Dumbo razzista!
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Alessandro Carli)
“Disney +” stigmatizza la visione di “Dumbo”, “Peter Pan” e “Gli Aristogatti”: includono messaggi dannosi, razzisti. Che provvedimenti attueranno, allora, riguardo al feticismo dei piedi in “Cenerentola”? Cronache da un mondo folle
Ora ci manca che le associazioni animaliste si incazzino alacremente e chiamino le autorità per “l’incolumità psicofisica dei bambini” e per “la salvaguardia della flora e della fauna” perché Crudelia De Mon girava in pelliccia e, già che sono in ballo, facciano causa alla Disney perché La carica dei 101 è, tra le righe, un’apologia al randagismo e allo “scuoiamento” dei cuccioli di quattro zampe maculati.
La certezza: non andrò da qualche smanettone cinese a farmi censurare le scene scabrose della mia collezione di DVD. Col cazzo che ci vado. Così sono stati concepiti e girati, così li ho visti da piccolo, così continuerò a vederli. E pazienza se in vita “Uolt” fu accusato di antisemitismo quando a cavallo tra le due Guerre chiamò ad Hollywood Leni Riefenstahl per promuovere la pellicola Olympia sapendo che la regista tedesca aveva firmato una serie di film che propagandavano il nazismo. Quello che ha lasciato al mondo è un sogno.
Mi sono rotto le palle del new deal di Hollywood, della nuova morale yankee, del #MeToo, del revisionismo storico: sarebbe come mettere le mutande e i reggiseni alle sculture italiane che mettono in bella mostra cazzi e tette e culi, come se la visione del corpo umano potesse far arrossire i bambini “sotto i sette anni” o indispettire le autorità straniere. Se vado a una mostra, guardo anche quelle cose lì. Siamo nati nudi, dobbiamo ricordarlo a chi rompe i coglioni, a chi metterebbe una maschera al sorriso della Gioconda perché enigmatico e quindi non catalogabile (e quindi pericoloso perché potrebbe indurre in tentazione).
La notizia: dopo il polverone alzato dalla piattaforma streaming Hbo Max – ha messo Via col vento fuori catalogo perché è “razzista” e dà l’idea di una schiavitù buona (dimenticando che è, come ogni respiro e ogni rappresentazione artistica, sempre figlio del suo tempo) – la scure della censura si abbatte su tre capolavori dedicati (in apparenza) ai più piccoli: Dumbo, Peter Pan e Gli Aristogatti. Ma di certo non finisce qui: cosa dire di Alice nel Paese delle Meraviglie (che quest’anno compie 70 anni essendo uscita nel 1951) e dell’istigazione ad assumere sostanza psicotrope – la boccetta con su scritti “bevimi”, il pasticcino su cui è scritto “mangiami”, le ampie boccate di fumo aspirato dal Brucaliffo mentre attinge al suo narghilè, il tè dei matti dove è chiaro che nelle tazze non c’è il tè?
Quello che è accaduto: sui canali “Disney+” le tre opere appena citate hanno un’intro che ha il peso di una scomunica della Santa Inquisizione, di una firma a bruciare al rogo come è successo ad Antonia, la strega di Zardino raccontata magnificamente da Sebastiano Vassalli nel libro La chimera:
“Questa trasmissione include rappresentazioni negative e/o trattamenti negativi di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati quando sono stati messi in scena e lo sono ora. Piuttosto che rimuovere il contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, impararne una lezione e avviare una conversazione, per creare insieme un futuro più inclusivo”.
Chi straminchia sei per dire che “questi stereotipi erano sbagliati quando sono stati messi in scena?”. Eri presente e maggiorenne quando sono stati lanciati? Se lo eri, oggi sei un vecchio rincoglionito (Dumbo è uscito nel 1941, fate due conti: più vicino ai 100 che ai 90, alla faccia della paura). Se ti sei svegliato adesso, chiedi ai bambini di allora e di ieri quanto abbia influito sul loro equilibrio e sulla loro scelta politica il pezzo della canzone “E quando poi veniamo pagati, buttiamo via tutti i nostri sogni” che, sostengono i censori puritani armati di alabarde morali, suonerebbe irrispettosa verso gli schiavi afroamericani che lavoravano nelle piantagioni. La risposta? O una risata o una pernacchia. Ma di quelle rumorose.
Peter Pan? Nonostante i bambini londinesi lo vadano a trovare tutti i giorni poco dopo l’ingresso di Kensington Garden (se entri da Lancaster Gate e ti incammini verso Hyde Park, costeggiando il lago sulla destra trovi la sua statua in bronzo: è stata realizzata in una notte e si vede l’eterno fanciullo che suona il flauto sul ceppo di un albero, con fate, topini e scoiattoli tutti intorno: oh my God, un influencer d’antan che attira su di sé la flora del bosco per portarla verso la perdizione: cosa assume PP per non crescere?), “avrebbe” offeso i nativi d’America definendo Giglio Tigrato e la sua tribù con un appellativo da meritare il confino su un’isola deserta: “pellerossa”. Saremo in tanti quindi essere messi “al bando”, come in un reality show: ammetto che quando ero bambino e giocavo agli indiani, mettevo a intermittenza la mano sulla bocca per fare quel verso singhiozzante e interrotto per difendermi dai cow boy.
