Amazon, le sette sorelle del silicio e gli algoritmi. Il lavoro nel nuovo Millennio
di SINISTRA IN RETE (Luigi Agostini)
Più che tanti tomi di Aristotele,
tre modeste invenzioni hanno cambiato la faccia del mondo:
la bussola, la stampa, la polvere da sparo.
Francesco Bacone, 1620
Premessa
La lotta dei lavoratori di Amazon di Piacenza rompe un incantesimo e apre una nuova epoca.
Amazon è una delle sette sorelle del silicio, i signori della Rete; così sono chiamate le nuove multinazionali dell’informatica.
I signori del silicio stanno sostituendo le antiche sette sorelle del petrolio nel dominio del mondo.
La determinazione dei ritmi e delle modalità di lavoro in Amazon, come in tante altre imprese, è affidata ad un algoritmo: l’algoritmo ha assunto anche il ruolo del vecchio Capo cottimo.
Ma l’algoritmo si configura – a differenza del Capo cottimo – come una presenza oggettiva, univoca, neutra. Una potenza astratta, immateriale, cioè il massimo della potenza: una potenza apparentemente assoluta, la potenza del razionale.
Lo sciopero dei lavoratori di Amazon non è quindi uno sciopero tra i tanti, ma assurge al livello di un atto di ribellione, di un segno che, anche nel nuovo Eden del capitalismo informazionale – mito costruito e sostenuto da una formidabile campagna ideologica, senza badare a spese, il rapporto tra Capitale e Lavoro non ha niente di oggettivo, resta un rapporto di forza, la cui dialettica conflittuale non può essere spenta.
La vertenza di Amazon è testimonianza che le forme cambiano, ma la sostanza resta e ha la testa dura.
Su Repubblica del 9 dicembre si annuncia che il divorzio in una giovane coppia si può gestire con un’app. A Modena, attraverso la piattaforma digitale, con l’assenso del giudice, i genitori di due figli, non essendosi accordati per la separazione consensuale, gestiranno ogni rapporto con l’ex partner, condividendo informazioni, spese, problemi, esigenze. L’accesso ai loro dati sarà consentito attraverso una password anche al giudice e agli assistenti sociali. Anche ai nonni. Tutto ciò che sarà condiviso sulla app sarà archiviato come documento e potrà essere utilizzato come prova in fase di giudizio.
Di nuovo, l’algoritmo. La relazione più intima tra persone – il padre, la madre, i figli – affidata ad una presenza astratta. Impersonale.
Le due notizie sono di diverso ordine ma si tengono: la prima riguarda il rapporto di lavoro, la seconda riguarda la relazione sociale, aspetti entrambi fondamentali della vita.
Entrambe le notizie richiamano la questione della rivoluzione informatica e delle sue implicazioni.
La lotta dei lavoratori di Amazon di Piacenza rompe un incantesimo e apre una nuova epoca.
La Rivoluzione Informatica
Cotone, carbone, acciaio, petrolio, silicio
C. Freeman, fondatore dello Science Policy Research Unit (SPRU) nel Sussex e caposcuola degli studi sui sistemi d’innovazione, sulla scorta della teorizzazione di Marx e Schumpeter sull’andamento ciclico delle economie capitalistiche distingue così i vari cicli – le onde lunghe di Kondratief -: prende a riferimento la materia prima caratteristica di ogni ciclo.
Il quinto ciclo dalla prima rivoluzione industriale ha alla sua base il silicio, come principale materia prima.
Telegrafo, cavo sottomarino, telefono, ferrovia, radio, televisione, internet
Tali passaggi rivoluzionano i modi di comunicazione; in ordine cronologico, ferrovia (1825), telegrafo (Morse 1837,), cavo sottomarino (Dover-Calais 1850), telefono (Bell Volta 1876), radio (Marconi), televisione (Baird 1925) internet (Arpanet 1969), World Wide Web (Timothy J. Berners-Lee 1989), smartphone (Erticsson. 1997).
Le reti che dalla prima rivoluzione industriale avviluppano in successione il globo, così sono indicate da A. Mattelart; oggi il modo di comunicare è diventato sempre più anche il modo di organizzare.
La grande pervasività delle nuove tecnologie ha qui, in questo nesso, la sua ragione fondamentale: cioè nella potenza acquisita dalla comunicazione.
G. Dosi tra i primi, in analogia con l’approccio di Kuhn sulle “rivoluzioni scientifiche”, formula il concetto di paradigma tecnico/economico, concetto fondamentale per interpretare e definire il succedersi e l’evolversi del procedere del combinato scienza/tecnologia, motore sempre più decisivo della storia attuale e futura.
Come dimostra l’esperienza tedesca: la potenza dell’apparato produttivo della Germania poggia soprattutto su Fraunhofer e sul Max Planck Institut.
