Nuovo numero del giornale L’Urlo della Terra – Editoriale
di Resistenze al Nanomondo (redazione)
Il fascismo ed altre dittature nel loro processo trasformativo hanno sempre messo in campo anche un nuovo modo di contare il tempo. Nello specifico partivano da loro stessi, dalla nuova era che andavano ad instaurare. Dopo oltre un anno dall’inizio dello stato di emergenza, che l’Ex capo della BCE non è ancora disposto a sospendere, sappiamo che niente sarà più come prima. L’idea di fondo non è quella di aiutare l’umanità a superare il virus, ma piuttosto quella di adottare un nuovo paradigma che d’ora innanzi si preparerà a governare le nostre vite. Anche se nessuno ha proposto nuovi modi di contare il tempo, questo d’ora in poi sarà sempre più scandito e regolamentato.
Non pochi hanno pensato a questo periodo di dichiarata pandemia come a un’occasione per rimettere in gioco tanti fattori, in particolare quelli economici, non pochi hanno dichiarato la fine del capitalismo, se non a livello internazionale almeno quello cinese. Ma il virus non ha dato e non darà nessuna nuova possibilità. L’emergenza virus ha lasciato solo individui sempre più isolati con un senso di comunità ancora più disgregato. Dove ognuno è preoccupato affannosamente per la propria sopravvivenza non vi può essere spirito di solidarietà perché non può partire per sua stessa natura dalla distanza, questa riproduce solo se stessa, la solidarietà è altrove.
Durante le chiusure obbligatorie, pensandosi come consumatori, insieme ad altri milioni se non miliardi di consumatori, non in grado di consumare e con l’illusione di poter così incidere in qualche modo sui mercati, in tanti hanno pensato che l’economia avrebbe avuto un tale scossone da dover ripensare interi processi e che di conseguenza avrebbe fatto presto marcia indietro. Eppure mai abbaglio è stato tanto grande e non solo per l’ovvio trasferimento online degli acquisti. Il sistema che ha orchestrato consapevolmente queste chiusure disastrose per tantissime piccole aziende, lavoratori autonomi, piccole produzioni , lavoratori in particolari comparti… è già andato oltre, organizzando un futuro senza di loro. Si sono visti bibliotecari che con scrupoloso impegno riempivano le emettitrici di libri automatiche per scrupolosamente evitare i contatti, senza pensare che a breve quelle macchine diventeranno i nuovi bibliotecari, in attesa che tutto si trasferisca online chiudendo definitivamente le biblioteche con i loro libri di carta.
Il processo di resettaggio non ha nessuna etica, è pronto a mandare al macero milioni di occupazioni, a stroncare esistenze, comunità, interi paesi senza curarsi se non del proprio programma e ovviamente della propria esistenza. A Marzo con le prime aperture si sentiva gridare in piazza NUDM rivendicando un reddito universale, proprio quello a cui stanno lavorando gli artefici della Grande trasformazione. Ma questo reddito non andrà considerato come il vecchio sussidio degli anni ’80 in Inghilterra, che rese possibile un’esplosione impressionante di movimenti sociali, tanti giovani con molto tempo e un po’ di soldi. Qui l’aspetto sarà diverso, verrà data una carta accompagnata da precise prescrizioni che diranno cosa, dove e quando fare acquisti, che sarà mantenuta solo a particolari condizioni di comportamento sociale e probabilmente anche sanitario. Arriveranno a scandire le abitudini e gli stili di vita di tantissime persone sotto ogni aspetto, dal più banale fino al più importante e intimo. Il reddito di cittadinanza è stato un esperimento in questo senso e non è certo un caso che a proporlo sia stato il partito digitale di Casaleggio.
Se in principio è stata guardata con odio la Cina come l’untrice per eccellenza, dopo la sua gestione dell’emergenza l’Europa si appresta a comprare o fare proprio come modello il suo sistema di sorveglianza digitale tanto efficiente per la gestione dell’epidemia come per controllare qualsiasi oppositore interno al regime. Quei goffi tentativi come l’app immuni non devono far pensare che l’esperimento sia finito qui, le tecnologie di punta ci sono già tutte, manca solo l’infrastruttura di rete con il 5G e 6G, nel mentre l’addestramento umano tra condizionamento e distanziamento è già a pieno regime.
