di Nicola Zitara FORA (30 novembre 2009)
E' dal 1750 che in Europa la popolazione contadina diminuisce a favore dell'Industria e dei Servizi. A questo movimento ha contribuito il progresso tecnologico, che ha determinato il passaggio dalla organizzazione feudale, noncurante rispetto al tema della produttività del lavoro, al sistema della proprietà borghese caratterizzata da una forte esosità verso il contadino.
Sul finire del regno borbonico, a distanza di cento anni, cioè verso il 1860, le statistiche registravano una componente contadina del 48 per cento sulla popolazione attiva. Ottanta anni dopo, al tempo del fascismo, i contadini erano circa il 40 per cento degli italiani.
La 'grande trasformazione' si ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX, con lo sviluppo del settore Industria, della Scuola di massa e del Sistema sanitario. Sette milioni (e forse più) di contadini meridionali presero il treno per cercare un lavoro in Germania, in Svizzera, nel Norditalia.
L'emigrazione ebbe la funzione di una valvola di sfogo delle tensioni sociali, salvando il sistema capitalistico mediante un sostegno al reddito familiare. E dove l'emigrazione non apparve bastevole, s'intervenne con l'assistenzialismo, il clientelismo, la dilatazione del Pubblico Impiego, ingolfando così i servizi fino a renderli scarsamente 'servizievoli' (Scuola, Sanità, Comuni, Regioni etc.).
Ovviamente le eccedenze di popolazione attiva non si sono formate più in campagna, ma in città, dove si è nato un nuovo esercito di riserva del lavoro salariato e impiegatizio che, nel Suditalia, raggiunge tra il 30 e il 40 per cento di ben due generazioni, quelle dei nati negli anni '60/'70 e quella dei nati negli anni '80/'90.
Appassita l'agricoltura, bloccata l'industria fordista della catena di montaggio, ridimensionata la spesa pubblica a favore dello Stato Sociale, tramontato l'artigianato dei servizi, favorita una specie di corporazione illiberista, o il monopolio di stampo quasi mafioso, nei servizi di aggiustaggio, i giovani meridionali si sono riversati nelle università, in tal modo allungando gli anni della formazione.
Oggi questi giovani sono una marea montante, ma manca la risacca di un intervento statale. I giovani che mi vedo attorno sono un mare di speranze frustrate, di speranze inquinate dalla coscienza dell'inutile attesa.
Gli anni passano, ma non si leva un solo filo di vento a muovere le onde. La stessa identità personale vacilla, si corrode, crolla in molti casi. Il mondo (e non il sistema) diventa un nemico. Ma l'Italia politica, la greppia politico-parlamentare romana, locale provinciale, il grande padronato bancario e industriale restano sordi al grido disperato, muto, indifferente alla disperazione giovanile che incalza per le vie delle grandi città, dei paesi, dei borghi. Il capitalismo ha le sue regole: impiega gli uomini che gli servono: gli individui e i gruppi nazionali più pieghevoli, più malleabili, quelli disposti ad accettare paghe basse , al lavoro senza orario, le persone costrette ad avere disprezzo per la propria salute, quelle che hanno preventivamente rinunciato a rivendicazioni politiche e sindacali, gli extracomunitari che sono preferiti e accolti.
Quel che i capitalisti invocano dai governi è l'abbassamento della curva dei salari attraverso la presenza di morti di fame.
Nell'industria norditaliana la componente extracomunitaria è rilevante. Siamo oltre i due milioni di persone, quanto sarebbe stato sufficiente a dare un'alternativa alla disoccupazione meridionale. Si è preferito dare spazio alla componente più debole dell'esercito industriale di riserva, e non certo in omaggio a un principio di umanità, come ben evidenziano le condizioni disumane in cui vivono gli extracomunitari non ingaggiati al lavoro, ma per ottenere bassi salari e innalzare il grado di sfruttamento del lavoro dipendente.
Due milioni di salvataggi non incidono il problema della fame e della disperazione del Sud del mondo, che riguarda tre o quattro miliardi di esseri umani. Più generoso sarebbe stato aprire la frontiere ai prodotti agricoli e dell'allevamento africani e latino americani.