Il concetto di paradigma tecnico-economico sintetizza sia la dimensione tecnologica sia la dimensione sociale, sia la dimensione istituzionale sia la dimensione politica del suo affermarsi.
L’introduzione della ferrovia, dell’energia elettrica, del motore a scoppio, sono esempi di grandi trasformazioni economiche e sociali, che hanno riguardato la nascita e l’affermazione di industrie completamente nuove, nuovi tipi di beni strumentali, di componenti, di materiali, di qualificazioni professionali a tutti i livelli, di nuovi atteggiamenti e metodi di gestione, di nuovi sistemi di istruzione e formazione, di nuove classifi zioni professionali e industriali, di nuovi sistemi di progettazione e sviluppo, di nuova legislazione e nuove forme di finanza, di organizzazione aziendale. E di Proprietà.
Le tecnologie informatiche sono le tecnologie centrali del quinto ciclo di Kondratief.
La linea di pensiero di maggiore fecondità per la Sinistra socialista, per affrontare l’attuale passaggio storico è quella che va dal capitolo Sulle Macchine di David Ricardo del 1821, a Marx e specificamente al capitolo di straordinaria suggestione sulle Macchine dei Grundrisse del 1857, alle riflessioni di Polany, alla teoria dei cicli di Schumpeter e dei suoi epigoni, cresciuti nello SPRU, come C. Perez e M. Mazzucato.
Parlo di Sinistra Socialista. Esistono, infatti, molti tipi di Sinistra; esiste la sinistra dei diritti civili, quella dei diritti sociali, quella filantropica e caritativa, quella del personalismo cristiano, quella delle privatizzazioni e quella dei beni comuni e così via.
Ma l’unica Sinistra che storicamente ha nel suo DNA, un suo “Discorso sia sulla Produzione”, sia sulla Distribuzione sia sul Consumo, è quella che ha i suoi fondamenti nella storia del movimento socialista e che nasce come Critica dell’Economia Politica. (Sottotitolo del Capitale)
Tale Sinistra, però, ormai quasi ovunque ridottasi a “Sinistra distributiva”, – qui sta la ragione essenziale a mio modo di vedere, della sua attuale crisi in quasi tutti paesi – deve riorganizzare la sua strategia generale – operare un ritorno alle origini, una Bad Godesberg ma alla rovescia – a partire dal discorso sulla Produzione, sul cosa e come produrre.
Solo così è possibile uscire dall’abbaglio tra Wall Street che predica scarsità e invoca austerità, e Silicon Valley che celebra abbondanza ed innovazione. E Libertà.
Meno Keynes e più Schumpeter, se si vuole stare alla altezza della sfida, e soprattutto più Marx.
La rivoluzione informatica significa essenzialmente potenza di calcolo: una potenza di calcolo inedita, distribuita a livello di massa e al ritmo di crescita della cosiddetta “legge di Moore”.
Ricordate? Il mulino ad acqua ci dà la società feudale, il mulino a vapore ci dà la società capitalistica. Cosa ci sta dando il mulino digitale?
Terza marca di capitalismo, cosi definisce Manuel Castells il capitalismo attuale: dopo il capitalismo del laissez-faire, dopo il capitalismo keynesiano, siamo al tempo del capitalismo informazionale.
Dopo Manchester, dopo Detroit, siamo alla Silicon Valley.
Da qui re-inizia la storia, specifi mente quella – fra l’altro intuita da Marx nello straordinario capitolo Sulle Macchine dei Grundrisse – del movimento socialista.
La Potenza di calcolo – questa è la mia tesi fondamentale – cambia alla radice sia il carattere sia la natura della impresa nuova e di cui le” nuove sette sorelle” sono l’incarnazione naturale, dato il ruolo sempre crescente ed egemone che i “signori del silicio” rivestono nell’architettura fluida del capitalismo contemporaneo.
Sulla potenza di calcolo s’impianta la digitalizzazione, la larghezza di banda, l’espansione a costi marginali dello storage di dati e i protocolli di programmazione (pacchettizzazione, modellabilità ecc.) Cambiano i modi quanti-qualitativi di concepire la comunicazione, giacché si passa dalla scarsità alla sovrabbondanza d’informazione, e dalla modalità digitale-binaria alla riproduzione del sensibile (WISIWIG).
L’elaborazione digitale diviene così l’infrastruttura di base, non solo per la rivoluzione produttiva, ma anche per la rivoluzione distributiva, consentendo rapporti 1:1 fra produttore e consumatore, sempre meno mediati dalle strutture tradizionali.
L’affermazione del nuovo paradigma sostituisce il ruolo dei corpi intermedi nell’accumulazione della intelligenza sociale, assorbendo e interconnettendo (sussumendo direbbe Marx).
