La politica non è una bibita. Appunti per una restituzione di dignità
di MEGACHIP (Redazione)
Il successo del capitalismo contemporaneo è aver trasformato qualsiasi istanza, anche la più seria e impegnativa, in una faccenda da risolvere a colpi di slogan. Anche la politica…
Il successo del capitalismo contemporaneo è aver trasformato qualsiasi istanza, anche la più seria e impegnativa, in una faccenda da risolvere a colpi di slogan, secondo le regole del marketing. La politica non è esente da questo processo, anzi, ne è parte attiva. E’ marketing quello che fa Salvini per apparire “uno di noi”, con le sue felpe, la ruspa, i balli al Papeete, così come è marketing la bontà pelosa delle Rackete, dei Saviano e delle Boldrini di turno verso le “minoranze”. Ciascuno attrae una fetta di popolazione individuata dal marketing politico. Anche per i Cinque Stelle è così: l’operazione di marketing è iniziata sul finire degli anni ’00 con i Vaffa Day, che hanno permesso di individuare un settore ben preciso della società italiana, composto perlopiù da delusi e “incazzati” di varia estrazione sociale. Il marketing politico, negli anni successivi, ha fatto il resto, arrivando infine a stravolgere l’identità originaria del movimento stesso, quella dei “meet up”, a favore di un’immagine “ripulita”, più presentabile agli occhi dei padroni del vapore, che ha permesso ai pentastellati di entrare nelle stanze dei bottoni.
La post-modernità miscela tutto in un unico calderone, con una rapidità e una capacità di sintesi a cui le generazioni più indietro con gli anni faticano ad adattarsi. A livello di marketing funziona uno schema molto semplice: l’importante è che se ne parli, bene o male che sia, e un profluvio di like o di reactions sulle reti sociali fa sempre bene. Vietato finire nell’oblio, non essere al centro del discorso.
A margine dei partiti politici troviamo gli “influencer” e i movimenti d’opinione. Negli ultimi tempi abbiamo assistito in particolare a due fenomeni mediaticamente rilevanti: Greta Thunberg con la sua crociata ambientalista e, in Italia, le sardine di Mattia Santori e soci.
Il caso della giovane attivista svedese è molto interessante. La Thunberg è un’adolescente che marina la scuola – e chissà di quanto è indietro con le lezioni… – per una causa più grande, che riguarda il destino di chi oggi è troppo giovane per decidere qualcosa. Wow. Qualsiasi adolescente con un po’ di sangue nelle vene si sente rappresentato da questa presa di coscienza individuale, e cerca di entrare in sintonia con la giovane eroina dell’ambiente. A tutte le latitudini, perlomeno nella sfera occidentale. L’Asperger, la sindrome di cui soffre Greta, è un altro “bonus”: giovane, donna – il sistema negli ultimi anni sembra nutrire una predilezione per il genere femminile, si pensi al pompaggio del fenomeno #MeToo – e con un problema che purtroppo sembra in aumento in Occidente. Chi scrive non vuole assolutamente irridere chi soffre di questo disturbo, che può essere anche invalidante vista l’ossessiva ripetitività che comporta sul piano degli interessi personali. Stiamo solo ragionando in termini di puro marketing. Cosa rende Greta “speciale” e degna di diventare un fenomeno pop mondiale? Questo è il punto. E, come detto, è il suo “essere speciale”, ma in un modo ben visto dal sistema, funzionale ad alcuni interessi importanti (il giro d’affari, colossale, legato alla “conversione verde” del settore economico).
Le sardine dal canto loro sembrano aver imparato la lezione, con un mix ben dosato di apparizioni in piazza e presenza sui social (tattica peraltro già usata da tempo da Salvini), portando messaggi piuttosto vaghi e generici che, pur appartenendo a un campo diverso da quelli thunberghiani, possono ugualmente essere condivisi da grandi masse di cittadini. La loro popolarità sembra in calo, anche a causa della polemica con il responsabile romano, Stephen Ogongo, a seguito della famigerata “foto di gruppo” dei capibranco con i Benetton – ironia della sorte, dei maestri di marketing – che ha portato all’uscita della sezione romana dal movimento. Tuttavia le sardine sembrano aver giocato un ruolo importante nella conferma del PD al governo dell’Emilia-Romagna lo scorso gennaio, e zitti, zitti cominciano a entrare nelle fila dei democratici (vedi il caso del loro coordinatore senese), un partito da sempre molto sensibile alle tecniche di marketing per fidelizzare i propri client… ehm, elettori.
