PRESTITO NAZIONALE/ Sapelli: ecco l’unica proposta che può ancora salvarci
di IL SUSSIDIARIO (Giulio Sapelli)
Le misure messe in campo dal Governo per sostenere l’economia non tutelano il tessuto produttivo. L’Italia rischia di finire in svendita
Palazzo Chigi (Lapresse)
Sino all’ultimo il governo di Giuseppe Conte ha discusso animatamente a chi doveva andare il controllo delle linee di credito da erogarsi alle imprese con il sostegno di garanzia statale alle banche: se alla Sace o se alla Cassa depositi e prestiti ( che – ecco il paradosso – controlla Sace).
Un confronto solo di potere e di potenziale sostegno elettorale (pari a quello che guida i Cinquestelle a ergersi a protettori di coloro che guadagnano meno di 35.000 euro annuali e che non hanno guadagnato nulla di più anche l’anno precedente) e non invece diretto a sostenere la produzione e la riproduzione sociale. A questo spettacolo dobbiamo assistere mentre la pandemia non è ancora stata domata.
Sconcertante la decisione di fissare a 25.000 euro la soglia per i prestiti con garanzia al 100% e senza la valutazione di merito delle banche. Per cifre superiori la concessione dei crediti richiederà tempi incredibilmente lenti e procedure complicatissime, che disvelano tutta l’ignoranza informatica e l’incapacità tecnica delle forze dominanti la nazione, a partire dai cosiddetti tecnici assunti nella sfera del potere.
L’ignoranza informatica, ripeto, sociologica e antropologica è sconcertante e dilagante. Non parliamo delle conoscenze in materia di politica economica.
Invece di una politica monetaria armonizzata con la politica fiscale espansiva e ad altissima rapidità di applicazione, grazie alle procedure online e di unificazione dei dati delle reti, si procede con meccanismi complicatissimi e di difficile erogazione, mentre si potrebbero porre in essere strumenti semplicissimi per sostenere le imprese che con grandi sacrifici, operai e imprenditori e i loro ceti medi, continuano a lavorare in condizioni di sanificazione e di prudenza straordinarie.
Penso al fatto che non solo il taglio del cuneo fiscale non è stato ampliato per favorire – per esempio – anche i bonus che molte più aziende di quanto non si pensi stanno erogando ai loro eroici dipendenti che non stanno a casa e costituiscono il bene più prezioso dell’Italia.
Eppure coloro che continuano a comunicare con grande “canglor di buccine” provvedimenti spesso inesistenti o tardivi o addirittura pericolosi (la patrimoniale vagheggiata) non riescono a porre in relazione telematica 5 milioni di partite Iva ai rispettivi conti correnti, così da versare ai detentori le somme da erogarsi – ed eccoci ai ritardi in merito alle reti. Se i limiti del fatturato volessero essere verificati, basterebbe unificare le reti dell’Agenzia delle Entrate con quelle delle banche (il governo Monti di fatto abolì il segreto bancario – solo! – a partire dai conti correnti dei risparmiatori, ma fu una misura che oggi può essere oltremodo utile) e quindi dal proprio domicilio con l’App delle banche si potrebbe vedere il finanziamento versato sul proprio conto corrente o su quello dell’impresa.
Invece il Pd avanza una proposta di patrimoniale che dovrebbe colpire chi supera gli 80.000 euro annuali di reddito dichiarato! Una misura terribilmente pericolosa per il solo fatto di essere annunciata in Parlamento. Ecco come agisce il governo!
Possono chiedere i 600 euro coloro che hanno un reddito inferiore a 35mila euro e che a causa dell’emergenza sanitaria hanno registrato una riduzione dell’attività e coloro che, con un reddito tra i 35mila e i 50mila euro hanno subìto una contrazione del reddito del 33% nel primo trimestre 2020. Ma costoro sono una parte poco produttiva e significativa dell’Italia che lavora. Certo, va pur difesa, ma le imprese che producono sono invece colpite e ferite.
Pensiamo a ciò che succede rispetto ai provvedimenti che pongono il settore bancario al centro del finanziamento delle nostre imprese mediante il flusso di liquidità promanante dalla Bce. Per le piccole e piccolo-medie imprese, le garanzie pubbliche coprono il 90% – e per una parte di esse anche il 100% – del prestito concesso; e per le imprese di maggiori dimensioni scendono all’80% o al 70%. Per le banche è conveniente offrire crediti in modo da accedere ai rifinanziamenti della Bce a tassi negativi (compresi fra il -0,25% e lo 0,75%). Eppure, non è scontato che l’iniziativa abbia successo.