Tale processo destruttura tutte le forme tradizionali di organizzazione (partiti, sindacati ecc.) ma investe la stessa struttura dell’impresa, le cui modalità organizzative vengono appiattite e degerarchizzate, concentrando il potere di decisione in vertici sempre più ristretti.
Le nuove grandi imprese hanno una testa globalizzata e corpi fungibili ed intercambiabili dentro i diversi mercati locali, nei quali logistica e servizi hanno il compito di ricombinare i fattori produttivi e di ingegnerizzare il rapporto con i mercati di consumo.
Partiamo dal carattere. Queste imprese perseguono in maniera forsennata sempre più un profi o monopolistico; la materia è l’informazione; l’ambito riguarda tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Nel capitalismo informazionale l’oligopolio o meglio il monopolio non è solo una tattica scaltra per massimizzare i profitti, ma il solo modo in cui un’impresa può funzionare; è impressionante constatare quante poche imprese dominano ogni settore.
I marchi simbolo del capitalismo informazionale hanno bisogno del predominio totale: Google deve essere l’unico motore di ricerca, Facebook l’unico luogo dell’identità on-line, Twitter l’unico luogo in cui diffondere le proprie opinioni e così via.
Smartification progressiva della vita quotidiana e regolamentazione algoritmica, alcuni chiamano così il processo di dispiegamento di potenza di calcolo.
Tanta parte dei comportamenti quotidiani è già oggi registrato, analizzata, sollecitata, manipolata. Tradotta in primo luogo in risorsa pubblicitaria.
La Smartification della vita quotidiana cammina sostanzialmente su due gambe: produrre più computazione e processare più informazione.
I dati, il loro trattamento, la loro mercificazione, diventano sempre più strategici nell’operare concreto.
Il concetto stesso di mercificazione è limitativo: è all’opera la costruzione di un dispositivo che porta alla individualizzazione estrema e alla sua colonizzazione.
Il modello data-centrico del capitalismo della SiliconValley tende a convertire ogni aspetto della vita quotidiana (vita familiare, vacanze, sonno ecc..) in una merce, in una risorsa redditizia.
L’ipotesi di andare incontro a una catastrofe informativa, in un mondo in cui – al crescere della potenza di calcolo – i dati personali diventano oggetto di scambio come se fossero una qualsiasi merce, diventa ogni giorno sempre più concreta.
All’orizzonte, ma in maniera sempre più concreta, sembra materializzarsi l’ombra del Grande Fratello di Orwel, se non il Panopticon di Bentham.
G. Deleuze preavvertiva negli anni Ottanta – anche se in modo un po’ deterministico – come ogni tipo di società corrisponde a un particolare tipo di macchina: le semplici macchine meccaniche corrispondono a società sovrane; le macchine termodinamiche a società disciplinari; le macchine cibernetiche e dei computer a società del controllo.
La missione dichiarata di Google – “organizzare tutta l’informazione del mondo e renderla universalmente accessibile ed utile – può facilmente essere tradotta e rovesciata nella prassi monopolistica in – “monetizzare tutta l’informazione del mondo e renderla redditizia e universalmente inaccessibile”.
Se l’esito naturale di tale processo è che tutti possono diventare tracciabili e influenzabili, e quindi manipolabili, sorge una domanda spontanea: il futuro della Privacy, dell’autonomia, della stessa democrazia politica, può essere lasciato in mano ad aziende private e alla loro regolamentazione algoritmica? O, invece, proprio per preservare tali valori, non si debba porre il problema della natura pubblica di tali aziende, cioè di come la società debba tutelare i principi costitutivi della democrazia politica? Raccomanda K. Polany: “la libertà in una società complessa richiede un passaporto inviolabile. L’individuo deve essere protetto contro pressioni indebite da parte di persone o aziende, associazioni o corporazioni, consuetudini o leggi”.
Il secondo aspetto riguarda la natura di tali imprese
Alcuni teorici sostengono che ci troviamo di fronte ad un nuovo modello d’impresa: il “Capitalismo delle Piattaforme”. Modello più orizzontale e partecipativo, in cui il tratto distintivo sembra essere dato dal cambiamento del rapporto tra impresa e consumatore.
A ben guardare, la novità più profonda riguarda la natura stessa di tali imprese: il fattore informazione è sempre più parte costitutiva della loro esistenza e sopravvivenza.
L’informazione come inedita materia prima. Ma molto di più che di materia prima si tratta.
Il concetto di materia prima è che essa è inerte e acquisisce senso solo attraverso l’azione umana. L’informazione invece è essenzialmente connotativa, ed è questo aspetto ad essere oggetto di appropriazione e funzionalizzazione.
Ogni informazione è insieme rappresentazione di elementi ed aspetti del reale e della vita delle persone. Connotati che la materia prima non ha mai posseduto.
