Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha ospitato a Parigi il signore della guerra dell’est libico, Khalifa Haftar, per un incontro sulle evoluzioni della crisi che Haftar stesso ha innescato il 4 aprile dello scorso anno, quando ha lanciato una campagna contro Tripoli per conquistare la capitale, rovesciare il governo internazionalmente riconosciuto e intestarsi il paese come nuovo rais.
Secondo quanto fatto circolare da fonti vicine all’uomo forte della Cirenaica, il capo miliziano libico – in Francia da ieri sera – oggi tornerà a Bengasi con in tasca “una serie di accordi militari e di sicurezza nel campo della lotta al terrorismo e alle migrazioni illegali” (fonte: Agenzia Nova). “Immagino che si tratti più che altro di propaganda haftariana. Non si può formalizzare niente con Haftar, e certamente i francesi non saranno così sprovveduti da farlo”, commenta con Formiche.net Arturo Varvelli, tra i massimi esperti del teatro libico, da qualche tempo a capo dell’ufficio di Roma dell’Ecfr.
La Francia già negli anni passati ha dimostrato una posizione ambigua sul dossier. Se da una parte appoggia ufficialmente il percorso lanciato dalle Nazioni Unite con il governo di Tripoli, dall’altra ha dato spazi (politici e diplomatici) ad Haftar, fornendogli anche assistenza militare. Sin dal 2016 – quando i corpi e i documenti di tre operativi del servizio segreto estero Dgse furono ritrovati tra i rottami di un elicottero haftariano abbattuto ad Agedabia dai ribelli di Bengasi. Con ogni probabilità svolgevano il ruolo di consulenti militari per Haftar. Prassi continuata con discrezione e costanza probabilmente anche durante l’attuale battaglia per Tripoli: si ricorderà che quest’estate missili anticarro Javelin di fabbricazione americana e venduti ai francesi furono ritrovati a Gharyan, est tripolino, in una postazione usata dai miliziani di Haftar come avamposto tattico per la campagna sulla capitale.
“È chiaro che quelle intese e quelle cooperazioni potrebbero essere reali, anche se non ufficializzate, però dobbiamo pensare che la Francia si muove da media-potenza e usa certi passaggi come l’incontro con Haftar anche per giocare partite più ampie. Per esempio, l’incontro di oggi è anche un messaggio a Recep Tayyp Erdogan“, aggiunge Varvelli. Il presidente turco oggi è a Bruxelles per parlare della crisi dei migranti nuovamente innescata dall’offensiva russo-siriana su Idlib, ma Ankara da qualche mese s’è intestata il ruolo di difensore di Tripoli, e sta fornendo appoggio militare alle milizie che combattono contro Haftar.
“Certo – continua il direttore dell’Ecfr romano – non possiamo sottovalutare il momento. Come sempre succede, Parigi cerca di giocare le sue carte approfittando della debolezza italiana. Era già successo nel 2011, quando causa crisi del governo Berlusconi fu fatto lo scatto in avanti contro Gheddafi, così come recentemente quando a Roma si faticava a trovare la quadra attorno agli esecutivi Conte. Ora i francesi sfruttano la crisi coronavirus che l’Italia sta affrontando. Possono muovere certe dinamiche perché a differenza nostra sono costantemente presenti, riuscendo a proiettare la forza politica e militare in più dossier contemporaneamente”.
La questione dell’epidemia sta già producendo problemi anche sul piano delle relazioni diplomatiche in effetti. Nei giorni scorsi era in programma una riunione del sistema diplomatico a due che Francia e Germania hanno esteso – solo per il dossier Libia – anche all’Italia, ma la riunione alla Farnesina è saltata. Secondo le fonti a disposizione la riunione è stata rinviata a data da destinarsi perché i funzionari francesi e tedeschi non avevano il nullaosta di viaggio in Italia. L’inserimento dell’Italia arriva insieme a una visita di Macron, in cui la Francia ha chiesto un coinvolgimento maggiore dell’Italia – “ma sempre sotto un allineamento francese”, chiosa Varvelli.
La crisi libica è attualmente in stand-by: dalla conferenza di Berlino che ha dato il via a un flebile cessate il fuoco, “non ci sono stati progressi politici, l’unica nota positiva è che negli ultimi giorni le violazioni della tregua sono diminuite, e io credo che sia anche dovuto alla presenza degli assetti militari, più o meno regolari, inviati dalla Turchia: per ora fanno da deterrente. Poi ci rientra il fatto che Turchia e Russia sono impegnate in altri dossier (la Siria, ndr) e che gli Emirati Arabi in questo momento stanno sempre dietro Haftar ma hanno leggermente allentato”.
Oggi Haftar ha rinnovato il suo impegno sul cessate il fuoco, sottolineando che però si riserva di riavviare le armi se dovesse essere attaccato dalle forse della Tripolitania. È una posizione usata già molte volte, con il capo miliziano dell’Est trova facili escamotage per violare le tregue.
Il due marzo il delegato speciale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, ha abbandonato il suo incarico, attualmente vacante, sotto stress per il non-procedere dei negoziati. Si parla che l’americana Stephanie Williams, l’attuale vice di Salamé, possa essere la sostituta, e a Roma qualcuno spera che possa essere un elemento in grado di aumentare l’attenzione degli Stati Uniti sul dossier: è così? “Williams è molto brava, tra l’altro ha acquisito grossa esperienza perché finora ha svolto lei tutti i ruoli tecnici. Però francamente non credo che nell’immediato possa cambiare qualcosa sul ruolo americano: ossia, il dipartimento di Stato è attivo, ma poi manca la volontà del decisore politico, e dubito che Donald Trump scelga, a pochi mesi dalle elezioni, di cambiare attitudine. Certo, le presidenziali possono essere un fattore in grado di cambiare le cose, ma questo lo vedremo poi”.
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