Il “modello Amazon” in Veneto è insostenibile
di Kritica economica (Andrea Maioli)
Il 15 febbraio un centinaio di corrieri di Amazon hanno scioperato davanti all’hub di Vigonza (Padova) per protestare contro i ritmi di lavoro incessanti ai quali sono costretti.
Abbiamo intervistato Romeo Barutta, segretario regionale FILT CGIL Veneto, tra gli organizzatori dello sciopero del 15 febbraio, per farci spiegare come Amazon stia utilizzando il Veneto come laboratorio per applicare il proprio modello aziendale. Un modello che si basa sullo sfruttamento dei lavoratori, soggetti ad un algoritmo che li costringe ad obiettivi di produzione incrementali, e precisamente costruito per tenere i sindacati lontani dagli stabilimenti.
Domanda: Innanzitutto, può spiegarci le ragioni dello sciopero? Per cosa stanno lottando i corrieri Amazon?
Romeo Barutta: Vorrei per prima cosa precisare che Amazon, in termini di articolazione societaria, si divide tra “Amazon Logistica” e “Amazon Trasporti”. In Veneto, Amazon Logistica è presente soprattutto nella provincia di Rovigo, dove ci sono due importanti strutture: una che occupa 300 lavoratori a Villamarzana, una a Castel Guglielmo, aperta pochi mesi fa, dove a regime avremo dai 1500 ai 2000 lavoratori in piena stagione. Amazon Trasporti, invece, si è insediata prima nella provincia di Verona, ma questo stabilimento non ha avuto il successo di quello di Padova. Quest’ultimo, infatti, oggi serve diverse province e, da una trentina di mezzi di due anni fa, siamo arrivati a oltre 400 in questo periodo, con 5 società appaltatrici distinte: i datori di lavoro dei lavoratori che hanno scioperato. A breve, stimiamo nei prossimi 12-18 mesi, ci sarà l’apertura di un sito sull’area Castelfranco-Resana, uno sull’area Vicenza, un altro su Treviso che dovrebbe essere a Casale sul Sile e l’ultimo sulla parte veneziana in zona Roncade. Per cui, nel giro di un anno e mezzo, Amazon sarà presente con i suoi hub di distribuzione in maniera capillare in tutte le province venete, arrivando, secondo le nostre stime, a coinvolgere oltre 1500 autisti.
Si tratta quindi di un settore che sta vivendo una stagione di sviluppo rapido e straordinario. Parallelamente, si osserva purtroppo un mondo di precariato altrettanto straordinario che coinvolge la stragrande maggioranza dei lavoratori. In questo caso non posso citare numeri precisi perché, nonostante ci sia una legge che vincola Amazon a comunicare al sindacato periodicamente l’assunzione dei lavoratori in somministrazione, purtroppo non abbiamo dati. Nessuno ce li comunica. I nostri delegati cercano di acquisire informazioni e ogni giorno scoprono che ci sono sempre più lavoratori somministrati e sempre più lavoratori a tempo determinato. Un’altra stortura contro la quale ci stiamo battendo è quella del part-time senza vincoli di orario e di giorni. Il contratto nazionale non prevede, infatti, il lavoro domenicale, mentre quelli di Amazon sono gli unici corrieri in Italia a consegnare la domenica. L’azienda sostiene di aver bisogno di maggiore flessibilità nella gestione del personale, flessibilità che ottiene tramite questi contratti part-time in cui giorni e orari di lavoro non sono chiari e che si trasformano in contratti a chiamata mascherati.
Un altro motivo che ha portato i lavoratori alla protesta è la precisa volontà di Amazon di mantenerli a distanza dal sindacato. La politica di precarizzazione dell’azienda è anche un modo per tenere bassi i livelli di sindacalizzazione dei lavoratori, scelta che viene direttamente dalla sede centrale statunitense. È evidente che un lavoratore precario è meno incline a aderire a uno sciopero o una protesta perché corre il rischio che il suo contratto non gli venga rinnovato. In tutto questo, stiamo parlando di lavoratori che durante la pandemia, ma a ben vedere fin dall’arrivo di Amazon in Italia, hanno tenuto un’intensità lavorativa insostenibile.
Intensità che non dipende dalla capacità del singolo lavoratore, dalla sua produttività o dal rispetto del codice della strada, bensì dall’algoritmo di Amazon, che si basa su quanti “stop” (consegne) sono stati effettuati dal corriere in un dato periodo di tempo, richiedendo di aumentarne sempre il numero. In questo modo si crea un ciclo senza fine: ci sono lavoratori che hanno iniziato con medie di 60/70 consegne al giorno e ora sono arrivati a doverne effettuare 160 e se uno è a tempo determinato cerca di farsi vedere più produttivo in virtù del ricatto di cui parlavo prima.
Sono partito, quindi, dalla precarietà perché, assieme all’intensità lavorativa, è il primo punto sul quale lavorare, dopodiché c’è un altro tema fondamentale che abbiamo portato alla ribalta nazionale ed è quello dell’orario di lavoro. I corrieri di Amazon, siccome sono inquadrati come autisti, vengono considerati lavoratori discontinui e, in quanto tali, la loro settimana lavorativa è di 44 ore, invece delle classiche 39/40. Questo in virtù di una legge del 1929. Ora, io penso che una legge del 1929 contemplasse l’uso dei cavalli e non l’organizzazione del lavoro attraverso un algoritmo.