La conoscenza contenuta nei prodotti sta diventando più preziosa dei classici elementi fisici usati per produrli: la triade classica – terra, lavoro, capitale – sta diventando secondaria progressivamente rispetto alla materia prima della informazione.
Ma le caratteristiche fondamentali dell’informazione sono che l’informazione non si logora con l’uso e che il consumo di alcuni non impedisce il consumo di altri: l’informazione, cioè, è un bene abbondante e inoltre senza rivali. Replicabile e condivisibile.
L’informazione, cioè, in sé e per sé, è riproducibile, condivisibile, a costi calanti e trascurabili, tendenti allo zero.
Tutti i trattati di economia sono stati scritti sull’assunto della scarsità. Dopo i Classici, l’Economia è stata prospettata come la scienza della scarsità.
Uno per tutti, il celebre manuale di L. Robbins: i concetti di domanda ed offerta presuppongono il concetto di scarsità.
L’abbondanza rende sempre meno rilevante la loro funzione nella determinazione del prezzo, concetto portante della economia di mercato.
Le tecnologie informatiche rendono possibile un’economia non di mercato: forme di proprietà e scambio non di mercato.
Sorge spontanea una domanda: le tecnologie informatiche ci stanno portando verso una economia post-capitalista? Sono diventate di moda espressioni come “economia della conoscenza”, “società della informazione”, “capitalismo cognitivo” ecc., quasi a velare le novità che stavano procedendo nel profondo della struttura della produzione e dei rapporti produttivi.
Il grande progresso tecnologico degli inizi del Ventunesimo secolo non consiste solo in nuovi prodotti ma soprattutto nell’avere reso intelligente anche quelli vecchi, in una corsa in cui l’obsolescenza dei prodotti è stata resa sempre più rapida e programmata: predefinita e incorporata nel prodotto.
La Rete è la macchina intelligente. Oggi. Il fantasma che si aggira nella rete sembra quasi suggerire un’altra domanda proibita: una economia basata su reti di informazione sarebbe in grado di creare un nuovo modo di produzione che vada oltre il capitalismo?
Se analizziamo i colossi del capitalismo informazionale constatiamo che il loro modello di impresa consiste fondamentalmente nel connettere positivamente le esternalità sempre mutevoli.
Per essere esatti, il grosso dei profitti proviene dal creare nuove esternalità attraverso l’offerta e la trasformazione di “servizi gratuiti” prima cari o inaccessibili, in una vorticosa sostituzione di una tecnologia con un’altra, all’interno di una riduzione sempre più accelerata e programmata del ciclo di vita dei prodotti.
la riduzione programmata del ciclo di vita del prodotto viene a svolgere un ruolo sempre più fondamentale.
P. Mason, in un’opera di grande suggestione, sostiene che le tecnologie informatiche, nel loro sviluppo, minano alle fondamenta il funzionamento del capitalismo, corrodono i meccanismi di mercato, erodono i diritti di proprietà, distruggono la vecchia relazione fra salario, lavoro, profitto.
Se una economia di mercato, con proprietà intellettuale, porta a sottoutilizzare l’informazione, allora una economia basata sul pieno utilizzo della informazione è incompatibile con il mercato e con i diritti assoluti di proprietà intellettuale. Alcuni chiamano l’attuale modello capitalistico Capitalismo delle Piattaforme. Nel capitalismo delle piattaforme, il modello di impresa è sempre più riducibile, detto icasticamente, a informazione più oggetti: grado di connotarli e loro ricombinazione su base di algoritmi fuori da ogni forma di controllo.
Si attualizza qui come non mai la folgorante intuizione di Karl Marx nel Frammento sulle Macchine dei Grundrisse del 1857: la potenza produttiva di macchine come il telaio meccanico, il telegrafo, la locomotiva a vapore – le macchine al tempo di Marx – dipende dallo stato generale della scienza e della tecnologia, di cui la società dispone nel momento storico dato e dalla applicazione di tale scienza alla produzione.
Facendo leva sulla propria “forza del concetto”, Marx immagina un’organizzazione produttiva in cui il produrre è affidato alle macchine, mentre al lavoratore ne è affidata la supervisione.
Ma la natura del sapere racchiuso nelle macchine è per l’appunto sociale, prodotto della evoluzione complessiva di una società: cioè della Intelligenza Generale (general intellect).
La grande questione che si apre, non è più quella solo del salario contro il profitto, ma quella di chi e come controlla e governa la macchina, cioè “la potenza del Sapere”.
In definitiva, della proprietà di tale potenza e quindi della sua natura privata o pubblica.
Riprendendo l’immagine del mulino a vapore, Marx parla di potenza produttiva.
Davanti al predominio dell’informazione sulla materia forse è più giusto parlare di potenza/intelligenza.
