L’industria bellica capitalizza a Wall Street i venti di guerra in Iran
di LA CITTÀ FUTURA (Sarah Anderson)
Il capitale e la guerra: un vecchio binomio che viene riconfermato dagli eventi di questi giorni. Azionisti e amministratori delle grandi aziende dell’apparato militar-industriale statunitense stanno già beneficiando della possibile guerra con l’Iran grazie all’aumento di valore dei loro titoli in borsa.
Le prospettive di guerra in Iran sono terrificanti. Gli esperti prevedono milioni di morti se le attuali tensioni dovessero sfociare in una guerra aperta. Altri milioni diventerebbero rifugiati riversandosi in tutto il Medio Oriente, mentre le famiglie dei lavoratori negli USA sosterranno, come sempre, il costo in termini di vittime.
Ma c’è una classe sociale che è pronta a beneficiare dell’escalation del conflitto: gli amministratori delle grandi imprese committenti delle forze armate degli Stati Uniti.
Di questo si è avuta evidenza nell’immediato seguito dell’assassinio da parte USA dell’alto ufficiale militare iraniano il 2 gennaio. Non appena l’informazione ha raggiunto i mercati finanziari, il corso dei titoli azionari di queste aziende è schizzato verso l’alto.
Gli intermediari di Wall Street sanno bene che una guerra con l’Iran significherebbe contratti redditizi per i fabbricanti di armi statunitensi. Poiché gli amministratori e gli alti dirigenti di queste aziende ricevono parte dei loro compensi sotto forma di pacchetti azionari, essi beneficiano anche a titolo personale quando il valore delle azioni della loro azienda aumenta.
Abbiamo verificato i pacchetti azionari detenuti dagli amministratori delegati dei cinque principali gruppi fornitori del Pentagono: Lockheed Martin, Boeing, General Dynamics, Raytheon e Northrop Grumman. Secondo gli ultimi dati disponibili abbiamo potuto stimare che questi cinque alti dirigenti detenevano azioni delle rispettive aziende da loro amministrate per un valore complessivo di circa 319 milioni di dollari USA pochi giorni prima del raid del drone americano che ha ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani. Alla chiusura della sessione di trattazioni del mercato azionario del giorno dopo tale valore era già salito a 326 milioni di dollari.
I profitti da guerra non rappresentano niente di nuovo. Nel 2006, nel culmine della guerra in Iraq, analizzando i compensi percepiti dagli amministratori delegati delle 34 grandi imprese committenti delle forze armate dell’epoca era emerso che questi erano aumentati considerevolmente dopo gli attentati dell’11 settembre. Tra il 2001 e il 2005 i compensi degli amministratori delegati di imprese fornitrici delle forze armate erano aumentati in media del 108% a fronte di un aumento medio del 6% dei loro omologhi nelle grandi aziende di altri settori.
Il Congresso deve intervenire per prevenire una guerra catastrofica in Iran. Far rientrare le attuali tensioni è la priorità immediata. Ma il Congresso dovrebbe anche prendere l’iniziativa per porre fine ai profitti derivanti dalla guerra. Nel 2008 John McCain, allora candidato presidenziale repubblicano, aveva proposto di porre un tetto ai compensi degli amministratori delegati delle aziende beneficiarie di piani di salvataggio pubblici, sostenendo che tali amministratori, in quanto supportati dai soldi dei contribuenti non avrebbero dovuto guadagnare più di $ 400.000 dollari annui, che rappresenta lo stipendio del Presidente degli USA.
Un principio analogo dovrebbe essere esteso a tutte le aziende che beneficiano di massicce entrate derivanti da contratti sostenuti da fondi pubblici. Il Sen. Bernie Sanders, ad esempio, ha proposto un piano per escludere dai contratti federali quelle aziende che retribuiscono eccessivamente i loro amministratori. E ha proposto di fissare un limite ai compensi degli alti manager ad una soglia di 150 volte il salario tipico di un lavoratore della stessa azienda.
Attualmente non ci sono limiti ai compensi degli amministratori di queste imprese e il settore della difesa è il primo a distinguersi in tal senso. I cinque principali committenti del Pentagono hanno pagato i propri alti dirigenti una media di 22,5 milioni di dollari annui nel 2018.
Le restrizioni ai compensi degli amministratori delegati si dovrebbero estendere ai vertici di tutte le altre aziende committenti pubbliche, che attualmente non sono tenute a rivelare il livello delle buste paga dei propri alti dirigenti. È questo il caso della General Atomics, azienda che produce il drone MQ-9 Reaper che ha eseguito l’assassinio di Soleimani. Nonostante i 2,8 miliardi di dollari di contratti pubblici nel 2018, all’azienda è consentito di mantenere segreta l’informazione sui compensi dei propri alti dirigenti.
Secondo delle stime rese note dalla rivista Forbes sappiamo che l’amministratore delegato di General Atomics, Neal Blue, ha prosperato sui soldi pubblici con un patrimonio personale di circa 4,1 miliardi di dollari.
La guerra è una cosa brutta per quasi tutti. Ma finchè continueremo a consentire ai capi della nostra economia privata di guerra di ottenere compensi illimitati, la loro sete di profitto per una guerra in Iran – o in qualunque altro luogo – persisterà.
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L’autrice dell’articolo dirige il Global Economy Project presso l’Institute for Policy Studies ed è co-editrice del sito Inequality.org. Questo articolo è tratto da OtherWords.org in regime di CC (Creative Commons).
Pubblicato su: People’s World, 9 gennaio 2020
Traduzione per La Città Futura di Zosimo
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