Il furto della notte: l’inquinamento luminoso tra conseguenze e soluzioni
di SCIENZA IN RETE (Anna Romano)
In Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte, Irene Borgna racconta del viaggio che l’ha portata sotto i cieli più scuri d’Europa: un’occasione per riflettere sul problema, spesso sottostimato, dell’inquinamento luminoso, indagandone i danni che causa a noi e agli altri animali e le soluzioni per ridurlo. Dopo la lettura del libro, abbiamo fatto quattro chiacchiere con l’autrice.
Non ha il cattivo odore dello smog e non ci disturba quanto il rumore del traffico: la maggior parte di noi non è probabilmente nemmeno consapevole dell’inquinamento luminoso e dei suoi danni, che pure non sono meno importanti di quelli di altre forme d’inquinamento. Proprio al problema dell’inquinamento luminoso è dedicato Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte (edizione Ponte alle Grazie, 2021, 15 €), di Irene Borgna, divulgatrice in campo ambientale e guida naturalistica.
Un viaggio per raccontare l’inquinamento luminoso
L’International Dark-Sky Association, organizzazione no profit dedicata alla protezione dell’ambiente notturno e tra i principali riferimenti in materia, definisce l’inquinamento luminoso come “l’uso inappropriato o eccessivo di luce artificiale”. È una luce che disturba gli animali non umani in diversi modi, altera i nostri ritmi circadiani e, inoltre, ci priva di quel paesaggio notturno che pure ci ha accompagnato nella maggior parte della nostra storia: secondo il nuovo atlante della luminosità artificiale del cielo notturno, pubblicato su Science Advances nel 2016 (come aggiornamento della versione originale del 2001), la possibilità di vedere la Via Lattea (la “nostra casa nell’Universo”, come scrive Borgna) è preclusa a oltre un terzo dell’umanità.
L’approccio scelto da Borgna per raccontare delle conseguenze negative e delle possibili soluzioni a questa luce eccessiva è un po’ diverso dal solito: Cieli neri, infatti, non è un saggio in senso classico ma è, prima di tutto, una ricerca di quel cielo buio che abbiamo perduto. Ricerca che si svolge in camper, durante un viaggio la cui rotta
è stata tracciata seguendo le mappe dell’inquinamento luminoso invece che l’atlante stradale
Accompagnata dal compagno e dal loro cane, Borgna attraversa l’Europa risalendo dalle Alpi Marittime su fino al Mare del Nord, puntando alle località note per le loro notti ancora buie. In questo modo, Cieli neri diventa un’opera mista, un po’ libro divulgativo, un po’ racconto di viaggio. È attraverso le varie tappe del percorso che il libro porta a riflettere sull’impatto dell’inquinamento luminoso.
I danni sulla nostra salute sono noti da tempo ai ricercatori. Come spiegano Fabrizio Bianchi (primo autore anche dell’Atlante della luminosità artificiale) e colleghi in un articolo di qualche anno fa, l’esposizione alla luce durante le ore notturne diminuisce la produzione di melatonina e determina un’alterazione del nostro ritmo circadiano, con conseguenze che possono includere dai disturbi del sonno a quelli metabolici. Diversi autori hanno inoltre suggerito che i bassi livelli di melatonina potrebbero rappresentare un fattore di rischio per alcuni tipi di tumore.
In terra, in cielo, in mare
Forse ancor meglio documentati sono gli effetti sugli animali non umani: dagli uccelli ai mammiferi, infatti, la luce che prende il posto del buio durante la notte ha importanti conseguenze comportamentali ed ecologiche. Negli uccelli, per esempio, la luce notturna determina diversi effetti negativi che vanno dalle collisioni contro le costruzioni illuminate per i migratori notturni all’anticipazione delle ore di attività, alterazione della fisiologia riproduttiva e dei ritmi circadiani; ancora, l’inquinamento luminoso ha effetti importanti sui pipistrelli, per esempio sul foraggiamento delle specie insettivore, anche perché gli insetti stessi sono profondamente influenzati della luce notturna. Tanto, in effetti, che un articolo pubblicato a inizio 2020 suggeriva che l’inquinamento luminoso possa rappresentare un driver importante e sottovalutato del declino degli insetti. Per citare Cieli neri:
non servirebbe un sindacato per tutte le falene e gli insetti notturni di questo pianeta, attratti e truffati da luci inutili, troppo potenti e troppo blu?