La sfida è inedita.
La questione della Libertè e della Egalitè si propone allo stesso momento ed in termini interconnessi. Proposta/imposta nel nostro tempo, dallo stesso sviluppo delle forze produttive.
Si tratta di ripensare il ruolo del socialismo, che come diceva Marx, è erede allo stesso tempo “della economia politica inglese e della filosofia classica tedesca”.
Nel processo produttivo di cui parlava Marx era l’uomo al centro del lavoro, anche attraverso le macchine che ne emulavano i gesti.
Oggi le reti computazionali fanno cose che gli uomini in generale non sono in grado di fare, né da soli né collettivamente, riconfigurando l’intero assetto delle classi tradizionali.
Un nuovo socialismo diventa necessario, in grado di portare la sfida (civile e cultuale prima che politica) alla subalternità acquiescente verso la terza marca di capitalismo.
L’Egemonia viene prima del potere. Hic Rhodus hic salta.
La potenza di calcolo è un concetto che sta entrando sempre più nel vocabolario quotidiano attraverso un nome fortemente evocativo: algoritmo
L’algoritmo
L’algoritmo è espressione e strumento dello sviluppo esponenziale della potenza di calcolo.
La Potenza di calcolo, novello Prometeo, in sé è un fenomeno assolutamente positivo: apre sviluppi inimmaginabili alla capacità di liberazione dell’uomo da tante forme di dipendenza.
La potenza di calcolo già oggi è alla base dello sviluppo delle biotecnologie, delle nanotecnologie, dello sviluppo di ogni forma di ricerca.
La potenza di calcolo è destinata anche a riaprire – con buona pace di Von Mises, di von Hayek e di tutta la scuola marginalista, – e perfino in tempi ravvicinati lo scontro-sul terreno teorico e politicon – tra Pianificazione e Mercato -questione che il collasso dell’Urss e la cancellazione conseguente degli amanuensi del Gosplan, sembrava aver consegnato al deposito degli oggetti smarriti della storia.
La questione dell’algoritmo nasce oggi dal fatto che stiamo affidando ad algoritmi e alle relazioni nell’Infosfera del Web, l’insieme delle relazioni umane, sia nella dimensione collettiva sia nella dimensione individuale.
La potenza di calcolo raggiunta dai moderni computer e le applicazioni sempre più stupefacenti ai più svariati e molteplici campi ingenera l’impressione (e la fascinazione) di una potenza ai confini della magia.
Già qualcuno osservava che quando una tecnologia è sufficientemente complessa e potente, finisce per non essere più distinguibile, agli occhi dell’inesperto, dalla magia.
Questa caratteristica è con consapevolezza usata dai produttori di gadget tecnologici nell’implementazione delle interfacce utente -macchina dei loro prodotti. Non a caso i bambini, ricchi di pensiero magico primitivo, imparano velocissimi a usare questi gadget.
Possiamo definire come pensiero magico quel modo di pensare del cervello che lega causa ed effetti in modo immediato, tramite l’uso del simbolico. Questa è la prima forma di conoscenza. Mette insieme percezioni in un aggregato di rapido uso (il simbolo) che si presta a essere usato, con nessi logici primitivi, (ad esempio la vicinanza rapida nel tempo fra l’aggregato simbolico e un evento seguente) per trarre conclusioni di causa ed effetto. È un’eredità dell’evoluzione, che era efficace per rispondere velocemente a una minaccia: meglio sbagliarsi in eccesso che per difetto.
L’uscita dal pensiero magico comporta l’introduzione, da parte della mente, di un processo di divisione del simbolico in una scomposizione in parti costituenti e distinte fra cui costruire nessi logici basati, innanzitutto, sul principio di non contraddizione.
Questo processo (peraltro teoricamente infinito nel suo iter: il frutto di ogni divisione diventa, infatti, un nuovo simbolico), diviene via via più complicato e inaccessibile a mano a mano che procede la distanza fra la complessità della tecnologia e del reale e le basi culturali del soggetto.
Nel primo Blade Runner il genio di Ridley Scott, non a caso, collocava il progettista dei replicanti in cima a una piramide, solo, e dialogante esclusivamente con i suoi automi artificiali che gli camminavano infantili e difettosi per casa.
Fuori, ai piedi della piramide, un mondo di uomini perduti e primitivizzati in lotta per la sopravvivenza.
Al fine dunque di evitare un inconsapevole precipitare verso un nuovo luddismo difensivo nei confronti del nuovo mondo che alcuni chiamano Infosfera o di tramutarsi in nuovi entusiasti apologeti soggiogati dalla sua fascinazione, sarà utile analizzare il meccanismo dell’algoritmo su cui poggia la costruzione dell’edificio dell’Infosfera.
Cosa è dunque un algoritmo?
