Africa, Interessate Ammissioni di Colpa
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Per fronteggiare la Cina, il mea culpa di Francia e Germania
C’è fermento geopolitico, per il controllo dell’Africa.
In occasione della Giornata della Memoria, dedicata in Rwanda alle vittime del genocidio della etnia Tutsi da parte dal regime guidato dagli Hutu nel 1994, il Presidente Emmanuel Macron ha pronunciato a Migali un discorso quanto mai cauto sotto il profilo giuridico, ma con il quale ha invece pienamente riconosciuto la responsabilità politica della Francia per il sostegno dato al regime che procedeva con i massacri.
Non c’è stata nessuna complicità, dunque, ma una grave colpa politica che ora viene riconosciuta, ha affermato Macron, dopo che per troppi anni ha prevalso il silenzio rispetto alla ricerca della verità.
Macron ha chiesto quindi un “dono” al popolo rwandese: quello di concedere alla Francia il perdono per questa responsabilità ammessa senza infingimenti. Ed ancora, ha manifestato la volontà di ricostruire le relazioni sulla base si atti concreti, di altrettanti doni che la dimostrino tangibilmente.
Inutile dire che, essendo stato tutto preparato nei minimi particolari, il Presidente rwandese ha affermato che le parole usate da Macron per chiedere il “dono del perdono” sono state ancora più importanti del riconoscimento delle responsabilità politiche.
Parigi ha deciso di superare finalmente le tensioni che duravano da ormai venticinque anni, e che erano arrivate al punto che non solo in Rwanda era stata cancellata ogni traccia fisica della presenza coloniale francese, ma era stata addirittura chiesta la adesione al Commonwealth britannico ed adottato nelle scuole l’insegnamento della lingua inglese.
Lasciato il Rwanda, Macron sta proseguendo il suo viaggio ufficiale per recarsi in Sud-Africa, stavolta per rinvigorire i rapporti con la comunità francese che è insediata lì da secoli.
Neppure poche ore dopo, è stata la Germania a fare un passo nei confronti della Namibia, a sua volta riconoscendo la propria responsabilità nei massacri della popolazione nel 1906-1907.
Non c’è niente di strano, in questi tardivi riconoscimenti di responsabilità: c’è innanzitutto il tentativo della Francia di essere il pivot politico dell’Occidente in Africa, di fronte alla avanzata della Cina, che da anni fa accordi di sviluppo direttamente con i governi africani: finanzia infrastrutture, soprattutto opere civili e di trasporto, in cambio di materie prime, erogando prestiti intergovernativi. E c’è la necessità per la Germania di non farsi scavalcare in Africa dalla politica di appeasement giocata dalla Francia.
Il problema è contenere la strategia geopolitica della Cina, che in Africa rafforza direttamente i governi locali, offrendo alle loro popolazioni una più concreta prospettive di crescita. Pechino, infatti, spiazza il modello occidentale fondato sul libero commercio: per decenni, tutto è ruotato sui Trattati del WTO, che presuppongono una chiara divisione internazionale del lavoro.
Ai Paesi africani, infatti, spetta solo il ruolo di esportatori delle materie prime di cui sono estremamente ricchi e che servono all’Occidente; in cambio, importano manufatti e dei servizi dai Paesi industrializzati. Mentre le materie prime valgono assai poco all’origine, quando vengono lavorate, al di fuori dell’Africa, determinano immense ricchezze. Non solo l’Africa è stata mantenuta in condizione di sottosviluppo, ma le multinazionali occidentali hanno sfruttato subdolamente i conflitti tra i vari gruppi etnici, finanziando ora l’uno ora l’altro, ed alimentato la corruzione dei governanti.
In questo gioco si è inserita la Cina, cambiando schema: non ha solo interesse all’Africa per le materie prime, come accade per l’Occidente, ma anche per poter decentrare produzioni a basso valore aggiunto e crearsi nuovi mercati di sbocco.
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