Non sono risparmiati neanche gli ecosistemi acquatici. La luce artificiale di notte fa sì che, alla schiusa delle uova, i piccoli delle tartarughe marine si dirigano verso le strade illuminate invece che verso il mare; causa stress ai coralli; arriva a disturbare perfino i pesci e lo zooplancton nell’Artico. Insomma,
l’impressione è che dovunque un ricercatore si prenda il disturbo di sbirciare sotto le onde per verificare l’ipotesi che l’inquinamento luminoso faccia dei danni, trovi conferme
Inquinamento luminoso e diffusione di patogeni
Lo stretto rapporto tra noi e gli altri animali è stato ampiamente messo in luce dalla pandemia di Covid-19, ma vale la pena notare come le conseguenze delle nostre attività non partano solo da deforestazione o commercio di animali. In generale, alterare l’ecologia e il comportamento delle diverse specie significa mettere in moto reazioni a catena, spesso complesse. E questo vale anche per l’inquinamento luminoso.
A marzo, uno studio ha mostrato per la prima volta la connessione tra l’inquinamento luminoso e la diffusione di patogeni: analizzando dei polli in diverse aree della Florida, i ricercatori hanno infatti osservato come l’esposizione a bassi livelli di luce notturna coincida con un maggior rischio d’infezioni da virus del Nilo occidentale, che ne è influenzato ancor più che da altri fattori come la densità di popolazione umana.
E già in passato era stato mostrato come l’inquinamento luminoso allungasse il periodo d’infezione del passero domestico, potenzialmente favorendo la diffusione del virus.
Dopo la lettura del libro, abbiamo fatto qualche domanda all’autrice.
In Cieli neri, scrive che quando s’inizia a interessarsi d’inquinamento luminoso, all’improvviso lo si nota ovunque: cosa ha iniziato a notare in Italia, anche eventualmente come confronto rispetto alle altre tappe toccate durante il viaggio?
Quando siamo partiti, ero in linea con la media degli italiani, che considera l’inquinamento luminoso un po’ la Cenerentola tra le varie forme di inquinamento, una sorta di “male minore”, che ha come conseguenza solo quella di interferire con le osservazioni di una manciata di astronomi e astrofili nerd un po’ fissati. La consapevolezza dei veri guasti che causa l’eccesso di luce di notte e dell’estensione del problema è arrivata proprio quando, una volta che ci siamo decisi a partire in camper con l’idea di attraversare l’Europa sotto ai cieli più bui che fossimo riusciti a trovare, ci siamo resi conto che ne erano rimasti pochi, pochissimi.
Allora ho iniziato a leggere come una disperata per documentarmi: dov’era finita la notte? Chi l’aveva rubata? Ho domandato a persone che hanno dedicato e dedicano tempo, studio e passione alla lotta all’inquinamento luminoso, su tutti il professor Fabio Falchi e l’ingegner Diego Bonata dell’Associazione Cielo Buio, che mi hanno dedicato un sacco di tempo e cui sono molto grata.
E ho iniziato da subito a notare e ad annotare le cose che non andavano negli immediati dintorni di casa: punti luce sovrabbondanti che emettono luce fredda e che la spediscono dappertutto invece che solo dove strettamente necessaria, luci accese quando e dove non serve, insegne mal progettate, luci invadenti che filtrano da uffici deserti, parcheggi dimenticati e vetrine di negozi nel cuore della notte. In generale, in Italia tendenzialmente siamo sovrailluminati rispetto ad altri Paesi europei: siamo il Paese con la percentuale più elevata di territorio inquinato dalla luce artificiale a livello mondiale. Le notti degli italiani sono così illuminate che un quarto della popolazione non attiva più gli occhi nella modalità “visione notturna”. Spendiamo più di un miliardo di euro all’anno per l’illuminazione pubblica: abbiamo una potenza installata per superficie urbanizzata più che doppia rispetto a quella tedesca, doppia rispetto alla Francia e quasi quadrupla rispetto al Regno Unito. E usiamo impianti eccessivamente e inutilmente potenti, che sono dei veri e propri colabrodo di luce. Insomma, facciamo acqua, anzi luce, da tutte le parti.
