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di CLAUDIA VERGELLA (RI Roma)
Una spiegazione della masochistica acquiescenza di una parte del popolo a fronte della progressiva caduta dei diritti è da rinvenire nel proliferare di voci colpevolizzanti con presunte basi scientifiche. La colpevolizzazione è talmente allargata e capillare da investire l’intera specie umana, producendo la convinzione di essere in troppi ad inquinare, in un mondo di risorse scarse e deteriorabili. Le vaccinazioni hanno fornito l’occasione per alleggerire i sensi di colpa addossando le responsabilità agli altri.
“Io appartengo alla specie umana, rea di ogni nefandezza, ma in questa tragica situazione, da vaccinato, sto collaborando e ho così guadagnato il mio spazio vitale, tu, non vaccinato, lascia a me lo spazio al ristorante, a scuola, all’università. Lascia a me il diritto alle cure pubbliche gratuite”. Il pensiero dei vaccinisti riecheggia vecchie teorie, mai definitivamente sconfitte.
ll Green pass, in una versione allargata che renda proibitiva la vita lavorativa e sociale di chi colpevolmente non lo possiede, assume il ruolo di allentare gli inconvenienti dovuti alla pressione demografica, in luogo dell’epidemia in sé di malthusiana memoria. In un contesto sociale in cui la morte è un tabù e il concetto di merito è, in modo distorto, preminente.
Il Green pass assume un ruolo moralizzatore, favorendo la sopravvivenza dei “migliori” non attraverso una selezione naturale, di darwiniana memoria, bensì pilotata politicamente. Un precedente importante di darwinismo sociale lo rinveniamo nelle teorie naziste in cui il pretesto per l’emarginazione e la soppressione di altri esseri umani era la superiorità razziale.
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