La coppia che visse tre volte (con due euro al giorno)
di ALBERTO BAGNAI
Ci siamo dovuti occupare spesso, su questo blog, dell’esiguo spessore deontologico ed etico del giornalismo italiano. Certo, la missione del giornalista non è facile da valutare perché in primo luogo non è facile da definire. Basta osservare che la frase abitualmente impiegata per descriverla (“fornire i fatti separati dalle opinioni”) ha un contenuto normativo pari a zero (cioè, in soldoni, non significa un bel niente). Questo perché presuppone una oggettività, una esogenità, del “fatto”, oggettività che nella sfera storica e politica non può esistere (ai sempliciotti che volessero improvvisarsi epistemologi, esibendosi in affrettate gerarchizzazioni fra scienze, mi limito a rivelare che da qualche tempo, anche in fisica, si è giunti alla conclusione che…).
I fatti sono come e in quanto li vediamo e li raccontiamo, e fino a qui non ci sarebbe nulla di male purché gli interessi di chi li racconta, sia esso un Lascienziato o un gazzettiere, fossero esposti in modo trasparente, e i cittadini venissero educati a tenerne conto in modo critico.
Ma, come sappiamo, e come la vicenda dell’euro ha reso evidente a molti di noi (a me per primo), non è così. A una stampa che racconti, sia pure in modo inevitabilmente condizionato da (legittimi) interessi, la realtà, non crede più nessuno. Quella che i giornali fanno ormai non è più nemmeno cronaca: è sempre e comunque favoletta morale, scritta per lo più in modo sciatto, e su un canovaccio tanto obbligato, quanto povero di contenuti. Così, i giornali agonizzano, a mano a mano che si palesa la loro vera missione: riscrivere la storia, e imporre ai cittadini indirizzi politici maturati al di fuori di una normale dialettica democratica.
Una conferma più esilarante ce la dà questo articolo di un nostro vecchio amico, quel bufalaro del Corriere della Sera (sì, quello della disoccupazione “come nel 1977“, o dei tassi che “schizzarono” dopo la svalutazione del 1992). Si tratta dell’edificante storia di una coppia che riesce a vivere con due euro al giorno, per cui «poco importa se lo stipendio arriva a mesi alterni, per vivere bene, aiutando anche l’ambiente, basta sapersi arrangiare» (dall’occhiello dell’articolo, che, come sappiamo, è la parte più importante – perché, un po’ come l’abstract dei peiper pirreviùd, è l’unica cosa che verrà letta).
Non si può che concordare con la sconsolata esegesi del Pedante: “Stanno distruggendo tutto“.
Al di là delle scelte soggettive di questa coppia dal viso pulito e dal sorriso accogliente, che percepiamo molto unita, e cui auguriamo ogni bene, è evidente l’intenzione oggettiva di questo quotidiano del capitale: proporre la deflazione dei salari, e perfino la loro intermittenza, come un modello positivo, virtuoso, cui “chi ce la fa” riesce ad adattarsi, con benefici per la salute e per l’ambiente. Un’operazione quindi chiaramente, apertamente ideologica, condotta da adamantini capitalisti che disinteressatamente esortano i lavoratori a farsi pagare di meno, perché i propri profitti crescano. Ora, io, che sono nato fra i privilegiati (e comunque ne conosco molti che mi sostengono), potrei anche farmici una bella risata sopra: “Ma certo, povery, vivete pure, voi, con due euro al mese, così camperete a lungo (tanto la pensione in un modo o nell’altro riusciremo a non pagarvela), e poi non ci inquinerete l’ambiente, a noi ricchi, che siamo pochi ma buoni”. C’è solo un problemino: se con 1,30 euro ottieni un sapone da barba che dura 18 mesi, diciamo che chi ti vendeva la schiuma da barba può tranquillamente chiudere, no? Risparmio altri esempi (li trovate nell’articolo), e mi limito a formulare, sotto forma di slogan, un normale corollario della logica economica: “Chi si deflaziona, deflaziona anche te: digli di smettere”! Ora, per quanto interesse io possa avere verso la limpidezza dell’aria e dell’acqua, e per quanto un miope interesse di classe possa spingermi a incoraggiare i povery sulla strada della morigeratezza, purtroppo io so che alla fine di questa catena di deflazioni si trovano appunto molti amici che mi sostengono, e un po’ più a valle ci sono io: quindi, come dire, certi precetti mi vedono un po’ scettico (non per altro, ma perché so che alla fine ci scapiterei…).