Potremmo definirlo (seguendo Paolo Zellini nel suo bellissimo libro La matematica degli dei e gii algoritmi degli uomini) in modo semplice, come una procedura, un processo, con il quale si tenta di risolvere un problema, individuando e assumendo dei dati di partenza e costruendo una sequenza finita di passi elementari, precise istruzioni, in un preciso ordine di successione fra loro, e legati da un nesso logico.
Un problema è una classe di domande omogenee alle quali è possibile dare una risposta mediante una procedura uniforme. I dati di partenza devono potersi tradurre in numeri.
La connessione logica dei passi elementari è il collegamento che s’instaura fra due proposizioni o enunciati A e B che dà origine a una terza proposizione C, vera o falsa.
La connessione logica deve essere a sua volta numerabile. Non tutto è numerabile ma sono sorprendenti quanti campi, anche i più impensati, lo possono diventare; si pensi alla profilazione individuale dei tratti psicologici, ampiamente usata oggi dai big data per manipolare consenso elettorale o settori di mercato o controllo spionistico e politico.
Un algoritmo deve avere alcune proprietà fondamentali:
• Atomicità (passi elementari non ulteriormente divisibili)
• Non ambiguità (i passi non possono essere interpretati in altri modi)
• Finitezza (specifici passi con ingresso e quantità di dati determinati)
• Terminazione (fine del processo in un tempo definibile)
• Determinismo (ogni passo deve essere ben stabilito)
• Ricorsività (possibilità di scomporre ogni istruzione in un’istruzione più semplice fino al linguaggio macchina basato sulla manipolazione di bit (0 e1) e possibilità inversa di raggruppare ogni istruzione all’interno di un’istruzione più complessa)
Come si evince da quanto descritto, l’algoritmo è un costrutto, composto e componibile in modi ed elementi diversi.
Esistono inoltre problemi non numerabili. Non esiste un algoritmo, come ha dimostrato Alan Touring, in grado di stabilire se, dato un dato e un algoritmo per elaborarlo, la sua elaborazione terminerà o no, (decidibilità del risultato). Non possiamo sapere se, in generale, un fatto è conseguenza logica di un insieme di fatti: cioè, non possiamo costruire un algoritmo per decidere questo.
In sostanza, la struttura deterministica dell’algoritmo è il suo tallone di Achille. La sua forza e il suo limite.
Inoltre, la realtà non permette di partire sempre da dati certi e conoscibili nella loro complementarietà, come ha dimostrato il principio d’indeterminazione di W. Heisenberg (possibilità di sapere ad esempio contemporaneamente velocità e posizione di una particella).
Dunque senza dati certi di partenza (intrinsecamente inconoscibili) è difficile decidere in modo certo i nessi causa effetto.
In aggiunta a ciò. già il grande matematico e logico K. Goedel aveva dimostrato che nessun sistema è in grado di rispondere a tutte le domande che sorgono dal sistema.
La capacità di costruire un sistema e di uscirne per dare risposte alle domande (e contraddizioni) che genera, rimane una prerogativa umana non risolvibile aN’interno della logica formale. Per fortuna.
Ora, tutto questo ha delle conseguenze.
Un esempio: ipotizziamo che il problema sia come gestire nel modo più razionale il problema del trasporto individuale in una città attraverso l’uso dell’automobile a chiamata (servizio taxi). Uber ha trovato un perfetto algoritmo per farlo.
Ma se la domanda cambia, per esempio diventa come permettere nel modo più razionale e con meno spreco di risorse lo spostamento individuale in città all’interno di un insieme o di un sistema composto di un collettivo, allora la risposta di Uber diventa massimamente irrazionale.
La potenza di calcolo certamente sposta sempre più in alto il luogo della determinazione e soluzione del problema, ma non può saltare i fattori della definizione del problema e della scelta dei dati di riferimento utilizzabili per la sua soluzione.
Non esistono algoritmi neutri, dato che comunque il loro funzionamento è determinato da formule discriminanti, dal peso attribuito ai singoli parametri inseriti, dalle procedure che ne determinano il risultato.
L’algoritmo non riflette mai la realtà, ma ne propone una sua versione. Quello che veramente cambia è l’enorme sproporzione di conoscenza tra l’utente finale e la società che offre il servizio. Una sproporzione di potenza.
Nella pratica, è come se si svolgesse una partita a scacchi tra un giocatore principiante e con gli occhi bendati, e un campione internazionale, che per di più, conosce tutte le mosse del primo.
Il contrasto di un algoritmo richiede il possesso della stessa potenza che ha portato alla costruzione dello stesso algoritmo.
Il diritto individuale in tale contrasto vaie poco più di uno scudo di latta.
L’ascesa dell’algoritmo di fatto confina al margine gran parte della teorizzazione della centralità dei diritti individuali, pensati in alternativa o in sostituzione dei diritti collettivi.
