Pro-vax e No-vax tra credo e fiducia: la cura per le divisioni sul vaccino è la cura alla fiducia sociale
di La Fionda (Elisa Moro)
Il vaccino e la questione Green Pass ha acceso le più violente discussioni pubbliche e politiche. Dibattiti televisivi, editoriali, columnist di ogni sorta, opinionisti in televisione, articoli, video, influencer, post su Facebook: una quantità sterminata di luoghi in cui le posizioni contrastanti si scontrano all’ultimo sangue.
Questo fa parte della possibilità che offrono i social e internet in generale, di generare e condividere illimitatamente opinioni e informazioni nel quale l’utente si deve districare in solitudine. Ma questo fa anche parte della democrazia in cui viviamo, della forma che ha e il gioco di contrasti è l’essenza di qualsiasi discorso collettivo.
Ma che cosa succede quando i contrasti non hanno uno spazio comune di comprensione reciproca? Quando non c’è nessun mediatore all’orizzonte? Quando nessuno favorisce il dialogo ma c’è solo chi esacerba la divisione tirando fuori l’inflazionatissima separazione tra “noi” e “loro”?
Da quando la pandemia è iniziata, e in particolare i lockdown, c’è stata fin da subito una scissione tra salute fisica e psicologica, in una tensione costante tra il corpo individuale e quello collettivo, ma nessuno si è occupato della salute e del benessere psicoemotivo collettivo, tranne quando – giustamente – si è affrontato il tema del pericolo dell’aumento delle donne vittime di violenza chiuse in casa con i loro partner o la complicata gestione della vita familiare con i bambini e ragazzi in DAD e lo smartworking.
C’è qualcosa però che spaventa e deve spaventare e di cui nessuno parla: l’odio. Odio viscerale, che prende forma e si manifesta in un discorso che sembra una caccia alle streghe, l’ennesima occasione per dimostrarci come sia così facile odiarci e non sapere davvero ascoltarci. Odio pubblico che non si limita a quello social ma contemporaneamente anche l’odio privato. Ho esperienza diretta di come il discorso virus e vaccino si insinui nella rete familiare tanto da comprometterla e -non così difficilmente- distruggerla, di persone amiche che hanno rotto legami, o che non si sentono a loro agio a parlare della loro opinione, delle loro paure. Il vaccino è un tabù. E quando lo si sdogana diventa uno spazio troppo grande da poter essere colmato con il dialogo.
Se sulle piattaforme social gli scontri si consumano tra sconosciuti che probabilmente non si sono mai visti e non si rivedranno più, ci sono scontri che si consumano all’interno delle mura di casa, nella cerchia delle amicizie, nei rapporti più intimi. Ho letto sul Guardian una rubrica in cui i lettori scrivono di come il Covid e il vaccino abbia creato attriti talmente profondi da rimettere in discussione ogni sicurezza e stabilità affettiva. (1)
Questa impossibilità di comunicare logora la nostra società ad ogni suo livello, dai micro sistemi familiari a quelli macro sociali, in un silenzio doloroso e assordante.
Non solo nessuno ne parla, ma nessuno prova a contenere questo odio e questa divisività, offrendo un’analisi e possibili soluzioni del fenomeno, in uno sguardo che non può riferirsi solo ad un circoscritto perimetro del presente ma deve guardare ai macrosistemi, al passato e al futuro.
Lo strumento possibile c’è ed è la lente della psicologia, in particolare quella sociale, che molto spesso ci ricorda che le cose sono molto più complesse e trascendono il singolo individuo. La psicologia sociale è uno dei rami più dimenticati, che al grande pubblico viene presentata solo rispetto a video virali sulla generosità, l’equità, la solidarietà dei bambini o pseudo esperimenti simil- “Scherzi a Parte” in cui passanti vengono filmati da telecamere nascoste e -colpo di scena- scopri che il violinista che chiedeva l’elemosina era in realtà il primo violino della Filarmonica di Berlino.
Siamo di fretta, siamo di fretta da sempre, ma ora più che mai, c’è la fretta di uscirne, di superare questa parte di storia collettiva, che ha rimescolato drammaticamente ogni carta di cui non sappiamo se riconosceremo il mazzo. Ma questa fretta è solo l’esacerbazione di una fretta che già avevamo. Nessun tempo per fermarci a comprendere. Nessun tempo di ascolto e di messa in dubbio. Nessuna pedagogia e pratica della domanda e della mediazione.
In psicologia studiamo molteplici aspetti dei comportamenti delle persone e quello che scopriamo da decenni è che l’individuo non è niente se non una parte di una rete che funziona complessivamente. L’individuo senza contesto, senza società, senza relazioni fondamentalmente non esiste.
Nessuno si domanda perchè alcune persone non si vogliono vaccinare? Appellarsi alla disinformazione e all’’irresponsabilità nei confronti della collettività sono etichette linguistiche per spiegare superficialmente e con una lente individualizzante, strutture di relazione molto più complesse. Alla selezione di certe informazioni e decisioni precede sempre qualche altra dinamica.