Come dopo un conflitto bellico sentiamo parlare di ripresa dell’economia, il particolare non da poco è che in questa “ripresa” non stanno intendendo l’economia materiale, ma soprattutto quella immateriale che ha già iniziato a spazzare via interi comparti considerati obsoleti per dar via a quel salto tecnologico dove ovviamente la grande finanza farà da padrona. La nuova direzione in cui si sta spostando il mercato ben finanziato e sostenuto ovunque, sia che si tratti di settori privati sia pubblici, è quella dei Big data, veicoli a guida autonoma, tecnologie di ingegneria genetica, servizi finanziari digitali, telemedicina, Internet delle cose, idrogeno, gentrificazione su vasta scala… Quindi per una certa èlite nel nuovo cambiamento la forte recessione legata alle chiusure è stata solo un vantaggio economico, ma successivamente anche di politica-gestionale visto che le sue ideologie e visioni di mondo sono trasferite nell’agenda dei vari governi ed applicate puntualmente.
La pandemia ha mostrato che lo stato di eccezione, col quale da tempo i governi ci avevano familiarizzato, è divenuto la condizione normale. Se al tempo delle politiche d’emergenza per il terrorismo islamico era richiesto un tacito consenso alle sempre più stringenti politiche securitarie su scala globale, nella nuova emergenza sanitaria ci si richiama ad un preciso senso di responsabilità reciproca e collettiva, che va ad impregnare completamente il nostro vissuto: sia nel posto di lavoro o nei nostri più stretti affetti. In questo senso di responsabilità si nasconde il grande inganno, per l’èlite tecno-sanitaria è la chiave di volta per legarci come non mai tutti assieme con precisi parametri universalmente riconosciuti: un’unica lingua per descrivere gli eventi ed un unico modo per farvi fronte. In questo senso di responsabilità tanto siamo vicini eppure come non mai ognuno è lontano dall’altro. L’efficacia di questo strumento sta nel corrispondere al nuovo modello di società digitale, dove il singolo individuo munito del suo smartphone inseparabile ha la possibilità di trovare un senso, può proteggere se stesso e i suoi cari e allo stesso tempo ridistribuire a livello sociale il suo impegno, che adesso è ben visibile e percepibile dagli sguardi tra mascherati. Se l’app Immuni non fosse stata momentaneamente messa da parte, ci saremmo ritrovati ad essere circondati da individui perennemente in ansia per l’esito delle scansioni dell’app sullo smartphone. In Cina modelli simili di app avvisano con estrema precisione non solo la vicinanza di ogni singolo soggetto presente in un database come contagiato, ma anche stabili e quartieri dove gli stessi malati o contagiati sono confinati, con preciso invito ad allontanarsi. Modelli simili sono stati usati in Israele per certificare i vaccinati e per discriminare chi non lo era. Abbiamo quindi molte modalità a seconda del paese e retoriche diverse per promuoverle. Solo perché in Italia si farfuglia ancora di privacy non bisogno pensare di aver scampato il pericolo, gli ingredienti della nuova trasformazione hanno tutti queste caratteristiche e vanno in quella direzione. In futuro come ci ricorda il presidente del WEF Klaus Schwab, la distinzione tra Paesi con un alto e un basso costo di produzione, oppure quella tra mercati maturi ed emergenti, sarà sempre meno rilevante. Sarà invece importante capire se un’economia è capace di innovarsi. Quindi chiedersi o sperare che il sistema di dominio si arresti su base volontaria nella combinazione dei propri disastri è speranza vana. Anzi, pensarlo significa ancora una volta aver rivestito il sistema di principi etici o pensare che ci sono scienziati che non andranno oltre, la storia passata e recente ci ha dato sempre dimostrazione del contrario.
