Meno Caritas, più giustizia
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Alessio Mannino)
«Il momento è cruciale, la risposta è la solidarietà». No, signor Papa Francesco, la risposta non è un’equivoca solidarietà lasciata al volontario buon cuore del singolo, la risposta è un’altra e ha a che fare con il dovere della società di riscoprirsi un minimo decente. La risposta è la giustizia. A parte il fatto che non si capisce se Bergoglio opti per una fraternità anti-liberista come da omonima enciclica, per un “capitalismo inclusivo” che sa di supercazzola liberal, o semplicemente per le litanie general-generiche sulla disuguaglianza, facciamo presente che con il sentimento di solidale aiuto ai bisognosi si va avanti da circa duemila anni, e il bel risultato è l’eradicazione del senso di comunità causa trionfo del denaro sterco del demonio, molto più abile a insinuarsi nella psicologia di massa dei triti appelli alla bontà d’animo. Sì insomma, con la fraternité è già parecchio ardua, con la solidarieté ci incartiamo il pesce.
Fa piacere comunque che il capo di Santa Madre Cattolica Apostolica eccetera eccetera pensi alla «carità», nocciolo duro del messaggio spirituale cristiano che altrimenti rischia troppo spesso di scivolare sul terreno, anche troppo terrestre, dell’assistenza da Ong o delle ingerenze negli affari civili e politici, a cominciare dai diritti-doveri coniugali. Però, appunto, a ognuno il suo mestiere. Il Vicario di Cristo evangelizzi pure sul dare una mano ai neo-poveri da Covid, ma gli Stati pensino a come eliminarli, o quanto meno ridurli, i poveri. Vecchi e nuovi. Il nostro modello di economia li considera una tassa fisiologica da pagare alla libera iniziativa privata, secondo il dogma per cui ognun per sé e Dio – la “mano invisibile” del mercato – per tutti. Siamo una unione giustapposta di soci, una società appunto, e non una comunità, dove prima viene il bene comune a tutti, e poi, in seconda battuta, l’interesse individuale. Ecco perché ci siamo assuefatti alle fredde statistiche che ci parlano di 4 milioni di italiani che saranno costretti a chiedere cibo nei centri di distribuzione alimentare a Natale, o nell’aumento di persone sotto la soglia della sopravvivenza (dal 31% al 45% quelle che si sono presentate agli sportelli d’ascolto della Caritas, secondo Avvenire), o al buon terzo di imprese che temono di dover chiudere l’anno prossimo. Ecco perché il vituperato reddito di cittadinanza, che pure è solo una misura parziale, insufficiente e mal gestita se orientata a trovare un lavoro, è stato messo in croce da una canea di servi del padrone che esige un esercito di disoccupati di riserva, abbastanza numeroso per ricattare sui contratti flessibili, alias precari. Ecco perché il suicidio di un barista padovano rimasto a casa dopo le chiusure da coprifuoco serale è passato con l’indifferenza di un effetto collaterale della crisi, caso isolato anche se identico, nella sua tragicità, alle migliaia di altrettanti che ci siamo presto scordati aver riempito bare nella Grecia spossata e spolpata dall’accanimento terapeutico della troika Ue-Bce-Fmi (10 mila morti silenziose nel quinquennio 2010-2015). Ecco perché, alla radice di tutta la questione, sta la completa rimozione non del diritto, ma, repetita iuvant, del dovere di garantire la dignità di base a tutti, ma proprio a tutti i membri che fanno parte di quel tutto che è la civitas, la polis, la res publica o come diamine preferite chiamarlo.
Il volontariato può sopperire solo in parte, a mo’ di compensazione su cui fare affidamento fino a un certo punto, perché condizionato dalla libera, arbitraria e malcerta volontà dei generosi di sé. Ma è un palliativo, usato come foglia di fico dalla piccola politica di microbi che ben rappresentano nelle stanze dei bottoni il menefreghismo di fondo della mentalità individualista o familista, comunque amorale, dalla commozione facile e dal culo pesante. Grazie, volontari. Grazie, fratelli cattolici. E grazie, Santità. Però uno Stato degno di tal nome deve assicurare che nessuno resti in mezzo a una strada comunque, a prescindere dalle buone intenzioni: deve farlo e basta, per sua stessa natura. Altrimenti non è più uno Stato, tanto meno sociale, ma un accessorio del vero potere che regola nei fatti le vite dei sudditi di sua maestà il Mercato: il profitto. Senza profitto – dice logicamente dal suo punto di vista l’imprenditore – nada fiesta, niente assunzioni. Senza ricavi, nessuna sostenibilità. Senza entrate, fine dei posti di lavoro. Nel privato funziona così, e sta bene. Ma il pubblico dovrebbe essere lì apposta per colmare il vuoto, senza distinzioni, in automatico. Possiamo definirlo reddito di emergenza, o potremmo immaginare un reddito universale, molto più efficace e coerente (specie se abbinato, come ogni diritto che si rispetti, anche qua a un dovere, quello magari di rendere in cambio del tempo al servizio della collettività; ma stiamo già sognando troppo, in Italia non si riesce nemmeno a sostituire la leva militare, purtroppo abolita, con uno straccio di servizio civile obbligatorio).
E invece no. Benchè i grilli parlanti del liberalismo da talk show strepitino un giorno sì e l’altro pure perché non siamo abbastanza liberalizzati, aperti alla concorrenza, genuflessi a estinguere il debito, contriti di vergogna per la nostra mancanza di globuli scandinavi nel sangue, pur vivendo nel modernissimo Ventunesimo Secolo, messe da parte le residue forme di protezione ancora in piedi (cassa integrazione, indennità di disoccupazione e così via), tutte temporanee e vacillanti, a un certo punto un cristo può ritrovarsi solo, senza sapere come pagare le bollette. Fortuna che sono ancora in vita i padri e i nonni che campano con pensioni blindate, il famoso “welfare familiare” che ci salva letteralmente dal crollo. Quando però sul campo rimarrà solo la generazione degli attuali trentenni e quarantenni, il salvagente sparirà e ne vedremo delle brutte. Ma un assaggio di inferno arriverà anche prima, con tutta probabilità l’anno prossimo quando allo sblocco dei licenziamenti seguirà una carneficina di lavoratori su vasta scala. Allora non basteranno i caritatevoli sermoni. Bisognerà pretendere giustizia. E, possibilmente, anche farla. Buon Natale, figli di Maria Maddalena.
[fonte: Meno Caritas, più giustizia – L’ Intellettuale Dissidente ]
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