Tanto per usare una frase fatta, distorcendola, si può dire tranquillamente ‘tanto tuonò che non piovve’. O almeno così pare. Il grande capo in pectore degli stellini (Giuseppe Conte, detto ‘Giuseppi’, detto pochette), sorvegliato dal guru in fatto degli stessi (Beppe Grillo), si è recato rumorosamente da Mario Draghi minacciando -anzi, facendo sapere che minacciava- sfracelli, e se ne torna tranquillo a casa sua. Borbottando fra i denti che certo così la ‘base’ (?quale base?) non sarebbe stata contenta e c’era da aspettarsi qualche reazione.
Ora, beninteso, che la riforma della giustizia sia aria fritta è evidente. Non è certo dire che devi finire il processo in due anni, che risolve la carenza di giudici. Non è certo creando una sovrastruttura ulteriore accanto al giudice che si risolve alcunché. Anzi, questa idea bislacca, di avere dei preparatori delle sentenze, è appunto solo una idea bislacca. Certo, vedremo come sarà fatta in concreto, ma resta il dubbio che un ‘ufficio‘ del genere, da un lato può determinare una reazione di rigetto da parte del giudice che si sentirebbe privato della sua attività, dall’altro potrebbe rivelarsi un boomerang.
Cominciando dal boomerang. Già mi pare di vederli gli stuoli di avvocati a contestare che il giudice non ha visto bene le carte, è stato influenzato da persone estranee alla funzione giudicante, eccetera. Poi, certo, moltissimo dipenderà da come effettivamente la cosa sarà gestita. Ma io, ho molte perplessità: quelle sono cose molto delicate e che coinvolgono interessi molto personali e ‘gelosi’, e mettere le ‘carte’ di un processo in mano a uno che (magari un genio del diritto, non dico di no) le può manipolare, vedere cose riservate che dovrebbe vedere solo il giudice fino alla emissione della sentenza, mi piace poco.
D’altro canto, se è vero che un giudice si può avvantaggiare del fatto che qualcuno gli faccia un po’ di lavoro di routine, è anche vero che potrebbe sentirsi ‘invaso’ nella sua autonoma libertà di scelta e di, appunto, giudizio.
Comunque, Conte credo che sostanzialmente andasse da Draghi a chiedere di dargli una mano, facendo finta di rivedere un po’ la norma sulla prescrizione, in modo da dare un po’ di polpa da digerire ai suoi, lasciando le cose come stanno. Tanto più che i ‘suoi’ ministri hanno votato a favore.
Certo, figuriamoci, gli stellini hanno la stessa massa di peli sullo stomaco che hanno gli altri nostri politicanti, ma un osso, come dico, si deve lanciarlo.
Anche perché, poi, Conte deve ancora essere eletto super-capo e, posto che la ‘base’ esista davvero, potrebbe anche essere poco propensa ad accettare un capo che perde di vista le loro istanze punitive.
Vedremo, ripeto. Non credo che alla fine vedremo granché, ma certo qualche piccola cosa Draghi la darà di sicuro.
Ma poi, a parte le sfuriate propagandistiche di Matteo Salvini, il resto del mondo politico sembra silenzioso e inattivo.
La mia impressione è che stiano tutti guardinghi e sospettosi. L’epidemia che riprende sta spiazzando tutti. Se la maledetta variante Delta si rivela minacciosa come appare, bisognerà rifare molti conti, e secondo me il mondo dei politicanti italiani è in un certo senso in apnea: aspetta di vedere che succede.
Certo, l’inconsistente Ministro della Pubblica Istruzione ha detto che la scuola riaprirà in presenza. Ma non ha detto come, né quando.
Ma specialmente sembra sia insensibile alla doccia gelata che gli è stata gettata addosso con le valutazioni Invalsi. Che parlano di studenti al livello da terza media. Che vuol dire che la didattica a distanza è solo una scusa, il problema è molto, ma molto più serio.
Si tratta di rifarla dalle fondamenta questa scuola e questa Università, se necessario partendo dai professori. Magari cominciando a spiegargli che la ‘verità’ non esiste: esiste la ricerca della verità, dove tutti sono ammessi in corsa, purché leali ed onesti intellettualmente. Sì lo so, cose complicate, lasciamo correre.
Dico solo una cosa: ho fatto il professore (male, tranquilli, malissimo) per anni, e, forse, avrò insegnato poco e male, ma ho imparato una cosa fondamentale. Se lo studente non è preparato, non ha capito, non si è in qualche modo appassionato, almeno l’ottanta per cento della colpa è del … professore.
E, da professore universitario dove la frequenza non è obbligatoria, ho imparato non solo che se ti impegni a fondo, gli studenti vengono a sentirti anche se gli costa un po’ di fatica, ma specialmente che, agli esami il ‘gap’ (voi sapete l’inglese, no?) tra gli studenti che hanno frequentato e quelli che non lo hanno fatto è enorme. In altre parole, all’Università come a scuola, tutto o quasi dipende dal professore. Del resto, la scuola che ho frequentato io tre secoli fa, era pessima, forse meno di oggi, ma pessima e, retrospettivamente, oggi mi rendo conto di quante cose non ho imparato a scuola. Oggi, ogni giorno.
Dopo il Ministro che voleva riempire gli studenti con l’imbuto e li desiderava intenti a correre a folle velocità sui banchi a rotelle (queste sono le cose fatte dal predecessore dell’attuale), l’attuale non mi sembra che abbia in mente alcuna riforma, alcun tentativo per ridare alla scuola la sua funzione primaria, che non è, caro Ministro, insegnare bene la aritmetica e la computisteria, ma formare persone consapevoli e colte.
Figuriamoci.
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