(…apro e chiudo una parentesi: Roberto, il marito, con il suo sguardo sognante è un ottimo testimonial della deflazione (quanta serenità, quanta profondità…), ma (se posso) con la sua barba non perfettamente rasata (che gli dona, peraltro), non è esattamente un buon testimonial del sapone da 1,30 euro…)
So che non avete orecchio musicale (e infatti votaste per il re cancelletto), ma forse, se vi ci sbatto delicatamente il musetto, come si fa coi cuccioli, noterete questa avvincente e rivelatrice contraddizione nel racconto del capitale: da un lato ci esalta la globalizzazione, prescrivendoci di aprirci ad essa in ogni possibile modo (dal mangiare fragole spagnole in dicembre all’importare indiscriminatamente forza lavoro quando U6 è sopra il 30%), dall’altro, però, visto che se la fragola la compri in Spagna l’italiano non guadagna (fa rima), e che se lavora gratis l’immigrato, l’italiano è fuori mercato (rifà rima), il capitale, per tenerci buoni, deve anche proporci come modello virtuoso l’economia curtense di sussistenza: quella dalla quale è bandito il superfluo (la fragola a dicembre) perché non vogliono darci il necessario (lo stipendio ogni mese), quella in cui la fitta rete di scambi welfare enhancing, che sfruttano vantaggi comparati di ricardiana memoria, improvvisamente, come per magia, come in qualche paradossale teorema matematico, collassa in un insieme di misura di Lebesgue nulla, converge all’origine degli assi, al punto del “chilometro zero”!
Bello, no?
Suppongo che non l’aveste notato: ma qualcosa dovrò pur fare per giustificare la mia esistenza:
quel che l’uom vede, il merdia fa invisibile,
e l’invisibil fa vedere goofy.
Ma torniamo ai nostri amici. Non c’è voluto molto a capire che in realtà il Corriere aveva commesso qualche lieve imprecisione (natura non facit saltus): @Corvonero75, su Twitter, ci riferiva che l’autore dell’articolo aveva peccato non in parole, non in opere (o per lo meno non lo sappiamo), ma certamente in omissioni. Mancava un dettagliuccio: la coppia di nostri amici, nonostante la propria radicale scelta di vita, non campa con uno stipendio a mesi alterni, e, soprattutto, non era del tutto esatto presentare la loro storia come un racconto fatto al Corriere. Era infatti stato già fatto, qualche mese prima, dalla stampa locale, che aveva riportato qualche altro dettaglio. Dietro tanta serenità c’era non solo questa regressione allo stato di Natura, ma anche un paio di istituzioni: lo Stato (erogatore di una pensione di invalidità), e la Famiglia (a copertura di una parte del mutuo). Messa così la storia già suona in modo diverso. Siamo partiti dal racconto di due persone che vivevano con sessanta euro al mese, per arrivare al racconto di due persone che di euro ne hanno a disposizione un po’ di più…
Come si dice: il gazzettiere sta nei dettagli.