Nessuno si ferma a discriminare la differenza tra terroristi e terrorizzati? Nessuno che -invece che limitarsi a giudicare e fare guerra di trincea- si fermi a chiedersi perchè questa società è un terreno fertile per l’esistenza di persone terrorizzate e/o sfiduciate rispetto alla scienza? Perchè una parte della popolazione non si fida della scienza e un’altra sì?
Decine se non centinaia di siti, blog, tips cercano di aiutare in maniera del tutto decontestualizzata le persone con ricette di domande e contro-domande per gestire una conversazione con una persona che non “crede” al vaccino, focalizzandosi molto spesso sulla veridicità delle fonti delle informazioni e sulla razionalità delle evidenze statistiche. Oltre al fatto che queste ricette preconfezionate non tengono conto del fatto che le relazioni sono lunghi processi e non situazioni che durano il tempo di una conversazione, si dimenticano che anche il linguaggio è importante. E si confonde il “credere” – di matrice religiosa e che ha un perimetro personale- con la fiducia – che ha una matrice e un’area relazionale e connettiva.
Ed è qui che il campo comune si fa divisivo, è qui che lo spazio di pensiero e parola comune è impossibile da trovare e lo script divisivo che si performa ripetuto e ripetitivo non offre terreno condivisibile e abitabile, tanto da arrivare allo strumento di ricatto istituzionalizzato del Green Pass (che oltre a scavalcare il diritto al lavoro è il mezzo perfetto per creare stigmatizzazione ed emarginazione) e le trovate pseudo commerciali della campagna vaccinale, per convincere gli indecisi.
I livelli di conversazione sono diversi e creano un cortocircuito che non è solo linguistico ma sostanziale: da un lato c’è una cornice religiosa del “credo o non credo”, il vaccino che riguarda il corpo individuale, e la propria personalissima “fede” (tant’è che alcune figure pubbliche in posizione di sfiducia parlano di “Siero Benedetto”, per riferirsi al vaccino) e dall’altra c’è “mi fido o non mi fido” della scienza . Questa sovrapposizione che sembra intercambiabile, quando non lo è, è pericolosa e annebbia la vista nel momento in cui vogliamo trovare uno spazio di mediazione e dobbiamo analizzare una dinamica, confondendo e mescolando l’analisi in chiave solipsistica dell’individuo, delle sue idiosincrasie e responsabilità con quella della fiducia, che per definizione esiste solo in un campo relazionale e interconnesso. La differenza sembra sottile ma è essenziale.
Ed eccoci arrivati al vero cuore della questione. La fiducia. Heidi Larson, antropologa e fondatrice del The Vaccine Confidence Project (2) alla London School of Hygiene and Tropical Medicine,si è occupata per tutta la sua carriera di capire perchè nascessero delle “epidemie” di persone che decidevano di non vaccinarsi.
In un TED breve ma incisivo racconta di cosa ha scoperto con il suo gruppo di ricerca (3). In sintesi: “i vaccini non possono sfuggire alle turbolenze politiche e sociali che li circondano.” Maggiore è l’instabilità, la sfiducia reciproca percepita (nel governo, nelle relazioni) maggiore sarà la probabilità dell’esistenza di persone che non si fidano anche della scienza. La disinformazione è un sintomo, non è la causa. Ecco perchè il “non credo” diventa un “non mi fido”. E non riguarda specificatamente la sfiducia nell’entità astratta “Scienza”, ma riguarda ciò che essa incarna e rappresenta: un luogo organizzato di comunità, composto prevalentemente da sconosciuti, probabilmente finanziati da istituzioni.
Ed ecco che, forse, separando i piani per riconciliarli in modo coerente, possiamo avere una lettura più chiara, empatica e profonda di ciò che succede.
“Perché è così facile dubitare dei vaccini? Beh, abbiamo trovato una serie di motivi, tra cui: sono altamente regolati dal governo che richiede, gestisce e a volte raccomanda i vaccini. Anzi, spesso li raccomanda e a volte li richiede. Le grandi imprese creano i vaccini. E né le istituzioni, né il governo, né le grandi imprese ricevono molta fiducia di questi tempi. E poi ci sono gli scienziati che scoprono e sviluppano i vaccini, e sono abbastanza d’élite e non accessibili al grande pubblico, o almeno non lo è la lingua che parlano. Terzo, viviamo in un ambiente iperconnesso dai social media e le persone condividono senza restrizioni opinioni, preoccupazioni, ansie e timori e trovano tanti altri che la pensano come loro, quindi credono che forse i loro timori meritino attenzione. “
E com’è che queste persone hanno sfiducia nei loro governi, rispetto ai loro vicinato, alle relazioni in generale? Perchè vivono in un sistema politico ed economico che struttura il mondo come un campo di battaglia di ascesa al controllo e al potere, dove il conflitto di interessi e la corruzione sono normalizzati, le crisi economiche sono sempre più frequenti, la meritocrazia è un’illusione, lo stato lascia indietro le persone che -nella narrazione iniziata con l’ascesa del neoliberismo- sono individui slegati da tutti gli altri in una corsa alla sopravvivenza.
