” necessarie ai “black mirror” delle nostre vite, l’impeto si scatena. E quindi uccide i diversi “punti di vista”. Muori mamma, muori mentore, muori collega, muori presunto padre…
Le angolazioni della verità “muoiono”, uccise da lui stesso, fino a rimane da solo. Di fronte a un (altro) specchio dove inizia a ballare, con le braccia allargate.
Joker è un viaggio di iniziazione per chi come noi vive e lavora nel post-vero.
Una superba allegoria che ci rammenta il titolo di un vecchio testo di psicoterapia: “Se incontri il Buddha per strada, uccidilo”.
Sembra che il Joker ci urli in faccia questo, con la sua risata isterica:
“Non fermarti alla prima opinione o presunta verità. Non cadere nella trappola dell’unico punto di vista. Liberati dai filtri che fanno male. Uccidi i preconcetti. Sospendi il giudizio su di te e sugli altri. E ridi, balla, vai incontro al mondo anche se è insensibile. Sei tu che devi diventare sensibile – non il mondo. Altrimenti sarai condannato a un dolore atroce, preda della tua più assoluta psicosi. E rimarrai solo nel manicomio-prigione di Arkham. Con i tuoi specchi neri. E con me; aspettando nostro fratello Batman”.
Fonte: https://formiche.net/2019/10/joker-wayn-todd-philips/
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