Il libro non è dedicato solo ai danni dell’inquinamento luminoso ma anche alle soluzioni che abbiamo per limitarlo, che sembrano relativamente semplici da adottare e in più sono associate a importanti risparmi energetici. Qual è secondo lei uno degli esempi più positivi?
Il principio che ispira la lotta alla sovrailluminazione è semplice: perché le vie delle città siano sicure non deve esserci tanta luce, ma un’illuminazione di qualità che rischiara senza abbagliare, distribuita in modo uniforme con il minimo di punti luce, meglio se a luce calda, accesi solo quando è davvero utile. Ogni tanto quando si affrontano temi legati a problemi ambientali è umano farsi prendere da un senso di scoramento, ma per inquinamento luminoso le soluzioni tecniche ci sono già. Anzi, sono prescritte: la cosa più curiosa è che in molte regioni italiane abbiamo leggi ottime, quella che fa più arrabbiare è che non le rispettiamo. Una legge pionieristica ed efficace per contrastare l’inquinamento luminoso è stata per esempio quella della Lombardia, approvata nel 2000. Ce l’hanno copiata molti Paesi nel mondo, tra cui Repubblica Ceca, Slovenia, Cile, Francia. Nel 2012 l’associazione Cielo Buio ha denunciato con una lettera l’eccessiva fotofilia italiana e proposto delle soluzioni concrete. C’è mancato tanto così che fosse approvata una legge nazionale bellissima, che ci avrebbe fatto milioni di euro ogni anno, rivedendo in modo razionale l’illuminazione delle città italiane…
Come contribuenti dello Stivale, dovremmo farci qualche domanda su come vengono utilizzati i nostri soldi: la spesa elettrica per l’illuminazione pubblica nel 2017 è stata 1,7 miliardi di euro, pari a 28,7 euro pro capite rispetto a una media di 16,8 euro dei principali paesi europei… È il momento di mettere in pratica le misure di efficientamento che già sono disponibili!
E perché queste strategie non sono più diffuse? Può essere dovuto al falso senso di sicurezza che ci ispira a volte la luce?
Ci vuole una rivoluzione culturale! Siamo così abituati ad associare la luce alla sicurezza, che il solo prendere in considerazione l’idea di abbassarla di notte fa sentire noi, scimmie diurne che andiamo in panico quando i nostri occhi fanno cilecca, in tremendo pericolo. Ma non è vero che più luce vuol dire meno criminalità e meno incidenti stradali. Per esempio è dimostrato che troppa luce mal indirizzata può abbagliare i guidatori, e che luci bianche e intense cancellano più di quanto rivelano, accecando le vittime di violenza e persino le telecamere di sorveglianza. Al contrario, nei luoghi dove si è scelto di abbassare la luce nelle ore centrali della notte (succede in molti comuni in Francia) non è stato registrato un aumento dei reati o incidenti stradali. Si rimane a bocca aperta scoprendo la quantità di articoli scientifici che dimostrano la falsità di una delle nostre convinzioni più radicate, ovvero che i luoghi illuminati siano più sicuri (qui e qui solo un paio di esempi).
In Cieli neri evidenzia come l’inquinamento luminoso non sia solo un problema ambientale e sanitario ma anche un vero e proprio furto della bellezza del cielo stellato. Perché è così importante?
La lotta all’inquinamento luminoso non è solo una battaglia per astrofili frustrati. Sono in gioco l’ambiente, il risparmio energetico (e di emissioni di gas serra in atmosfera) ed economico, e la nostra salute. E c’è qualcos’altro ancora. Ogni luce dispersa verso il cielo sottrae alla notte una parte di bellezza, la rende un posto più banale. Al di sotto di un certo numero di stelle, il cielo perde la sua capacità di mostrarci l’infinito.. Con meno stelle, il gioco non funziona: il cielo diventa insulso e muto. Questa soglia magica innesca uno stupore antico, un’intuizione delle dimensioni dell’universo che può lasciare meravigliati e sgomenti, ma mai indifferenti. È quello che chiunque può sperimentare quando scende sotto magnitudine cinque, quando cioè si immerge in una notte sufficientemente buia da percepire il cielo in tre dimensioni. Personalmente, penso che il cielo sia di tutti e che una notte buia con i suoi doni (il mistero, il coraggio, la meraviglia, la bellezza, l’ispirazione, il senso di connessione) sia qualcosa che tocca le corde profonde dell’umano che spetta a ciascuno difendere.
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