Visti i ritmi lavorativi imposti da Amazon, pensare che questi lavoratori possano ritenersi discontinui è assolutamente inappropriato. Sono lavoratori sempre sotto pressione e, se hanno dieci minuti di pausa, non la possono fare certamente in un ambiente rilassante. Spesso restano sul mezzo, o comunque lontano da qualsiasi luogo dove potersi ristorare.
D: E immagino che crisi sanitaria e lockdown non abbiano migliorato la situazione…
Romeo Barutta: Certamente, è infatti un altro problema che abbiamo sollevato. Per lavoratori che partono la mattina presto e tornano alla sera, la questione dell’uso dei servizi igienici è molto importante. Con i bar chiusi spesso i lavoratori si sono trovati a chiedere di utilizzare i servizi nelle abitazioni dei clienti dopo una consegna, con tutti i rischi sanitari che questo comporta. Problema che è ancora più sentito per le donne.
Concludendo: orari di lavoro, intensità lavorativa, condizioni di lavoro, precariato e, infine, dobbiamo considerare anche la questione retributiva. Questi corrieri hanno stipendi che si aggirano intorno ai 1500€, lavorando 10 ore al giorno, senza che gli vengano riconosciuti gli straordinari. Bisogna poi considerare anche le ripercussioni personali di cui si devono far carico che vanno dal ritiro della patente a potenziali risvolti penali.
Insomma, in un paese civile, con un colosso che ha raddoppiato il fatturato è assurdo che sia questa la situazione.
D: Quali sono quindi le difficoltà per un lavoratore, ma anche per i sindacati, nel confrontarsi con il modello aziendale di Amazon che, per la parte del trasporto, fa un uso così importante di ditte in appalto?
Romeo Barutta: Noi non stiamo chiedendo ad Amazon di essere responsabile degli autisti assunti dalle società appaltatrici. Come tutti i committenti, però, è Amazon stessa a decidere le commissioni dell’appaltatore. Spesso ci confrontiamo con delle ditte appaltatrici che si dimostrano ricettive rispetto alle rivendicazioni dei lavoratori, ma che non hanno neanche gli occhi per piangere, non so se mi spiego…
D: Certamente. Amazon concede un prezzo troppo basso per i servizi richiesti a queste società appaltatrici.
Romeo Barutta: Se Amazon non vuole trattare con i sindacati, scelta che ovviamente non posso condividere, che almeno conceda alle società a cui si rivolge un minimo di marginalità che darebbe anche a noi dei margini di trattativa. Invece, queste società la loro marginalità l’hanno già completamente esaurita e ci rispondono quindi che le condizioni di lavoro non sono negoziabili. Per noi diventa inevitabile rivolgere le proteste contro Amazon; il problema è che Amazon non è assolutamente collaborativa. Nel corso di questi anni, abbiamo provato a confrontarci in diversi modi. Ormai Amazon non risponde neanche più alle lettere o alle richieste incontro. La loro risposta è sempre la stessa: sono un’azienda che in un periodo di crisi offre posti di lavoro a tempo indeterminato e che, da parte loro, si limitano a rispettare il contratto che hanno firmato con le società appaltatrici. Sostengono poi che, durante la pandemia, hanno applicato scrupolosamente tutte le norme di sicurezza. Io li inviterei, però, a salire su uno dei loro mezzi e ad entrare in contatto con 160/170 famiglie e consegnare pacchi a questi ritmi. Forse a qualcuno non è chiaro cosa significa fare questo lavoro.
D: Dopo lo sciopero, quali sono quindi le prossime azioni che volete intraprendere per continuare la lotta?
Romeo Barutta: Il prossimo passo è portare queste rivendicazioni alle istituzioni regionali. Abbiamo inviato una richiesta di incontro a livello regionale al Presidente della giunta e all’Assessore al lavoro proprio perché, se l’azienda non vuole intavolare rapporti con il sindacato, devono essere anche le istituzioni a farsi carico di questa di questa situazione. Questo perché, oltre che per i lavoratori, questa situazione è un grave problema per tutto il sistema economico regionale. Il sistema Amazon farà morire una quantità industriale di negozi di vicinato. C’è poi anche la tematica ambientale da considerare, solo da Vigonza partono 400 camion ogni mattina, di cui un centinaio diretti nelle aree urbane e nell’immediata periferia. Tutti si riempiono la bocca con il green e la sostenibilità ambientale, ma neanche uno di questi mezzi è elettrico. Come se non bastasse, recentemente Amazon ha cominciato a chiedere ai lavoratori la disponibilità, che per le dinamiche che ho descritto in precedenza diventa una disponibilità forzata, per arrivare a fare le consegne entro la mezzanotte, in modo da evadere gli ordini fatti al mattino dal cliente. Questo quadro è desolante, non solo per i lavoratori, ma per tutto il sistema economico veneto.
Fonte: https://www.kriticaeconomica.com/modello-amazon-veneto-insostenibile/
Commenti recenti