Shun Gon, il siamese con denti spioventi, gli occhi a mandorla e le bacchette – esattamente quello che si incontra ne Gli Aristogatti – è una caricatura sgradevole che ha vilipeso il popolo asiatico tutto intero, da quelli del Nord a quelli del Sud: un cliché nel quale ogni orientale si rivede (ovviamente ogni orientale ha visto Gli Aristogatti e altrettanto ovviamente ogni orientale si è sentito profondamente oltraggiato da quella maschera). Mentre è impegnato al suonare, Shun Gon dice: “Quando fanno il jazz a Hong Kong battono il tempo con il gong”. Una semplice rima, nulla di più. Ma va a cagare.
Meno male che i gatti hanno sette vite: già una se la sono giocata in Lilli e il vagabondo quando la Disney, alle prese con un live action, ha abbassato la testa e ha tolto i mici siamesi (Si e Am, i “nemici” di Lilli) con questa motivazione: “Discriminazione razziale nei confronti degli asiatici”. Eliminati. O finiti altrove, se abiti a Vicenza (ho sangue vicentino).
Poi toccherà allo Stregatto: che insegnamento può dare ai bambini un micio che appare e scompare? Cosa gli danno da mangiare i suoi padroni (sì, padroni, alla faccia del politicamente corretto) per renderlo così agile? E i suoi occhi gialli? E il suo sorriso enigmatico? Orsù, sicuramente ha letto i trattati di Albert Hofmann, lo scienziato svizzero che ha sintetizzato (e assunto) l’LSD. Il gatto del Cheshire è un potenziale spacciatore! È un droga(t)to! A morte il tossico!
Via quindi la scena di quando incontra Alice e le distilla (verbo pericolosissimo: istigazione all’alcol) la sintesi più pura del nonsense. Fottiti e muori.
Sempre nel 1951 Walt Disney fa uscire Domani a dieta!, un cartoon in cui si vede l’alter ego di Pippo alle prese con il proprio peso. La bilancia a un certo punto, stanca di misurarlo e di sopportare i suoi chili di troppo (Pippo tondo è davvero bizzarro se avete in mente com’è fatto, un fuscello lungo e secco e dinoccolato), si ribella e lo definisce “grasso come un porcello”. Un’affermazione che ha fatto saltare dalle proprie poltrone i portabandiera della tutela dei minori: dire “grasso” a un bimbo potrebbe farlo crescere pieno di complessi. Bollino rosso, specie oggi che devi essere eternamente bello e magro e con i muscoli disegnati e le sopracciglia definite e i capelli sempre a posto e i pantaloni strappati o con il culo basso che sembra che ti sei cagato addosso e i tatuaggi e i piercing e le autoreggenti e le scarpe con la zeppa che farebbero sembrare un Watusso pure il giudice nano di De Andrè. Anche se non lo vuoi, te lo impongono.
Sono seriamente preoccupato per Semola de La spada nella roccia: il suo nome equivale, più o meno, a “mezza sega”. Se lo scoprono, siamo nella merda e salta pure lui. Per le ragazze che non hanno ancora superato il complesso di Elettra poi c’è il Mago Merlino e la sua bacchetta magica (pensateci un attimo e provate a rivederlo con occhi analitici).
Li Sheng, il bellissimo e muscoloso principe di Mulan, è un invito – nemmeno troppo celato – a prendere beveroni e sostanze dopanti. Depilato, palestrato, forse “busone”: Mulan è una copertura al suo essere, come diceva Platone, “figlio della luna?”. Uno stereotipo, nel dubbio, da cassare all’istante.
Cenerentola non avrà vita lunga: il feticismo dei piedi (e il messaggio subliminale sotteso dalla scarpina di cristallo che calza) non va dato in pasto ai bambini perché potrebbe traviarli. E le bambine non devono illudersi che arriverà un principe sciantoso a tirarle via dalla miseria dei social e dalle brutture dei selfie. E bisogna poi stare attenti alle sorellastre, tutte potenziali “lezdom” pronte a divertirsi con la malcapitata.
E Biancaneve e i sette nani? Per Stephen Mitchell, psicoanalista statunitense nonché docente alla New York University, non ci sono dubbi: “Se il nome della protagonista è già un chiaro riferimento alla polvere bianca, quelli dei nani rappresentano i principali effetti dannosi derivanti dall’assunzione di cocaina”. C’è poi il capitolo legato all’incontro tra la ragazza e i sette personaggi: sono toy boy (per altezza, non per età) che lei svezza e istiga a una poderosa (e teorica) gang bang? Biancaneve è una ninfomane che si fa scopare in ogni buco possibile oppure è una dominatrice che li fa inculare tra di loro a mo’ di trenino?
Lasciamo ai più piccoli “TikTok” ma censuriamo i cartoni animati: l’ipocrisia che emerge (e che nasce) da un profondo e verticale vuoto di verità ci dice esattamente questo. Politicamente allineati e attenti a non offendere l’illusione del villaggio globale amico e integrato, si chiede di “rivedere” e “bollinare” Dumbo, Gli Aristogatti e Peter Pan – le cose passate sono più facile da imbavagliare –, dimenticando i veri pericoli della vita reale, molto più letali e melliflui. Io mi tengo gli schiavi americani dell’elefantino dalle orecchie grandi, i pellerossa e i gatti siamesi che suonano e che raccontano tanti luoghi comuni. Luoghi che conosco, luoghi che non fanno male e che non educano all’odio o a prendere le distanze dalla “diversità”.
Se mai avrò il privilegio di diventare padre di una bambina, la chiamerò Alice. Chissà che riesca a meravigliarsi – anche solo un po’ – quando vedrà il suo mondo. E pazienza se non sarà bionda, o se non avrà la proboscide di Dumbo oppure se sarà allergica al pelo dei gatti.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/disney-razzista-cancel-culture/
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