Ma non è finita qui. Mi scrive uno de passaggio (che ci ha scritto spesso, per lo più parlandoci degli esotici paesi che frequenta per vendere la sua paccottiglia italiana):
Scusa Alberto,
Io non sarei così drastico! Alla fine, questo modo di fare informazione è sempre un boomerang: decisamente, questa notizia la preferisco così, senza rettifica! Cosa è riuscito, infatti, a farci capire il Corriere? Che vivendo “con due euro al giorno” si invecchia prima. Se dobbiamo credere ai giornali, infatti, il nostro amico Roberto in due anni è invecchiato di nove anni. Non credo ci sia migliore dimostrazione del fatto che sia meglio cercare di vivere con qualche decina di euro al giorno, anche se questo non fa piacere a chi deve darceli in cambio del nostro lavoro: cioè ai padroni dei giornali che riportano simili notizie fresche!
Eh, insomma, come ci siamo detti più volte (quasi sempre con autentico rispetto): il mestiere del giornalista è difficile, anche perché, come ci siamo detti oggi, è piuttosto difficile (almeno, da Heisenberg in poi) definire cosa sia o cosa debba essere. Certo però che se per renderlo facile l’unica cosa che vi viene in mente è quello che una volta si sarebbe chiamato plagio, dovrete rassegnarvi a cadere sempre più in basso nella stima dei lettori. E se, peggio ancora, il plagiato non se ne avvede, e si mostra sostanzialmente acquiescente rispetto a un’operazione di questo tipo, rischia di animare le ipotesi complottistiche di chi vede il sistema dei media come una macchina asservita a un’unica Centrale Del Male, che le fornisce i messaggi da insufflare nei cittadini. Non credo sia esattamente così: certo, le veline girano (e questo mi sembra il tipico caso), ma nella maggior parte dei casi tutto si spiega con un po’ di conformismo, un po’ di faciloneria, la certezza di essere una casta omertosa e sostanzialmente impunita (un giornalista non può permettersi di distanziarsi dal modus operandi di un collega, mentre può permettersi di emettere sentenze senza processo – cosa che non è consentita nemmeno a un magistrato!), e soprattutto con un generalizzato sentimento che tanto i lettori sono (siamo) una massa di imbecilli cui si può dare a bere qualsiasi cosa (sentimento già analizzato qui).
Ora, con tutto l’affetto ed il rispetto: alle radici della nostra cultura c’è, fra tante altre cose, un certo verso (“amor, ch’a nullo amato amar perdona“), il cui senso è, più meno, che i sentimenti veri riescono a trovare corrispondenza, a farsi ricambiare. Devo dire che il disprezzo per i lettori che i giornalisti dimostrano con certe operazioni di spin è così autentico, che non mi stupirei se esso, come ogni sentimento vero e travolgente, fosse anche profondamente ricambiato.
E visto che abbiamo parafrasato Ariosto, e citato Dante, mettiamoci anche un poeta un po’ di nicchia, Lorenzo de Medici:
Cogli la rosa o ninfa or ch’è il bel tempo.
In altre parole, cari amici che ci “informate” così: godetevela finché dura. Prima o poi qualcuno capirà che un certo modo di fare informazione inquina la democrazia: e così come voi oggi ci dite che per inquinare meno i fiumi dovremmo vivere con due euro al giorno, qualcuno farà una legge sull’editoria un po’ diversa da quella attuale, dove per inquinare meno la democrazia si chieda a voi di vivere con due euro al giorno. Temo che finirà così: l’indignazione verso certe palesi strategie di condizionamento è difficile da contenere, e come recenti vicende dimostrano, quando una corda viene tirata troppo, poi si usura, e i governi devono cedere di fronte alle sconfitte elettorali. Se una scoppoletta ha fatto spostare il canale di Sicilia in Libia, una scoppolona potrebbe far rivedere agli italiani l’idea che per essere presi in giro debbano metterci non solo l’euretto e spicci che spendono quando vogliono acquistare un giornale, ma anche il pozzo di soldi che ci mettono contro la propria volontà.
Non vorrei farvelo pesare, ma se i miei lettori crescono e i vostri calano è perché quello che prevedo qui, di solito, accade.
Good night, and good luck…
fonte: http://goofynomics.blogspot.it/2017/08/la-coppia-che-visse-tre-volte-con-due.html
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