L’inganno biomedicale come era prevedibile ha trovato più adesioni che resistenze e ha trovato tutti piegati allo stato di eccezione. La limitazione dei diritti fondamentali o la loro vera e propria soppressione è stata accettata senza colpo ferire. L’intera società si è trasformata in una quarantena, con individui deboli e spaesati che quasi ringraziano di essere sopravvissuti. Nel modo diffuso di pensare la normalità si è arrivati a credere che questa sarebbe arrivata adottando quel senso di responsabilità, una normalità che concretamente per i più significa non avere problemi o giudizi al lavoro, a scuola e poter andare in vacanza. Come un’infezione questa responsabilità ce la porteremo dietro non poco, sicuramente fino alla prossima edizione del Coronavirus di cui già ampiamente ci stanno preparando.
Dopo oltre un anno e mezzo di questa situazione che lezione se ne può trarre? In mezzo allo sbandamento iniziale chi comincia a muoversi e senza timori critica apertamente questa trasformazione così profonda e radicale che mira proprio ai corpi? Sicuramente ancora in pochi e quasi sempre viene fatto in modo parziale e settoriale. La scusante della piazza troppo eterogenea porta molti, soprattutto anarchici, antagonisti e di sinistra, a tenersene lontano, denunciando le infiltrazioni di destra, come se quelle che fa a sua volta la sinistra chiedendo tamponi e vaccini senza brevetto per tutti non fossero infiltrazioni, non solo, con la differenza di confermare l’attuale assetto di dominio sui corpi per una società tecno-medicale a misura di pandemia. Sono sicuramente tempi strani quelli che stiamo vivendo, necessitano probabilmente di un nuovo modo di guardare e intendere la realtà. Cos’è adesso un movimento di base quando di fronte vi è una società schiacciata tra uno stato di polizia da una parte e la propria isteria della sopravvivenza biologica dall’altra? La questione dei così detti vaccini o meglio piattaforme di riprogettazione cellulare non è da poco. Questi tempi di campagne vaccinali sono un’importante spartiacque, perché confermare o addirittura promuovere l’apparato biotecnologico, tra l’altro senza neanche l’autorità alla porta, è un segno molto chiaro. Senza neanche l’obbligatorietà in tantissimi anche da ambienti più critici sono corsi a farsi sparare il siero biotecnologico in corpo e magari fino al giorno prima criticavano Big Pharma, la vivisezione, il potere sui corpi. Cosa può essere successo? La paura di morire con quelle basse percentuali? La paura di perdere il posto di lavoro? L’omologazione? Ancora una volta quel senso di responsabilità ben instillato nei cervelli? Questo è la conseguenza di non aver mai avuto un’analisi critica verso quello che rappresenta la scienza e la sua convergenza nella tecno-scienza sui corpi tutti resi oggetto da esperimento e sull’intero pianeta. Una mancanza nel tempo di analisi e di priorità di lotta che ha portato oggi a non avere neanche gli strumenti per comprendere questi processi.
Un movimento di critica all’esistente potrà essere tale senza una critica a queste pratiche biotecnologiche? A nostro avviso assolutamente no, certe derive impaurite anche delle sole minacce da parte del sistema andranno considerate sicuramente come complici della società che si sta delineando. Servono idee e principi chiari verso questa dittatura tecno-medicale, chi aveva il coraggio durante il fascismo perse tutto per non firmare la riforma Gentile dell’insegnamento, confermare adesso l’educazione a distanza è portare bambini e ragazzi verso la lobotomizzazione del pensiero dandoli poi in pasto ai camici bianchi. Fa pensare che in molti contesti più radicali le questioni di questi “vaccini” e in generale della digitalizzazione o non vengono nemmeno dibattute o se ne discute insieme a tante altre cose. Questo dimostra il non avere compreso quello che sta succedendo o se invece si è compreso allora si è deciso da che parte stare. Questi temi della Grande trasformazione sembrano un qualcosa che sta nel mezzo, da cui si può anche prescindere, ma non è così, qualsiasi critica radicale o semplicemente antisistema deve partire per forza di cose da queste trasformazioni, perché non sono attuate per scorrerci a fianco e lasciarci libertà di scelta. Vi è un’agenda ben precisa e si cercherà di farla rispettare ad ogni costo.