Comunque, extracomunitari o meno, c'è uno Stato italiano, e questo Stato deve affrontare i problemi del Mezzogiorno, illusoriamente posto nel grembo di una società nazionale su cui lo Stato esercita la sua sovranità. Le famiglie hanno investito e investono enormi risorse su questi loro figli, estromessi dalla vita sociale.
Si tratta di cifre da capogiro, che vanno dai 150 mila euro ai 400 mila euro pro capite. Moltiplicando per due o tre milioni di disoccupati si arriva alle migliaia di miliardi che il Sud butta nel cesso nazionale a ogni generazione. Ma le cifre sono un'escogitazione statistica. Quel che conta è l'esistenza morale di questi giovani. O il sistema affronta il problema, o crolla.
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Se le cose stessero così, bisognerebbe sperare che non lo affrontasse.
Purtroppo lo sta già affrontando a modo suo: più inebetimento mediatico, più ignoranza, più immigrazione, nella speranza coronata dal successo che l'immiserimento si risolva in una sempre maggiore atomizzazione della società e quindi una sempre minore resistenza allo sfacelo liberista.
E così i giovani greci ridotti alla disperazione invece di pensare a scannare chi li ha ridotti in quello stato pensano a emigrare a loro volta, per rifarsi una vita all'estero. Andranno a rubare il posto di lavoro a tedeschi, francesi e danesi, contribuendo ad aumentare la pressione sui salari locali (e ad imbastardirne ulteriormente le popolazioni).
Per quanto infine riguarda questo popolo, questa povera gente che vi piacerebbe osannare, non dimenticatevi che i partiti al potere li hanno votati loro. Non escludo che ormai le elezioni nazionali siano falsificate, ma ancora non mi sembra che il regime abbia stretto il cappio al punto da manipolare quelle locali. I meridionali ottocenteschi reagirono all'occupazione piemontese colla guerriglia e il brigantaggio, questi al massimo reagiscono votando Vendola.
La verità è che il gregge, specie oggi che è interamente mediatizzato e abituato a passare la vita davanti a uno schermo, è indifeso dinanzi ad un martellamento mediatico compatto, organizzato secondo criteri scientifici. E' la grande lezione che le élites dirigenti statunitensi avevano tratto dalla propaganda di guerra svolta in occasione del I conflitto mondiale, e che ha formato la base di tutte le manipolazioni successive.
Lorenzo,
nulla da obiettare al tuo commento, chiaro, profondo e incontestabile.
Tuttavia, cosa abbiamo da fare, se non individuare i problemi, prospettare soluzioni, e cercare con pazienza di unire tutti i migliori?
Molti dei primi articoli che ho scritto sono dedicati alla figura del "consumatore" e alla pubblicità. Ormai il sistema mostruoso è stato creato e non lo distruggi nemmeno in caso di crollo economico. Il sistema mediatico inebetente e conformativo del consumatore resisterebbe.
La resistenza individuale e l'educazione dei propri figli sono le priorità. E' la difesa minima.
Chi ha la fortuna di insegnare e per qualche ragione è sfuggito, in tutto o in parte ai tentacoli del mostro, può concorrere a educare altri giovani.
Per il resto, bisogna giungere a descrivere con assoluta chiarezza il sistema mostruoso, ad esprimere in modo cristallino l'analisi, ad avanzare proposte semplici, a tirare calci in mezzo le gambe per suscitare rancore o adesione, e a unire in una Associazione i migliori.
Io nel mio piccolo cerco di fare tutto questo. Proprio perché so che le cose stanno come dici tu, credo che sia obbligatorio darsi tempi lunghi e gioire anno per anno dei passa avanti.
La crisi certamente aiuta
>>> "Tuttavia, cosa abbiamo da fare, se non individuare i problemi, prospettare soluzioni, e cercare con pazienza di unire tutti i migliori?"
Solo pensare con un po’ di sano disprezzo a questo popolo che per consuetudine ideologica inveterata siete abituati a incensare e difendere: a vederlo un po’ più in termini di canaille e un po’ meno in quelli di cittadinanza, classe lavoratrice ecc.