La casistica e le procedure per la concessione delle garanzie sono così farraginose da allungare i tempi di applicazione: solo per le Pmi e per importi minori ai 25.000 euro si prevedono automatismi! Semplicemente pazzesco. Vi è, però, un altro pesante ostacolo che riguarda i tassi sui prestiti alle imprese. Il decreto prevede che le banche possano erogare i finanziamenti garantiti a tassi che non creino oneri finanziari maggiori di quelli sopportati su crediti privi di garanzia. Una regola del genere incentiva le banche a fissare i tassi alla soglia massima compatibile con la norma. Per ottenere i finanziamenti, le imprese italiane dovrebbero sopportare costi finanziari unitari che appena potevano sopportare prima della crisi pandemica. Un pericolo per la loro stessa esistenza. Si gioca la stessa sopravvivenza di una parte significativa del nostro apparato produttivo.
Quello che è veramente sconcertante è ancora altro ed è decisivo per comprendere il destino a cui si avvia l’Italia. Ossia essere consegnata da parte della “borghesia vendidora” all’asta internazionale che avverrà dopo l’applicazione delle misure europee. Infatti, esse sono di fatto legate all’attuazione di un sostegno economico alle banche attraverso la Bei per finanziare le imprese italiane e a un fondo da definirsi per lenire i drammi della disoccupazione anch’esso da definirsi. E poi di un Mes senza condizioni, certamente, ma diretto solo a finanziare le misure sanitarie. Con la creazione, così, di un ulteriore debito pubblico detenuto solo in parte dai risparmiatori italiani e invece prevalentemente da investitori internazionali.
Ma quello che è veramente sconcertante e che rende manifesta la rottura profonda del governo e delle forze politiche oggi dominanti l’Italia è il fatto che la recente proposta avanzata da Giulio Tremonti, da Ferruccio De Bortoli e in ultimo da Giovanni Bazoli – la figura rappresentativa della borghesia nazionale non vendidora, ma legata alle imprese locali da cui trae la sua stessa ragione d’ essere – non è stata neppure presa in considerazione.
Come se De Gasperi – nel nostro secondo dopoguerra – non avesse avuto sempre a mente quel costrutto economico, e quindi di potere situazionale di fatto, ch’egli chiamava il Quarto Potere. Esso contava e conta quanto e più del potere che promanava e promana dal corpo elettorale. Quello ch’io chiamo spesso sulle orme di Charles Lindblom, appunto, il potere situazionale di fatto, legato spesso alla rappresentanza funzionale piuttosto che territoriale.
La proposta Tremonti-De Bortoli-Bazoli consiste in un prestito irredimibile esente da imposta a lunghissimo termine e a bassissimo tasso d’interesse. Essa è importante e non solo per il riferimento storico che nella proposta è contenuta nella versione presentata da Tremonti, che è veramente intelligente dal punto di vista politico. Tremonti fa un riferimento che merita molta attenzione. Si tratta della citazione del discorso a tal proposito che Palmiro Togliatti pronunciò nel 1948 invitando gli operai a investire parte del loro salario acquistando i titoli del prestito per “la ricostruzione nazionale” che il governo centrista degasperiano aveva proposto alla nazione.
L’importanza del riferimento sta nel fatto che – come ci ha insegnato un’abbondante storiografia – in quell’anno comunisti e socialisti avevano di già abbandonato il governo per la durezza di quella guerra civile europea che iniziava a delinearsi tra Usa e Urss. Era una situazione assai diversa da quella verificatasi nel 1945, quando il governo Parri aveva lanciato con il ministro Soleri il “Prestito della Liberazione”. Esso era allora diretto ad affermare saldamente la presa del controllo del credito da parte della Banca d’Italia per arginare l’inflazione e nel contempo, anche in questo modo, ostacolare quel cambio della moneta che il ministro comunista del governo di unità nazionale Scoccimarro tentava di realizzare.
Il riferimento storico di Tremonti evoca, invece, l’inveramento di una politica che – come fu quella esemplificata dal prestito del 1947-1948 – sia diretta ad ampliare gli spazi di manovra delle economie e delle società che hanno firmato a suo tempo i Trattati che hanno dato vita e continuano a dar vita al costrutto istituzionale europeo. Un costrutto inedito nella storia mondiale, perché non fondato su una Costituzione simile a quelle che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra e che da tutti gli studiosi sono state definite come “post liberali”, perché imperniate su un corpus di diritti sociali (dal lavoro alla pace, financo alla piena occupazione e alla salute) inediti nella storia costituzionale mondiale.
Ma l’importanza decisiva, fondamentale, oggi, della proposta di un Prestito per la Ricostruzione dell’Italia deve essere intesa come un ridare la parola finalmente a quei popoli, e a quello italiano nello specifico, che debbono in questo momento riprendere in mano il proprio destino o ancor più modestamente la loro stessa sopravvivenza. Un Prestito Nazionale è fondato sull’unità di un popolo che si riconosce in una comunità di destino. Un proposito antitetico a quello del governo dall’alto dei popoli, esercitato da una tecnocrazia dipendente solo dal confronto di potenza tra le nazioni che continua in un gioco di specchi – come è tipico del costrutto dell’Unione economica europea che va radicalmente modificato.
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