La Grande trasformazione porta agli estremi quello che era un cambiamento già presente da diversi anni, intervenendo con nuovi stili di vita e anche nuovi approcci al lavoro che dovrebbero far ripensare chi ancora oggi parla di lotta di classe. A causa della digitalizzazione e ovviamente della maggior disoccupazione e spaesamento frotte di giovani e meno giovani si sono gettate verso opportunità occupazionali date dai siti internet, app, piattaforme web, come completamento del processo di precarizzazione e atomizzazione del lavoro. Flessibili nel modo più assoluto, senza orario e disponibili a tutto, andando oltre il concetto di precariato, la richiesta è un servizio permanente, magari pensandosi imprenditori di sé stessi, liberi di lavorare in ogni momento. La rete diventa la grande fabbrica e le piattaforme digitali i nuovi mezzi di produzione che, sotto la maschera dell’auto-imprenditorialità, nascondono l’ulteriore sfruttamento del lavoratore. Il datore di lavoro diventa la piattaforma, la cui proprietà non è del lavoratore ne della collettività, ma appartiene ad un padrone invisibile, che trae profitto da migliaia, milioni di individui che gravitano intorno a un algoritmo, con l’illusione di essere indipendenti.
Sfuma quindi ogni riferimento con cui abbiamo analizzato la realtà fino adesso, dove il padrone si smaterializza nel digitale e lo sfruttato non può che far fronte ad un muro di algoritmi con cui non è possibile discutere e soprattutto con cui è vana ogni protesta. La stessa analisi di classe viene pugnalata a morte dove lo stesso lavoratore si sente parte dell’impresa, come se in un certo senso l’immateriale trasformasse le carte in tavola pareggiando i ruoli.
L’operaio che lavora nelle linee del Mirafiori a produrre mascherine potrà rivendicare le proprie ragioni quando ad essere prodotte in vari reparti sono proprio le inutili pezze contro il Coronavirus? O sarà trattato alla stregua di un disfattista irresponsabile che non sostiene lo sforzo collettivo di rinascita? E quando tante delle produzioni andranno in questa e altre direzioni che ne sarà della lotta di classe o semplicemente del resistere?
Un aspetto di questi tempi che non può non attirare la nostra attenzione, soprattutto per come si è diffuso praticamente in ogni ambiente, è un certo tipo di linguaggio con le sue precise parole. Ci riferiamo a “complottista” e a “no vax”. In tempi di risignificazione dei contenuti e di perdita di senso queste brevi parole permettono di esprimere un’opinione senza aver bisogno di aggiungere altro e senza il bisogno di ulteriori analisi e riflessioni per arrivare a produrre un pensiero compiuto. Sono formule ormai di uso comunissimo, ma non esprimono praticamente nulla, anche perché si può essere contro o critici verso qualcosa in tanti modi diversi. C’è differenza nell’affermare che il virus non esiste o nell’affermare quello che è stato possibile fare con il pretesto del virus. Eppure tutto riporta a quelle magiche parole che di fatto permettono in un colpo solo di posizionare una manifestazione, un oratore, se non un intero movimento verso un qualcosa di ambiguo, sospetto, soprattutto quando non li si può additare di essere di estrema destra. Queste parole, ma potremmo dire questi approcci, sono altrettanto gravi perché vanno ad alimentare lo smarrimento e la confusione soprattutto di coloro che non credono più in quello che vedono e ancor meno in quello che sentono, per farli al più presto rientrare nell’alveolo del razionalismo scientifico o nelle alternative di vaccini cubani e app solidali.
Se è vero che tanta è la confusione che ci circonda, per chi ancora non l’abbia trasformata a sistema di vita per non prendere mai una posizione soprattutto se scomoda o per usarla come scusa per non agire, resta di approfittare dei tempi stagionali. Sappiamo che al consueto calpestio del pianeta ad uso turistico corrisponde anche la nostra breve apertura, perché sappiamo che questa emergenza non è certo finita, perché hanno visto che funziona. Allora è necessario buttare al macero la pezza che ci tappa la bocca e tornare ad incontrarci il prima possibile nel caldo estivo, in piccoli e grandi gruppi per conoscerci, condividere, confrontarci ed organizzare una nuova resistenza che non può partire solo da qualcosa di alternativo, se noi non siamo un problema per loro, e lo siamo, loro lo devono essere assolutamente per noi.
Bergamo, Luglio 2021
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