Ciò che accomuna tutti questi soggetti – da Salvini alla Thunberg, passando per Grillo e Santori – è l’accettazione dei fondamenti del sistema. Con questo termine non si intende il semplice sistema politico, ma il sistema di valori vigente in gran parte del mondo, tutti di matrice liberale (o forse, per meglio dire, neoliberale). Ci sono dei distinguo, e ciascuno rappresenta il suo. Salvini si schiera su posizioni liberal-conservatrici, con l’ostentazione della fede cristiana e la lotta all’immigrazione clandestina, echeggiando le teorie sulla guerra di civiltà care a buona parte della cultura di destra.
Santori è sul lato opposto della barricata, e cerca di compattare la sinistra intorno alle idee di “bon ton” politico, tolleranza e multiculturalità. Il prodotto sardiniano è meno generalista rispetto a quello salviniano e, allargando l’orizzonte a temi più complessi e specifici, non offre risposte adeguate (vedi il grottesco siparietto tra Sallusti e Santori sulla prescrizione). E’ come per i farmaci: quello di Salvini allevia i sintomi di ulcera, gastrite e infiammazioni varie, mentre quello di Santori può equipararsi a un blando psicofarmaco, inadatto per casi più gravi di un’ansietta passeggera.
Il prodotto made in Sweden, l’ecologismo un po’ catastrofista della Thunberg, è quello che potrebbe dare i frutti migliori per un ripensamento radicale del sistema, se solo non ne fosse completamente soggiogato. Impensabile che una ragazzina qualunque si ritrovi, nell’arco di pochi mesi, dai banchi di scuola a colloquiare con Obama a favore di telecamere, fino addirittura all’audizione alle Nazioni Unite. Greta potrebbe essere una Giovanna D’Arco del 21 secolo, ma più probabilmente è un’operatrice di telemarketing, un po’ aggressiva, per aziende che vendono prodotti “green”.
A proposito di donne, nelle ultime settimane sembra che stia risalendo la figura di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha gridato ai quattro venti il suo target di riferimento, con l’ormai leggendaria esclamazione “Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana”: un modo fenomenale di rivolgersi a milioni di potenziali elettrici. Sembra che i sondaggi stiano dando ragione alla sua strategia, che prevede anche un approccio meno smargiasso di Salvini sui temi politici più sensibili per l’elettorato di destra (immigrazione, economia, rapporti internazionali).
Ma arriviamo al punto. Come si esce da questo cul de sac? Come possiamo tornare a definire i confini tra realtà e propaganda, tra slogan e proposte concrete, tra marketing e politica “vera”? La risposta non è semplice. Intanto bisognerebbe uscire dall’incantesimo dei media, rivolgendosi alle persone con i mezzi che si hanno (a meno che non si sia così bravi da inventarne di nuovi), evitando i “trucchi” della pubblicità e della programmazione neurolinguistica (settore in cui sembrano eccellere soprattutto i berlusconiani). Quel che conta maggiormente in ogni caso è la realizzazione di contenuti davvero innovativi e comprensibili, senza trucco e senza inganno. Partendo da un’elaborazione alta, culturalmente e politicamente, per arrivare “raso terra”, al sentire comune, come sono state in grado di fare le maggiori ideologie dei secoli scorsi. Non esistono scorciatoie, ma esistono le idee e le persone che possono lavorare al superamento dei meccanismi infernali che ci bloccano in un teatrino squallido. Si tratta di radunarle e metterle in connessione: a quel punto, nessuna trasformazione reale della società sarà davvero impossibile.
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