Come insegnare la teoria economica? A proposito di un recente libro di Mauro Gallegati
Da: Kritica economica (Stefano lucarelli)
1. Il mercato rende liberi?
Che il mercato non renda liberi lo si può leggere anche nelle principali opere dei pensatori liberali. Adam Smith ben sapeva che le dinamiche competitive potevano tradursi in una centralizzazione dei capitali e che la divisione del lavoro poteva condurre all’alienazione dei lavoratori (a meno che lo Stato non si fosse preoccupato di intervenire anzitutto organizzando la pubblica istruzione). Luigi Einaudi nelle Lezioni di Politica Sociale parlava di mercati che potevano funzionare grazie al cappello a doppia punta dei gendarmi e al ruolo necessario di altri pubblici poteri.
Ciò che rende interessante il libro di Mauro Gallegati è che dietro al titolo accattivante si nasconde un viaggio ben narrato e comprensibile ai non addetti ai lavori nei piani alti della teoria economica.
2. Una critica ai modelli neoclassici
Il libro comincia con un attacco ai modelli DSGE, le nuove vesti dei modelli EEG (equilibrio economico generale) utilizzati da molti decisori nel mondo economico nonostante debolezze analitiche e conferme empiriche insoddisfacenti. Vediamo come vengono descritti da Banca d’Italia:
“I modelli dinamici stocastici di equilibrio generale (dynamic stochastic general equilibrium, DSGE) descrivono l’andamento dei principali aggregati macroeconomici come risultato di scelte ottimizzanti di famiglie e imprese, che dipendono anche dalle loro aspettative. Combinando rigorosi fondamenti teorici delle equazioni comportamentali (microfondazioni) con la stima (o calibrazione) dei parametri strutturali, i modelli DSGE consentono di replicare l’andamento delle principali variabili macroeconomiche. Inoltre, l’identificazione dei parametri strutturali – che descrivono le preferenze individuali, i vincoli tecnologici e quelli istituzionali – consente di utilizzare i modelli per analisi di politica economica senza incorrere nella Lucas critique.”
Gallegati non sembra d’accordo con questo giustizio entusiastico.
La pars destruens del suo libro è un piccolo e aureo manuale dell’ottima polemica che applica uno dei consigli di Sun Tzu: “Conosci il nemico come conosci te stesso. Se farai così, anche in mezzo a cento battaglie non ti troverai mai in pericolo”.
Le prime armi imbracciate dall’autore sono colti e arguti riferimenti alla filosofia della scienza (Lakatos e Popper) e una certa utile conoscenza della storia della fisica. Esse servono da un lato a mostrare che a molti risultati insoddisfacenti ottenuti dalla scienza economica non si applica il falsificazionismo (probabilmente per ragioni di rendita scientifica e politica aggiungo io) e dall’atro che il pensiero economico dominante è fermo alla meccanica del XVII secolo, quando la fisica ne ha fatta di strada…
Nel libro non viene trascurata la critica sraffiana alla funzione di produzione neoclassica per ricordare che non si può sostenere l’esistenza generale di una relazione univoca fra saggio di profitto e capitale in un mondo con più tecniche di produzione; ma Gallegati non si ferma certamente al dibattito sul ritorno delle tecniche.
Egli sottolinea soprattutto la rilevanza di due teoremi che sanciscono l’impossibilità in un contesto di EEG di pervenire ad un punto di equilibrio stabile: il teorema di Sonneschein, Mantel e Debreu (1972-1974) e il teorema di Boldrin e Montrucchio (1986).
Secondo il primo – a parte in casi improbabili – la curva di domanda può avere qualsiasi forma. E ciò basta per ottenere nel caso generale sia equilibri multipli che equilibri instabili.
Boldrin e Montrucchio invece mostrano che un modello intertemporale di consumo ottimale con diversi beni capitale genera caos senza violare le ipotesi base dei modelli tradizionali. Infatti, le ipotesi che gli agenti razionali devono calcolare possono avere qualsiasi grado di complessità.
Si tratta di due risultati di estremo rilievo anche perché non sono stati ottenuti da un manipolo di coraggiosi e geniali studiosi di teoria economica appassionati di punti di vista sommersi e dimenticati nella storia delle idee (e con troppe simpatie socialiste), ma da studiosi che difendono l’approccio assiomatico alla teoria economica e sconsigliano strenuamente ogni cambio di paradigma.