L’ascesa dell’algoritmo tendenzialmente sposta le questioni dall’individuale al collettivo, vanificando il tentativo – come quello operato dalla CgH alla conferenza di Chianciano – di individuare nei diritti individuali il focus della propria cultura politica e della propria identità.
L’algoritmo e la sua potenza non possono risolvere il problema che esula dalla potenza di calcolo.
Chi decide il problema per il quale costruire l’algoritmo? E le sue caratteristiche? E i dati da assumere? La decisione rinvia alla questione della sovranità. In definitiva della proprietà. Decide la proprietà: privata o pubblica?
La tecnologia – recita la prima legge di Kranzberg – non è né di destra né di sinistra, ma nemmeno neutrale: può aprire o chiudere tante porte alla libertà dell’uomo.
L’algoritmo è destinato a diventare il campo di battaglia in cui si decideranno il senso e la fisionomia della rivoluzione informatica: lavoratori e comunità sono chiamati dalla forza stessa delle cose -passato l’attuale momento di spiazzamento – a costruire e affinare le armi per la contesa.
Lo spiazzamento attuale si regge fondamentalmente su tre aspetti: sull’effetto gratuità dell’offerta di servizi; sulla separazione del discorso software/hardware – fino all’occultamento quasi totale del discorso sull’hardware; sulla costruzione, passo dopo passo, da parte dei Signori del Silicio – e all’ombra di tali aspetti – di un nuovo Nomos della terra, per dirla con K. Schmit.
Gratuità dei servizi
Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. Negli ultimi anni, nella parte occidentale del mondo, proliferano a macchia d’olio i sensori per l’Internet delle cose.
La messa a disposizione di uno “spazio” a ogni individuo, l’offerta a getto continuo di “soluzioni” a ogni tipo di problema, la” gratuità” apparente di tale offerta, oscura ancora oggi un aspetto di assoluta rilevanza: quale organizzazione sociale si sta costruendo?
Gli aspetti di utilità immediata dell’uno oscurano il significato e il senso della direzione di marcia dell’insieme, cioè di tutti.
È allora sempre più urgente aprire una riflessione sulla prospettiva generale della rivoluzione informatica, sulla sua portata sistemica.
Timeo Danaos et dona ferentes, avrebbero detto i latini che se ne intendevano.
Più prosaicamente, si potrebbe dire che, nel momento in cui qualcosa è gratis – come recita un vecchio detto – il prodotto sei tu.
Sensori, tracciabilità, dati, potenza di calcolo, forza computazionale, organizzazione monopolistica del mercato del mondo, rendono possibile la costruzione di un gigantesco e inedito meccanismo che – agitando la bandiera dello sviluppo della libertà dell’individuo – in realtà produce una straordinaria macchina di controllo sociale: controllo ferreo dell’organizzazione produttiva, controllo ed eterodirezione dei gusti e delle scelte dei consumatori, controllo ed eterodirezione delle opinioni e delle volontà dei cittadini.
L’individuo e i suoi diritti finiscono arenati in uno sterminato mare dei Sargassi.
Non a caso, gli uomini che dirigono le principali multinazionali sono a loro volta grandi intellettuali.
Dalla Sicurezza alla Mobilità, dalla Cultura all’Istruzione, dalla Produzione al Consumo, dall’organizzazione del lavoro e ogni aspetto della vita quotidiana, tutto sembra alimentare la costruzione di questo gigantesco meccanismo, senza sollevare un interrogativo apparentemente elementare: può un’azienda privata, un monopolio privato, accumulare, attraverso l’appropriazione di tanti dati, un potere tanto smisurato, da insignorirsi della vita di miliardi di uomini e delle loro scelte?
Hardware
Il capitalismo attuale è imprescindibile dalla rete di Internet. Finanza, Produzione, Distribuzione, Consumo: tutto è mediato dalla rete.
Internet nasce ufficialmente nel 1969 come derivazione delle ricerche americane nel settore della difesa (DARPA) e rimane vincolata all’ambiente militare e accademico fino al 1992, quando il Congresso degli Stati Uniti decide di aprire la rete a usi commerciali. Nel frattempo, nel 1991, Tim Berners-Lee, al CERN di Ginevra, aveva inventato il Web per lo scambio di informazioni nel mondo scientifico.
La supremazia su Internet si misura su tre parametri fondamentali: il possesso delle infrastrutture; il controllo tecnico-amministrativo; il controllo politico-economico dei “domini”.
Infrastrutture significano, ad esempio, oltre trecento linee di cavi posati sui fondali marini, per un milione di chilometri in fibra ottica che collegano gli Stati Uniti al resto del mondo, e su cui viaggiano dieci miliardi di transazioni finanziarie il giorno.
