Il 16 gennaio Pierre Moscovici, Commissario europeo per gli affari economici e monetari ed ex Ministro delle Finanze francese, ha commentato la campagna elettorale italiana auspicando alla formazione di un governo che continui sulla strada degli ultimi anni.

Oggi è difficile immaginare quale coalizione uscirà dal voto, con quali ambizioni europee, anche se con l’approssimarsi delle elezioni tutti i partiti rivedono il loro posizionamento rispetto all’euro. […] I partiti illiberali, razzisti, estremisti, vanno combattuti sul terreno politico, – ha continuato riferendosi alla Lega –  siamo delle democrazie, bisogna lasciare i popoli votare”.

Poi arriva la stoccata anche per il Movimento 5 Stelle e la sua proposta di sforare il tetto del 3% del rapporto tra deficit e PIL:

È un controsenso assoluto. Sul piano economico questa riflessione non è pertinente: il tetto del 3% ha un senso molto preciso, quello di evitare che il debito slitti ulteriormente. Ridurre il deficit significa combattere il debito e combattere il debito significa rilanciare la crescita. […] Lo dico senza malizia, ma con convinzione: nessuno deve pensare che il tetto del 3% sia una sigla: è un limite intoccabile.

Dichiarazioni che hanno dell’inverosimile: procediamo per ordine.

Pierre Moscovici

Pierre Moscovici

Rispettare il parametro del 3% serve a non far slittare il debito ulteriormente. Dati alla mano, l’Italia ha sempre rispettato questo parametro, anzi ha progressivamente ridotto questo rapporto, mentre il debito è continuato a crescere, sia per quanto riguarda il debito in termini nominali, sia in rapporto al PIL. Se l’obiettivo è ridurre il rapporto debito/PIL, una riduzione della spesa pubblica genera un effetto sul PIL maggiore di quello che genera sul debito. In altre parole il debito si ridurrà, o almeno crescerà più lentamente, ma la riduzione del PIL sarà più che proporzionale, generando un aumento del rapporto. L’idea che si arriverà ad un punto in cui il rapporto diminuirà perché il PIL inizierà a ridursi meno che proporzionalmente del debito, è vera solo se ipotizziamo che che gli investimenti privati restino costanti, mentre nella realtà questi diminuiscono al diminuire del PIL.

D’altra parte, un aumento della spesa pubblica genera sì un aumento del debito, ma tramite l’aumento degli investimenti il PIL crescerà di più del debito, permettendo la diminuzione del rapporto debito/PIL. In sostanza non si può diminuire sia il debito sia il rapporto tra debito e PIL, ma questa è una delle contraddizione dei parametri e degli obiettivi dei Trattati a cui purtroppo siamo abituati. Dovremmo chiederci se il problema è il debito pubblico o la sua sostenibilità, oppure se la crisi è scaturita dal debito privato piuttosto che da quello pubblico e se, forse, abbiamo agito su quello che effettivamente non rappresentava un problema, mentre poco o niente abbiamo fatto per l’altro.

Poi Moscovici ha affermato che ridurre il debito serve per rilanciare la crescita. Partendo dal fatto che la crescita economica è trainata dalla domanda aggregata, che gli investimenti sono largamente indotti dalla domanda stessa (si investe quando il pieno utilizzo della capacità produttiva non è più sufficiente) e che i consumi dipendono per la quasi totalità dal livello del reddito, si può avere crescita soltanto in tre modi: diminuzione delle tasse e/o aumento della spesa pubblica, quindi aumento del deficit, aumento delle esportazioni e aumento del debito privato. Altri modi non esistono.

Tralasciamo tutto il piagnisteo sulla mancata crescita perché non siamo produttivi, flessibili, efficienti; dato che sia nel breve che nel lungo periodo il tasso di crescita della produttività dipende dal tasso di crescita dell’economia: basta guardare come il declino dell’Italia inizia a metà anni ’90, quando, nonostante un tasso di crescita della produttività elevato, iniziamo ad avere avanzi primari (meno spesa pubblica e/o più tasse), avviene l’aggancio nominale con l’euro e la distribuzione cambia a sfavore dei salariati.

ALP: produttività del lavoro; ITL/ECU: tasso di cambio lira/Unità di Conto Europea

ALP: produttività del lavoro; ITL/ECU: tasso di cambio lira/Unità di Conto Europea

Infine la parte più divertente del discorso dell’ex Ministro francese: il 3% è un limite intoccabile. In questo grafico, pubblicato da Alberto Bagnai sul suo blog Goofynomics, vediamo l’andamento del rapporto tra deficit e PIL degli ultimi anni, sia dell’Italia che della Francia.

gdgd

La linea retta rossa è sul 3%: l’Italia dal 2012 ne è al di sotto e il valore è in continua discesa, mentre la Francia lo sfora ancora oggi. Per l’ennesima volta la bacchettata arriva da paesi che sforano i parametri di Maastricht. Tra l’altro ciò non gli ha permesso comunque di far diminuire il rapporto tra debito e PIL. Sono tutte cose a cui siamo abituati: soluzioni sbagliate per problemi sbagliati e una sudditanza politico-economica che va ormai avanti da decenni. Si parla di integrazione europea e di federalismo, ma quest’unione altro non è che una contrapposizione di forze, dove l’asse franco-tedesco plasma e governa i paesi del sud a proprio piacimento. Sperano nel proseguimento delle politiche attuate negli ultimi anni, cosicché l’Italia continui a crescere miseramente nonostante un contesto economico globale ben più robusto di quello degli ultimi anni. Questo è ciò che ci serve per far dormire sonni tranquilli al mercato, così da non rischiare di peggiorare ulteriormente il nostro già fragilissimo sistema bancario e, per forza di cose, mettere in discussione l’euro. Ma lo schieramento delle forze politiche in campo dovrebbe far star tranquilli Moscovici e tutti i burocrati dell’UE: con queste elezioni e con questa legge elettorale, non sarà il futuro governo quello che farà cadere il primo tassello del domino.