Il punto qui non è essere pro o no vax, il punto qui è capire cosa si è ammalato e cosa stiamo perdendo di vista quando lo spazio di parola si affolla della retorica della responsabilità collettiva e della libertà dell’uno che finisce dove inizia quella dell’altro, ritraendo la libertà come uno spazio contenuto da muri di separazione impenetrabili. Ciò che il virus ha messo in luce è proprio la dimensione della permeabilità dei confini, dell’impossibilità di pensarci come entità separate da un ecosistema interconnesso.
Il virus ha aperto le giuste riflessioni quando ci chiedevamo “che cosa fosse la normalità a cui eravamo abituati e se ci saremmo tornati”, il problema è che dopo aver svelato la struttura interconnessa di reciprocità in cui siamo immersi, ci siamo dimenticati di come prendercene cura. Nella struttura che tutela la produzione economica prima della salute della collettività, ci siamo affrettati a ricomporre il corpo di produzione prima di ricomporre quello sociale.
Come ci ricordano gli epidemiologi Wilkinson e Pickett nella loro ricerca pluridecennale confluita nelle pubblicazioni “The spirit level” e “The inner level” (4) (5) la fiducia è un elemento che determina una quantità sterminata di aspetti del benessere psicofisico di una popolazione. A sua volta la fiducia nella collettività è correlata al livello di diseguaglianza socioeconomica di un paese – con la precisazione che la sfiducia non si ristagna solo nelle zone “sfortunate” della società ma si sparge a macchia d’olio a tutti i livelli della società.
Non essendoci spazio di parola possibile, ecco che l’individuo, ridotto ad una ricerca solitaria, finirà aiutato dagli algoritmi che creano i cosiddetti “eco chamber effect” (6) nei tunnel dei “bias di conferma” e “di selezione” delle informazioni (a cui tutti siamo soggetti), andando ad ascoltare e a ricercare tutto ciò che corrisponde e rafforza le sue aspettative da un lato, o è “contro” qualcosa che – come la psicologia sociale e politica ci insegnano- ha molto più presa sulle emozioni soprattutto di persone che si sentono minacciata e senza risorse per controllare l’ambiente che le circonda.
Quello che propone la Larson è una visione ampia e a lungo termine, l’idea di fermarci come singoli e come collettività nell’affrontare il problema della fiducia come un problema di salute collettiva. L’esercizio è faticoso ma necessario ed è quello di riconoscere il fatto che le apparentemente solitarie decisioni individuali, che trascende l’essere pro o contro vaccino, non possono e non sono mai slegate dal clima sociale e collettivo, che le influenza se non addirittura le determina. Perchè ad oggi si parla di questioni di responsabilità reciproca e libertà, però è necessario che ci si soffermi sull’analisi di come questa sia strutturata. E se le decisioni sono, come evidenziato, definite fortemente dalle strutture sociali e dalle relazioni, allora come ci ricorda la Larson è questo il punto: “Abbiamo sufficienti informazioni scientifiche per sfatare le dicerie false. Non è questo il nostro problema. Abbiamo un problema di relazioni, non un problema di disinformazione.”
Ricordiamoci che siamo molto più che il perimetro circoscritto dalla nostra pelle, siamo costantemente inseriti in sistemi più grandi che influenzano i nostri comportamenti in modo pervasivo.
Il punto è che dobbiamo ricordarci che gli individui non esistono slegati dalla società e dalle relazioni, la pandemia ce lo ha ben chiarito. Nessuno si sta occupando della salute del clima sociale (che probabilmente si vedrà anche presto alle prese di un’ennesima crisi economica) e che la retorica del “noi” vs “loro” è vecchia arrugginita e ha stufato. La questione è che la fiducia e l’odio sono esiti di strutture più complesse. Strutture su cui possiamo agire che non possiamo fare a meno di ignorare, perchè ci influenzano tutti.
La questione ora non è se sia o meno troppo tardi per parlarne, vista la polarizzazione sociale già in corso e le posizioni del governo, ma il fatto imprescindibile che ci troviamo davanti ad uno scenario economico, ambientale e politico eufemisticamente non troppo roseo che ci richiede quantomeno, rubando un termine dall’ecologia, un processo di “mitigazione” degli effetti e di mettere al centro la cura della salute collettiva in ogni sua declinazione.
- https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2021/mar/26/my-friend-is-an-anti-vaxxer-and-shes-converting-my-husband-what-can-i-do
- https://www.vaccineconfidence.org/
- https://www.ted.com/talks/heidi_larson_why_rumors_about_vaccines_spread_and_how_to_rebuild_trust
- https://www.ibs.it/misura-dell-anima-perche-diseguaglianze-libro-richard-wilkinson-kate-pickett/e/9788807723933
- https://www.penguin.co.uk/books/188/188607/the-inner-level/9780141975399.html
- https://www.nature.com/articles/d43978-021-00020-x
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