Dominio Internet significa territorio, potere economico, controllo.
Nel Medioevo il “dominio” era anche il tributo che nel feudo i sudditi pagavano al signore in segno di riconoscimento del suo potere.
Oggi il tributo è pagato all’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), società non-profit che decide la distribuzione e l’assegnazione dei “domini”.
Chi gestisce e cura gli sviluppi della struttura d’indirizzamento di Internet detiene un formidabile potere sull’economia e sulle risorse strategiche del mondo.
Gli Stati Uniti e alcune delle loro principali imprese detengono direttamente o indirettamente il pieno dominio di Internet e quindi un formidabile potere sull’economia e sulle risorse strategiche del mondo.
Nel Consiglio di amministrazione di Facebook, (?) delle cinque grandi Corporation dei grandi gruppi farmaceutici, siedono – come ha scritto U. Mattei – tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia, della FBI
Nel confronto politico come nel dibattito corrente non emerge quasi mai la questione della struttura, dell’hardware: tutta l’attenzione viene concentrata sulla sovrastruttura, per dirla con termini antichi, quasi non esistesse un rapporto di dipendenza, anche se variamente mediata, tra struttura e sovrastruttura, tra hardware e software. Ma la sovrastruttura non esiste senza la struttura.
La proprietà delle infrastrutture materiali che innervano e governano l’Infosfera resta una questione sconosciuta, ignorata, lasciata nell’ombra: tale natura non emerge quasi mai come la questione politica centrale della rivoluzione informatica.
Fino ad ora il contrasto poggia fondamentalmente su ragioni di geopolitica: molti paesi (Russia, Cina, India ecc.) si sono già dotati di motori di ricerca e di social media autonomi.
Sono di questi giorni due notizie di grande rilevanza: la prima, la pressione/annuncio di importanti istituzioni russe di procedere alla costruzione di un Internet alternativo, alla scala dei paesi cosiddetti Brics; la seconda, l’allarme lanciato dalla Nato, circa il rischio/paralisi del sistema che deriverebbe dal tranciamento delle reti dei cavi in fibra ottica, posati sui fondali marini. Rischio legato alla invenzione di una nuova generazione di sottomarini, impossibili da rilevare.
Alla Sinistra politica, ai milioni d’individui, tutti presi a chattare su Facebook, che come i passeri della storia cinguettano sui fili del telegrafo, mentre sui fili del telegrafo corre l’ordine di sterminare i passeri, andrebbe ricordato in tutte le ore del giorno il monito di B. Brecht: cittadini, compagni ricordatevi dei rapporti di proprietà!
Nomos della terra
Il primo diritto, afferma Giovanbattista Vico, gli uomini lo ricevettero dagli eroi nella forma delle prime leggi agrarie.
“La divisione dei campi” è, accanto alla religione, al matrimonio, al diritto di asilo, uno dei quattro elementi primordiali di ogni diritto umano.
Il nomos della terra, per secoli – racconta il grande giurista K. Schmitt in una delle opere più profonde dell’ultimo secolo – si è fondato su un determinato rapporto tra terraferma e mare libero, tra spazio terraneo e spazio marino. Nel tempo, con lo sviluppo dell’aviazione, si è aggiunta la possibilità del dominio sull’aria, sullo spazio aereo.
Spazio quindi come campo di azione: ogni nuovo spazio richiede e postula un nuovo ordinamento.
I grandi sconvolgimenti spaziali, le grandi rotture – sostiene K. Schmitt – generano, con la violenza di un movimento tellurico, la produzione di un nuovo assetto del diritto dei popoli.
Oggi, con la rivoluzione digitale, ha inizio un nuovo stadio della coscienza umana dello spazio e dell’ordinamento globale; diventa possibile pensare che l’aria divori il mare e persino la terra, chioserebbe K. Schmitt.
La scoperta del nuovo mondo, la scoperta delle Americhe impallidisce di fronte alla “rottura dello spazio” che investe oggi sia lo spazio generale, planetario, sia lo spazio più minuto della nostra vita quotidiana.
Nasce l’Infosfera, che ridetermina nuove linee di amicizia e d’inimicizia; tali linee sono tracciate oggi da vertici ristrettissimi e sconosciuti: un’élite privata, una selezionata aristocrazia.
Torna quindi la domanda: la scrittura del nuovo diritto internazionale globale, del “nuovo Nomos della terra”, può essere affidato a una ristrettissima consorteria di imprese private? Alla programmazione automatica dei loro algoritmi?
Solo grandi soggetti collettivi possono contrastare l’ascesa -resistibile – del “grande Fratello”: la potenza di calcolo, frutto del marxiano Generai Intellect, va riportata al servizio dell’interesse comune.
Luigi Agostini Roma 1 gennaio 2018
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