Non ci accaniremo sul nome, sul quale si potrebbe dire tanto (come abbiamo fatto in questi anni). Il problema in questa fase è lo spazio percettivo all’interno del quale si sta sviluppando l’ennesima ferita alla democrazia (residua). Si tratta ormai di una ferita aperta, che restringe sempre più lo spazio percettivo della collettività.
Nel frame teorico della scarsità dei soldi, della colpa di un eventuale spreco di ciò che è scarso, concesso con il contagocce (e meritato con il sangue), l’appello all’unità esercita un richiamo al quale è difficile sottrarsi. In uno spazio percettivo ristretto non ci sono punti di vista differenti, interessi diversi, dibattito, dialettica: il tempo stringe, le “occasioni” si perdono, le risorse scappano. Il dibattito si azzera e l’appello alla responsabilità appiattisce la visuale alle due sole alternative responsabili o irresponsabili?
Questa è la trappola del Recovery Fund. Il ricatto di perdere l’occasione di sempre.
Difficile tenere botta al coro unanime sull’unità del paese in questo momento drammaticose non si allarga lo spazio percettivo. Le risorse finanziarie non sono scarse. È vero, i problemi del paese richiedono una risposta tempestiva e competente, ma la competenza dei capi di governo non sta nel “trovare” le risorse finanziarie o convincere qualcuno a elargirle, è piuttosto la capacità di progettare politiche in grado di aumentare i posti di lavoro, non lasciare indietro nessuno, migliorare la qualità di vita delle persone e, per restare in tema pandemia, rafforzare la risposta del sistema sanitario di fronte alle emergenze.
In un contesto (volutamente) di risorse scarse, il ruolo del tecnico assume un ruolo di semidio; solo loro sanno trovare qualche centesimo in più tra le virgole dei regolamenti europei, solo loro sono in grado di ottenere un via libera della Commissione europea. Ciò che verrà percepito come autorevolezza altro non sarà che una negoziazione di deficit in cambio di riforme. Questo è meglio di niente? Certo, se si resta all’interno dello spazio percettivo di questa narrazione.
Qualsiasi governo non sarebbe stato in grado con una coperta corta di dare una risposta alla vastità dei problemi causati dalla pandemia. Anche il governo più competente. La responsabilità del governo uscente è stata quella di tacere sul fatto che quella coperta era corta. Anzi! L’ha descritta come estesa e abbondante (la narrazione della pioggia di miliardi del Recovery Fund). Chi di coperta abbondante ferisce di coperta abbondante perisce. E saranno i tecnici a gestire coperte abbondanti quando la politica non è in grado.
Lo abbiamo scritto più volte nell’ultimo anno: era necessario prendersi tutti gli spazi che la sospensione del patto di stabilità concedeva e contemporaneamente denunciare che quei vincoli altro non sono che sagome di carta, non realtà. Se non si dice esplicitamente che l’ampliamento del deficit non causa in natura nessuna delle catastrofi naturali narrate nei testi europei, si cade vittime dello spazio percettivo ristretto e delle minacce sul come “rientrare” dal debito generato. Non esiste un problema di tenuta dei conti pubblici quando la Banca Centrale fa il suo mestiere (almeno una parte del suo mestiere). In uno Stato che non è monopolista della valuta, la colpa è attribuita sempre al fallimento della politica invece che all’assurdità del sistema. Ma il tecnico prende sempre e solo decisioni politiche: le priorità del paese sono una scelta politica, fare una riforma o non farla è una scelta politica. L’interesse generale, a cui si rifanno gli appelli all’unità, altro non sono che interessi di parte a cui è data una priorità rispetto agli altri. In uno spazio percettivo non si riesce a vedere che l’oggettività è la soggettività del più forte. La narrazione della scarsità dei soldi riduce lo spazio percettivo con cui le persone interpretano la realtà, definiscono le priorità, ripensano la democrazia. E dimenticano la storia.
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