“Questo – scrive Gallegati – solleva seri dubbi sulla plausibilità economica del concetto di equilibrio walrasiano che sta alla base di questi modelli [i DSGE]. Se l’equilibrio walrasiano può essere stabilito solo attraverso l’interazione di agenti che devono eseguire calcoli che sappiamo essere impossibili o impraticabili, come può essere il fondamento di un modello affidabile?” (p. 75).
La pars destruens non finisce qui, ma non voglio anticipar troppo ai lettori, a cui consiglio questo saggetto di 115 pagine, lettori che spero siano abbondanti soprattutto tra gli studenti universitari dei corsi di laurea in economia.
3. Gli agent-based models
Riassumo però il messaggio de “Il mercato rende liberi” con le parole del suo autore:
“L’economia è una disciplina sociale ed evolutiva, quindi complessa e di non equilibrio, perché gli agenti economici ‘pensano’, la struttura cambia nel tempo e l’informazione è limitata. Al contrario il mainstream – che si basa sulla fisica del Settecento – considera lo studio dell’economia come analisi di equilibrio di un sistema naturale e che non cambia nel tempo. La fisica del non equilibrio ha invece dimostrato che per analizzare l’evoluzione c’è bisogno di strumenti nuovi. L’ABM (agent based models ndr) è la metodologia più appropriata. E così come ‘equilibrio è un caso particolare del non equilibrio, il mainstream [almeno quello contemporaneo] è un sotto-insieme, un caso molto particolare e di impossibile esistenza, dell’economia della complessità.” (p. 23)
E veniamo alla pars construens. La logica retrostante agli ABM si potrebbe sintetizzare nel modo seguente: la natura è scritta (anche) in caratteri matematici, ma ciò non dà luogo a relazioni lineari e soprattutto complete. C’è sempre qualcosa di più, soprattutto quando ci concentriamo sul sistema economico e sociale. Ma andiamo con ordine. La scienza economica – per utilizzare ancora il contesto proprio della fisica – ha a che fare con atomi che pensano (e qui consiglio di andarsi a leggere cosa scriveva Keynes ad Harrod riadattando al contesto economico la leggenda newtoniana della mela che cade al suolo).
L’interazione di tanti agenti eterogenei fa emergere dei sistemi relazionali che per lo più assumono le caratteristiche di ciò che i fisici chiamano sistemi dissipativi e non lineari. Abbiamo pertanto a che fare con un insieme di elementi connessi tra loro la cui evoluzione avviene con scambi con l’ambiente circostante (per es. con cessione di energia o materia) che è lontano da una condizione di equilibrio e il cui comportamento è complesso, eventualmente caotico.
Molti problemi economici comportano un’interazione fra agenti eterogenei: per esempio gli studiosi che si rifanno ai Classici riconducono gli agenti a tre classi sociali (gli imprenditori, i lavoratori e i rentier) e i teorici del circuito monetario (ma anche Hyman Minsky) a banche, imprese e famiglie. Queste interazioni comportano a ben vedere – a meno di vincoli imposti dall’esterno – la non linearità delle funzioni di domanda ed offerta che emergono e dunque la presenza di equilibri multipli (è facile visualizzarli se si pensa all’intersezione fra due curve).
Già queste complicazioni emergono senza considerare l’azione dell’evoluzione tecnologica – un altro tema di grande rilevanza per coloro che si cimentano con gli ABM.
4. Connessioni e intrecci nella storia del pensiero
Sulle conseguenze normative di questo approccio (dunque sui consigli di politica economica cui perviene il lavoro di Gallegati e dei suoi coautori che sono richiamati nel libro) non mi soffermo in questa sede. Vorrei invece porre l’attenzione su un tema che mi sta molto a cuore e che mi pare si intrecci con i temi sollevati da questo libro.
Credo che la ricerca nell’ambito ABM potrebbe trarre vantaggio dagli studi che si occupano di dinamica economica strutturale. La condizione aggregata di piena occupazione e di piena spesa effettiva individuata da Pasinetti è infatti strutturalmente mutevole per varie ragioni: aumento della domanda pro-capite nei settori già attivi; nascita di nuovi settori; diminuzione del rapporto fra popolazione attiva e popolazione totale; diminuzione del rapporto tra tempo di lavoro e tempo libero. Come scrive Pasinetti nel suo “Keynes e i keynesiani di Cambridge” (2010, p. 256)
“Tutti questi movimenti ovviamente richiedono una dinamica strutturale dell’occupazione, con una mobilità del lavoro inter-settoriale tale da mettere in moto un processo di crescita economica entro il quale alcuni settori vengono chiusi […] altri settori si espandono, altri vengono creati ex novo”.
Mi pare che ci troviamo esattamente nel mondo che interessa Gallegati, un mondo di mercati incompleti in cui i vincoli di bilancio intertemporali non sono necessariamente soddisfatti (e se lo sono è by accident or by design, riscoprendo perciò il ruolo delle istituzioni diverse dal mercato). Si tratta di un mondo che si pone esplicitamente anche il problema di uno sviluppo sostenibile (o dell’a-crescita, come intitolava il nostro autore un altro libro di qualche anno fa più incentrato sulla relazione delicatissima fra economia ed ecologia).
D’altro canto, uno dei maestri di Gallegati è quel Giorgio Fuà che scriveva nel 1977 (p. 93 della ristampa 2013):
“Gli autori che si sono dedicati alle ricerche di uniformità statistiche nello sviluppo economico moderno hanno trovato differenze sistematiche tra le relazioni funzionali ricavate dalle serie storiche e quelle ricavate dai confronti spaziali. È stato anche trovato che confronti spaziali ripetuti a distanza di tempo mostrano uno spostamento dei coefficienti delle funzioni. Dunque, se si ritiene utile (come io ritengo) cercare di individuare certe leggi statistiche della crescita e dell’evoluzione strutturale dell’economia, nel senso di relazioni funzionali valide per più paesi, si deve comunque ammettere che si tratta di funzioni soggette a traslazioni nel corso del tempo (cosicché sorge l’ulteriore problema di individuare le leggi di traslazione”.
Mi pare che le diverse proprietà emergenti nei sistemi che gli ABM considerano quando si guarda a problemi di sviluppo economico abbiano anche a che fare proprio con le leggi traslazioni teorizzate da Fuà.
5. Portare gli agent-based models nell’insegnamento
Vorrei infine porre alcune riflessioni che hanno a che vedere con la didattica della scienza economica.
Come conciliare gli ABM con lo studio dei grandi economisti del passato? Ne nomino anzitutto tre: credo infatti che Adam Smith non possa essere ridotto ad un antesignano del laissez faire, che Schumpeter sia molto di più di un economista della crescita e che in Keynes si trovi una teoria delle aspettative e del loro governo che potrebbe essere finalmente studiata con attenzione proprio grazie agli ABM.
Ancora: perché non provare ad organizzare un vero e proprio corso introduttivo all’economia politica affrontando i problemi economici ricorrendo immediatamente agli ABM?
Infine: in che modo evitare di riprodurre idiot savants abilissimi nell’economia computazionale ma privi della capacità di contestualizzare storicamente e politicamente i risultati delle loro analisi?
In realtà a quest’ultima domanda una risposta la ho: ci vuole un percorso formativo davvero interdisciplinare proprio come quello che si intravede nel libro di cui stiamo parlando, dove alla matematica si assegna l’importanza che le spetta senza relegare altri saperi a “palude letteraria”.
6. Conclusione
Da studioso fiducioso nella supremazia delle (buone) idee sugli interessi costituiti, Gallegati conclude il suo saggetto con il tono perentorio di un uomo consapevole che il valore di una previsione sta soprattutto nella serietà del lavoro che la prepara e scrive:
“Il futuro dell’economia sarà quello di una ‘scienza sociale’ complessa empiricamente fondata dove strumenti – aspettative razionali o agenti eterogenei che non interagiscono né cambiano – finiranno accanto agli epicicli come memorie di teorie fallite”.
Ce n’è abbastanza per aprire una discussione.
Fonte: https://www.kriticaeconomica.com/insegnare-teoria-economica-gallegati/
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